19.2.15

Finanziera (S.L.L.)

Una delle mie nonne faceva un “riso alla finanziera”, in sostanza un riso bollito (da lei non usavano i risotti, che al nonno ricordavano i pastoni per gli animali da cortile) con le rigaglie e i bargigli del gallo preparati in una particolare salsa. Appresi da grande che si tratta di una pietanza piemontese, utilizzata come secondo piatto, un tempo molto in voga in Piemonte e che in essa agli ingredienti offerti (suo malgrado) dal pollame si alleavano le animelle bovine. L'assaggiai una volta, in un celebre ristorante, quello stesso in cui raccontano che la preparavano a Cavour, con i funghi, ed era buonissima; ma anche quella di mia nonna, sebbene assai diversa e molto più poverella, mi ha lasciato un ricordo gradevole.
La tradizione vuole che il piatto, nato alcuni secoli prima ad opera un un leggendario Mastro Martino, cuoco, si sia affermato nei primi dell'Ottocento per accontentare le esigenze degli uomini d'affari che avevano fretta e volevano consumare un pasto rapido ma gustoso. Il nome verrebbe dalla giacchetta che a quel tempo portavano nobili, dignitari e uomini d'affari, chiamata appunto finanziera. A più d'uno la spiegazione non pare convincente giacché gli ingredienti fanno pensare a un piatto povero, di recupero. A me sembra più plausibile un'ipotesi che ho trovato nelle Misticanze di Gian Luigi Beccaria (Garzanti 2009): che la finanziera fosse una sorta di tributo che i contadini che andavano in città a vendere il loro pollame pagavano in natura ai finanzieri. Ad essi regalavano fegato, cuore, ventriglio, granelli, creste, bargigli, gli ingredienti del piatto.  

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