11.11.15

Ortese in sonno e in veglia (Ela Caroli)


«Vi sono momenti nella vita di chiunque, in cui sembra - anzi si sente chiaramente - di trovarsi disperatamente fuori del proprio luogo naturale, in cui si avverte il carattere di chiara relegazione e la volontà di punizione che la vita (o qualcuno più su di essa) aveva - inventandovi - nei vostri confronti...».
Le malinconie profonde, stranianti di Anna Maria Ortese si sono tradotte, questa volta, in racconti: dieci ne raccoglie l'ultimo suo libro, In sonno e in veglia edito da Adelphi, che ha meritato il premio «Elsa Morante - L’isola di Arturo» conferito a Procida il 10 settembre scorso.
La grande scrittrice « la più schiva e introversa della letteratura italiana, non è andata personalmente a ritirarlo; la terrorizzano le manifestazioni pubbliche, gli onori, gli applausi: ha ringraziato la giuria a modo suo, mandando un messaggio toccante, bellissimo, con un ricordo intenso di Elsa Morante, eppure l'autrice de Il mare non bagna Napoli ha in passato ricevuto altri premi, il Viareggio, lo Strega, il Saint Vincent...
Quest’ultima opera la rivela ancora più fragile, sensibile, trasognata, diffidente verso la realtà. «C'è nella sua prosa - ha scritto Geno Pampaloni - un fervore che eccita una quasi virile razionalità entro uno squisitamente femminile sentimento del miracolo» e infatti la sua prosa è una continua attesa di epifanie, una febbrile tensione verso la favola fin quando un momento di lucidità non le appesantisce le ali e la sfianca, sconfitta.
La casa del bosco è il primo racconto, bellissimo, tra il descrittivo e il fiabesco; degli altri che seguono, forse il più compiuto, lucido e cesellato, è La cura del 1942 (tutti gli altri sono stati scritti nel decennio ’70-80). Dopo L’iguana - uscito nel 1965 e la cui terza edizione risale al 1986 - sono seguiti gli anni più produttivi, anni forse di sonno e di veglia per la Ortese, addormentata all'opaco mondo quotidiano ma attenta a quel divino soffocato, sotterraneo che solo la sensibilità del poeta sa cogliere negli affari e negli affetti che l’umanità intreccia. «Così, - ecco la ricetta - chi non avesse altro, ogni sera, prima di coricarsi, soprattutto se c'è vento, se avete freddo e la città se n'è andata, ogni sera, in due dita d'acqua, due grosse gocce di pianto».
Che il prossimo libro ci giunga presto, lontana e vicinissima Annamaria Ortese, nomade e illustre voce della nostra inquieta letteratura.


“l’Unità”, 5 ottobre 1988

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