27.8.19

La festa della Madonna e la “riétina” (S.L.L.)



Al mio paese, Campobello di Licata, la festa della Patrona, la Madonna dell'Aiuto, si celebrava un tempo la prima domenica di settembre. La festa concludeva un momento importante della vita dei campi, per via dei numerosi mandorleti, di cui a fine agosto si raccoglieva il prodotto. 
Le offerte per la festa e per la Chiesa, in onore della Madonna, erano spesso in natura: frumento o, appunto, mandorle. Cavalli e muli bardati, talora trascinando un carretto variopinto giravano per i quartieri del paese accompagnati da gruppi di bandisti che suonavano allegre marcette come l'orecchiabile e richiestissima Lariana o canzonette di successo da Volare a Chella llà: numerosi contadini donavano  piccoli quantitativi del frutto della loro fatica; bisacce e carri si riempivano. Non ho mai saputo dove portassero il carico, se in sagrestia e in qualche locale annesso alla Matrice o in magazzini di raccolta o direttamente in quelli dei commercianti. 
Il lunedì era ancora giorno di festa; c'era la riétina, una sorta di sfilata di cavalli e carri bardati; ma non era allora il “clou” della festa, rappresentato piuttosto dalla processione della domenica, in cui la statua della Madonna, seguita dai devoti e dalla banda al gran completo, percorreva le vie del paese, mentre la sua veste veniva ricoperta da banconote da cinquecento o mille lire, appuntate dai rappresentanti del Comitato incaricati della fatica. Si diceva che ce ne fosse uno abilissimo nel fare scomparire nelle proprie tasche qualcuno dei biglietti di banca offerti dai fedeli: aveva il soprannome di spogliamadonni, ma nessuno si sognava di sollevarlo dall'incarico. 
Al termine della processione, sul grande palco davanti alla Matrice, l'arciprete comunivava i risultati della raccolta. Negli anni di più forte emigrazione, sul finire degli anni 50 e poi nei primi 60, ogni anno cresceva la somma complessiva, “sette milioni”, “dieci milioni”, “tredici milioni”, e considerevole era l'apporto degli emigrati. I più tra loro dovevano tornare al lavoro alcuni giorni prima della festa, ma lasciavano, secondo le loro possibilità, un'offerta in denaro, segno del loro legame con il paese natio, offerta più consistente in collegamento con la guarigione di un familiare, l'assunzione in un buon posto di lavoro, il matrimonio di una figlia o il diploma di un figlio o una qualunque altra “grazia ricevuta”. Anche l'elenco dei donatori veniva letto sul palco dall'arciprete, un vecchietto freddoloso soprannominato Patri Tancinu (“padre scaldino”). 
Seguiva la musica a parcu, generalmente il concerto della rinomata banda forestiera (più di una volta chiamarono quella di Acquaviva delle Fonti) che nel servizio musicale dei giorni di festa si alternava con quella municipale: un'opera lirica orchestrata per la banda e perciò dominata da fiati e percussioni, con il clarinetto a far da soprano, o un'antologia di arie d'opera. Il lunedì, oltre alla “riétina”, c'era un altro concerto bandistico e a notte uno spettacolo pirotecnico, lu castieddhu di fuocu, con lo stummi stummi finale. 
Negli ultimi anni della mia adolescenza al secondo concerto operistico, in genere assicurato dalla banda paesana, andava sostituendosi, nonostante la resistenza del vecchio arciprete, uno spettacolo di musica leggera in cui la cantante mostrava un po' di coscia. Un maestro elementare, uomo di chiesa democristianissimo, si cimentò con altri nella composizione e nel canto leggero: “A Campobello le ragazze son graziose / hanno il profumo delle fresche rose”. L'arciprete non diceva nulla, ma si capiva che non era contento e imperterrito continuava la sua guerra domenicale contro scollature e maniche corte femminili.
Oggi la festa è anticipata ad agosto e cuore della festa è diventata proprio la riétina: caretti e cavalli non provengono solo dal paese o dai centri più vicini, ma arrivano da tutta la Sicilia gruppi di “cavallari” con allestimenti di grande impegno organizzativo ed economico: non solo equini bardatissimi e carretti decoratissimi, ma anche gruppi musicali, danzatori e danzatrici in costume, su palchi mobili o a piedi. C'è in paese un'associazione di amici del cavallo e della riétina, o forse più d'una, e non mancano finanziamenti pubblici e private sponsorizzazioni. La sfilata dura ore e ore, con un chiasso enorme di voci, suoni, rimbombi, cigolìi di ruote, scampanellare di tamburelli e ciancianeddhi (i tipici sonagli di Sicilia). In alcuni posti strategici i gruppi si fermano, dando vita a un breve spettacolo. 
Ieri sera proprio sotto casa di mia madre su un camion, un tenorino dalla voce buona eseguiva Parla più piano, la canzone costruita sul tema musicale del Padrino. Subito dopo, accompagnato da fischietti e altri strumenti, circondato da saltellanti ragazze in costume, il coro eseguiva alla maniera siculo-americana C'è la luna 'mmienz'o mari / mamma mia m'a maritari. Era una vera e propria citazione dal film, senza alcuna presa di distanza: non c'era neanche un filo d'ironia. Non so dire donde il gruppo provenisse e non credo che quella citazione comportasse di necessità una qualche solidarietà di famiglia, ma una simpatia ideologica, per quanto vaga, sì. Ho forte il sospetto che tra i "cavallari" ci sia qua e là un'infiltrazione di fetentoni.

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