3.7.15

Settecento francese. Il dolce erotismo (Silvia Sereni)

Fragonard, Giovane donna che riposa
Dio onnipotente, di quali ineffabili delizie
hai circondato la riproduzione umana...
(Restif de la Bretonne)
«Chi non ha vissuto prima del 1789 non conosce la dolcezza della vita» diceva Talleyrand. Di questa dolcezza facevano parte la buona tavola, le passeggiate nei boschi, le feste nelle ville, i casini di caccia, le belle arti e, naturalmente, l’amore. 
L’amore, l’Eros, domina il ’700 come mai prima alcuna altra epoca. «Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori» cantava l’Ariosto in una visione che poneva amore e imprese guerresche sullo stesso piano, in un’alternanza di interessi ugualmente dominanti. «La più nobile delle passioni, l’unica veramente interessante, l’amore» scriveva Restif de la Bretonne, tipografo, scrittore libertino tra i più letti del suo tempo. Per la prima volta l'amore appare spogliato di tutti i contorni di cui abitualmente si rivestiva nelle altre epoche, viene vissuto e rappresentato nella sua dimensione puramente psicologica e sensuale. Diviene principale argomento di romanzi, lettere e conversazioni. Riempie le tele e gli spartiti. Diviene moda e ragion di vita. Non a caso. Insieme alla teoria della libera concorrenza che la borghesia nascente si prepara a fondare, alla filosofia dell’amor proprio che sempre la stessa borghesia elabora per l’uomo nuovo, la dottrina del piacere si impone come scoperta della sensibilità, del sentimento e della sensualità. Il piacere diventa talmente importante da costituire il criterio del giusto e dell’ingiusto.
Del resto, Cartesio non aveva forse steso un accurato catalogo delle passioni umane in cui gli uomini della sua epoca trovavano una precisa nomenclatura delle emozioni? E Locke non faceva derivare le idee dalle sensazioni? Il corollario della filosofia lockiana era che per variare e coniugare le idee era necessario variare le sensazioni. Ecco perché il piacere diventava, oltre che lecito, necessario. E, dato che il ’700 è anche l’epoca della psicologia applicata al romanzo, l’amore viene analizzato per quelli che sono i suoi effetti sull’animo umano. 
Scomparsi gli eroi dei drammi raciniani, i conflitti tra amore e dovere di Corneille, il racconto delle gesta eroiche e delle virtù, nella letteratura compaiono personaggi più modesti e più umani, per i quali l’amore non è necessariamente furore eroico, ma affezione talvolta perfino patologica, passatempo raffinato, o addirittura tranquillo sentimento borghese. Di questa riduzione dell'amore a dimensioni più umane e realistiche sono responsabili soprattutto gli scrittori libertini e Crébillon fils (Claude-Prosper-Jolyot de Crébillon, figlio dell’autore tragico Prosper Jolyot) in primo luogo. «Ma l’amore, scrive Crébillon, è forse qualcosa d’altro che un certo desiderio che ci si compiace a esagerare, un moto sensuale che la mentalità sociale ama raffigurarsi come una virtù? Oggi sappiamo che esiste solo l'inclinazione dei sensi; e se ci si dice ancora di amarsi, non è tanto perché lo si creda, quanto perché è una maniera più educata di chiedersi l'un l’altro quella tal cosa di cui si sente di aver bisogno. E come ci si è presi senza amarsi, ci si separa senza odiarsi; e si ricava almeno, da quel facile desiderio che ci si è mutualmente ispirati, il vantaggio di essere sempre pronti a farsi piacere di nuovo». Questa pagina, contenuta nel romanzo La nuit et le moment, è stata definita come la «professione di fede dei libertini». Ma non si deve pensare che questa visione un po’ cinica e disillusa dei rapporti uomo-donna (rapporti,quelli descritti da Crébillon, situabili soprattutto nei salotti dei nobili e dell'alta borghesia) sia soltanto un dongiovannismo sfrenato, specie se come esempio di scrittore libertino prendiamo Crébillon.
Il libertinismo era una corrente filosofica razionalista e libertaria che aveva le radici in movimenti prima religiosi e poi atei che Calvino per primo aveva bollato col termine di «libertin». Temi di questa corrente filosofica erano la rivendicazione dell’uso della ragione in materia di fede, l’attenzione alle esigenze della fisicità e del proprio corpo, l’autonomia della riflessione filosofica. Era Calvino a vedere l’oscenità in quest’atteggiamento libertario, non i libertini a predicare l’oscenità. L’oscenità loro stava soprattutto nella minaccia che rappresentavano per l’ordine costituito. Ai tempi di Crébillon questa minaccia non è più vissuta così tragicamente come ai tempi di Calvino, perché il liberalismo ateo ha già fatto piazza pulita di tanti miti intoccabili, tuttavia Crébillon viene imprigionato a Vincennes dopo la pubblicazione dell’Ecumoir ed esiliato dopo la pubblicazione del Sopha. La breve durata delle pene (pochi giorni la prigionia e pochi mesi l’esilio) ci fanno capire che più che un pericoloso iconoclasta, Crébillon è considerato una specie di enfant terrible della letteratura. La sua azione di scrittore galante non è sovversiva. Almeno, non direttamente. Tuttavia, come i primi libertini condannati dal terribile Calvino, anche gli scrittori del tipo Crébillon coniugano l’esperienza della libertà con l’esperienza del piacere, inscrivendo quest’ultima in un’esigenza di comprensione del mondo.
