6.6.14

Facile e difficile (Antonio Gramsci)

Quel che segue è la prima parte di un articolo del “Grido del Popolo”, il settimanale dei socialisti torinesi di cui Antonio Gramsci era redattore capo e talora unico. La data è il 25 maggio 1918, il contesto è dunque quello della Grande Guerra, con i parlamentari socialisti, di orientamento riformista, impegnati a collaborare con lo sforzo bellico dell'Italia e a moderare l'opposizione sociale e politica al governo regio. La polemica è pertanto diretta contro Prampolini, che del socialismo parlamentare era tra i massimi esponenti. E tuttavia l'oggetto della polemica è rimasto a lungo attuale e, forse, lo è tuttora. Nel movimento operaio italiano riformisti e stalinisti concordi, hanno sempre pensato paternalisticamente che nella stampa di partito diretta a proletari e a popolani si dovesse usare - come fanno i preti - un linguaggio “facile” - e hanno sistematicamente polemizzato contro l'incomprensibilità degli “intellettuali”. L'argomentazione di Gramsci ha due livelli: primo, non sempre è possibile usare parole generiche per problemi specialistici; secondo, i lettori proletari hanno il diritto-dovere di migliorare la loro preparazione culturale, la loro capacità di critica nei confronti della cultura borghese. (S.L.L.)

La «Giustizia» di Camillo Trampolini, offre ai suoi lettori una rassegna delle opinioni espresse dai settimanali socialisti sulla polemica tra la direzione dell'«Avanti!» ed il gruppo parlamentare. L'ultimo capitolo della rassegna è spiritosamente intitolato Gli interpreti del proletariato e spiega:
“La «Difesa» di Firenze e il «Grido» di Torino, i due esponenti più rigidi e culturali della dottrina intransigente, svolgono larghe considerazioni teoriche che ci è impossibile riassumere e che ad ogni modo sarebbe poco utile riprodurre, perché - quantunque quei due giornali affermino di essere genuini interpreti del proletariato e di avere con sé la grande massa — i nostri lettori non sarebbero abbastanza colti per capire il loro linguaggio”
E l'implacabile « Giustizia », perché non si dica che « faccia della maligna ironia », riporta quindi due passi staccati di un articolo del «Grido», per concludere: «Più proletariamente chiari di cosi non si potrebbe essere ».
Il compagno Prampolini ci offre lo spunto per trattare una questione di non piccolo momento nei riguardi della propaganda socialista.
Ammettiamo che l'articolo del « Grido » fosse il non plus ultra della difficoltà e della oscurità proletaria. Avremmo potuto scriverlo in altra maniera? Esso era di risposta a un articolo della «Stampa», e nell'articolo della «Stampa» si faceva uso di un preciso linguaggio filosofico, che non era una superfluità né una posa, poiché ogni indirizzo di pensiero ha un suo particolare linguaggio e un suo particolare vocabolario. Nella risposta dovevamo rimanere nel dominio di pensiero dell'avversario, dimostrare che anche, anzi proprio per quell'indirizzo di pensiero (che è il nostro, che è l'indirizzo di pensiero del socialismo non acciabattone né fanciullescamente puerile), la tesi collaborazionistica era un errore. Per essere facili avremmo dovuto snaturare, impoverire un dibattito che versava su concetti di massima importanza, sulla sostanza più intima e più preziosa del nostro spirito. Far questo non è essere facili: significa frodare, tal quale il vinattiere che vende acqua tinta per barolo o lambrusco. Un concetto che sia diffìcile di per sé non può essere reso facile nell'espressione senza che si muti in una sguaiataggine. E d'altronde fingere che la sguaiataggine sia sempre quel concetto è da bassi demagoghi, da imbroglioni della logica e della propaganda.
Perché dunque Camillo Prampolini fa della facile ironia sugli «interpreti» del proletariato che non si fanno comprendere dai proletari? Perché il Prampolini, con tutto il suo buon senso e la sua praticoneria, è un astrattista. Il proletariato è uno schema pratico, nella realtà esistono i proletari singoli, più o meno colti, più o meno preparati dalla lotta di classe alla comprensione dei più squisiti concetti socialisti. I settimanali socialisti s'adattano al livello medio dei ceti regionali ai quali si rivolgono; il tono degli scritti e della propaganda deve però sempre essere un tantino superiore a questa media, perché ci sia uno stimolo al progresso intellettuale, perché almeno un certo numero di lavoratori esca dall'indistinto generico delle rimasticature da opuscoletti, e consolidi il suo spirito in una visione critica superiore della storia e del mondo in cui vive e lotta...

da Scritti giovanili, Einaudi 1958


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