L’etica diventa studio dei costumi, dei costumi come sono e non come dovrebbero essere. E come i pittori non rappresentano più solo scene di guerra o personaggi famosi ma si soffermano sulle scene della vita quotidiana, gli scrittori descrivono quello che avviene nel salotto del signor X o del nobile Y, nella stalla del contadino o nella casa di campagna del conte. Restif de la Bretonne, in questa cronaca dei costumi della provincia francese e della banlieau parigina davvero impareggiabile, è precisissimo nella rappresentazione delle seduzioni e dell’ars amandi del suo tempo. Più libertino, nel senso più comune del termine, di tutti i libertini, Restif esprime la perfetta incarnazione del lato iterativo e ossessivo, nella molteplicità delle conquiste, del Don Giovanni classico. Anche del suo libro autobiografico, Monsieur Nicolas, si potrebbe dire, con Leporello, «questo non picciol libro è tutto pieno de’ nomi di sue belle».
Ma mentre Restif pone soprattutto se stesso come punto di vista privilegiato d’osservazione, Crébillon trova per uno dei suoi romanzi un luogo indicatissimo per fungere da osservatorio astronomico del firmamento d’amore: il sofà. Un principe di nome Scià-Baham, sultano delle Indie, nipote di quel sultano a cui piacevano tanto i racconti della leggiadra Scheherazade, e da cui ha ereditato la mania per le favole, ordina a un suo dignitario, Amanzei, di raccontargli tutte le favole che conosce. Amanzei è seguace di Brama e crede quindi nella metempsicosi. Il sultano è fortunato: una delle ultime incarnazioni del suo cortigiano è stato un sofà, da cui Amanzei ha assistito alle più svariate vicende erotiche che si accinge a raccontargli. (Come si vede, la trovata è geniale, anche se, per la precisione, è giusto ricordare con Apollinaire che il Sopha prende a prestito questa meravigliosa invenzione dal meno noto Canapé couleur de feu, racconto galante di Fourgeret de Montbron).
Un artificio analogo, tratto da un vecchio fabliau, è quello presente nei Bijoux indiscrets di Diderot. Un anello magico consente al sultano del Congo (leggi Parigi), Mangogul, di far parlare il sesso delle donne. Non fa meraviglia, dice uno dei personaggi del romanzo, che con la libertà che c’è oggi di parlare di tutto, si mettano a parlare anche i «gioielli» delle donne, che di cose da dire sicuramente ne hanno molte. Anzi, forse hanno sempre parlato, solo che oggi hanno trovato il coraggio di alzare la voce. Come dire che ormai si può parlare di tutto, compreso quello che per convenzione si tace. Questa libertà di parlare e di godere ha indubbiamente a che fare con il restringersi dello spazio e la scoperta della relatività del punto di vista conseguenti alle scoperte di Galilei e al progredire delle scienze naturali. Non siamo più il centro dell’universo, tuttavia questo nostro mondo è abbastanza grande e vario per non stancarsi a osservarlo e nello stesso tempo abbastanza piccolo per impadronircene.
In un mondo in cui il godimento è diventato possibile si dà spazio a tutto ciò che valorizza la persona. Le abitazioni si riducono di proporzioni, ma in compenso diventano più confortevoli e si riempiono di oggetti graziosi e minuti. Al fasto del barocco si sostituisce la grazia leggiadra del rococò. Ai bruni, ai rossi, agli ori si sostituiscono colori più delicati, sfumature più eteree. La donna ideale non è più la matrona formosa dei secoli precedenti, ma la fanciulla raffinata e seducente del quadri di Watteau e di Fragonard. Si fanno ritratti non solo di persone illustri, ma anche di persone qualunque, di contadine, di commedianti, di chi passa per strada. L’attenzione si ferma sui particolari, sul cesto di frutta, sulla lettera che la fanciulla sta leggendo, sull’altalena, sul cappello della donna vista di spalle.
Anche in questa attenzione ai particolari c’è spesso una tensione erotica, esplicita in Restif quando descrive con indubbio feticismo i piedini intravisti sotto le gonne, le scarpe deliziose dello stesso colore del vestito, «di droghetto bianco o a fiori d’argento, oppure verdi col tacco rosa». «I miei occhi ardenti erano fissi sulla sua gamba slanciata, sulle scarpine bianche il cui tacco alto e sottile rendeva ancor più delicato il piede ». E’ il rapimento di cui parla Barthes a proposito del corpo « in situazione». «Quando Werther “scopre” Carlotta, lei sta tagliando delle fette di pane. Hanold, dal canto suo, si innamora di una donna che sta camminando... Ciò che mi eccita è una sagoma intenta al lavoro, “che non bada a me”... più l’altro mi mostra i segni della sua occupazione, della sua indifferenza, più io sono sicuro di sorprenderlo, come se, per innamorarmi, avessi bisogno di adempiere all’ancestrale formalità del ratto». La necessità di «sentire», per l’uomo che sta ritrovando se stesso e si dispone a impadronirsi della natura, si mostra quasi invariabilmente collegata alla paura della noia. Lo afferma Rousseau, che nelle Confessioni dichiara la noia il peggior male; lo dichiara l’abate Du-Bos nel primo capitolo delle Riflessioni critiche sulla poesia e la pittura: «L’anima, come il corpo, ha le sue necessità; tra queste la più importante per l’uomo consiste nell’avere lo spirito occupato»; lo dice Nasses, un personaggio del Sopha di Crébillon: «Ci sono ben poche di queste avventure (galanti) in cui ci si serve del sentimento. Nascono quasi tutte per l’occasione, l’abitudine, la noia». Anche la teoria platonica dell’amore nasceva, secondo Barthes, dalla noia. «Sulla strada che porta a Falero, un uomo si sta annoiando; egli ne scorge un altro che cammina davanti a lui, lo raggiunge e gli domanda di raccontargli i discorsi scambiati al convivio dato da Agatone. Così nasce la teoria dell’amore: da un caso, da una noia, da una voglia di parlare...». Segno che il piacere, la voluttà, il godimento sono più aspirazioni che dati di fatto. Così come la natura arcadica che fa da sfondo alla pittura di Watteau non è il segno di una positiva comunanza tra uomo e natura ma l’esatto contrario. Gli antichi non avevano bisogno dell’arcadia, non almeno di quella idealizzata dall’uomo moderno che non vive più a contatto della natura. Allo stesso modo la rappresentazione del piacere nasconde la paura del vuoto, dell’irripetibile, della mancanza. Anche in scrittori che esprimono una concezione serena della vita e della sensualità come Restif è presente questa paura, questa solitudine, questo rimpianto dell’attimo che fugge. Non c’è bisogno di arrivare a Sade, per questo.
Quella stessa filosofia dell’amor proprio che apre le porte all’affermazione dell’individuo e alla sua creatività personale suggerisce, in base ai principi dell’economia classica, la teoria del massimo del piacere ottenuto col minimo sforzo, il che vuol dire, sul piano del rapporto amoroso, entrare in concorrenza col proprio partner. Negli Egarements du coeur et de l’esprit, romanzo incompiuto di Crébillon, l'uomo di mondo Versac spiega al giovane inesperto Meilcour la sua filosofia della vita: primo: è indispensabile imparare usi, inclinazioni ed errori del secolo. Secondo: è impossibile conservarsi virtuosi e « naturali » in un’epoca di moda e d’affettazione. Terzo: siccome l'epoca è «ridicola», per riuscire basta imparare quale « ridicolo » si addice al nostro stato e assumerlo come abito permanente. Occorre mascherare il proprio vero carattere, ritenere cosa estremamente necessaria occuparsi soprattutto di farsi valere, nascondere i propri intrighi amorosi a ciascuna delle donne con cui si è legati, ma renderli manifesti a tutti gli altri ecc. ecc. Nelle Liaisons dangereuses di Laclos è ancora più evidente che l’amore è giocato in funzione della «proprietà» dell’uno sull’altro.
Non c'è da stupirsi se come risultato di tutto questo la coppia si spezza ancor prima che la famiglia borghese si affermi come nucleo fondamentale della società. Ai tempi di Crébillon, di Restif, di Laclos, forse gli unici che si accoppiavano e si sposavano con un certo grado di reciproco appagamento erano gli abitanti delle campagne in cui esistevano ancora certi residui di paganesimo ancestrale che consentivano il libero accoppiamento anche prima del matrimonio. Lo stato non si occupava ancora di vegliare, insieme alla chiesa, sulla sessualità. Ma è proprio a partire dal XVIII secolo che ha inizio quella santa alleanza che vede stato e chiesa impegnati in un’opera di repressione i cui effetti si fanno sentire ancora oggi. La futura mano d’opera dello stato moderno andava salvaguardata dagli effetti disgreganti della passione d’amore.

Dal mensile “La lettura”, Anno 47, nuova serie, aprile 1980

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie per aver descritto un mondo così meravigliosamente leggiadro!

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