Alberto Arbasino negli anni 60 |
Si
festeggiano cinquantanni esatti da Le piccole vacanze.
Questa prima raccolta di racconti di Alberto Arbasino oggi torna in
libreria con i suoi decenni molto ben portati. Ha l'aria sbarazzina,
da «fresco di stampa», questo libretto di Adelphi con la copertina
verde mare e le sue storie che, con irriverente ironia,
ricostruiscono un paesaggio, quello dei primi anni del dopoguerra,
senza nessuna concessione ai toni accorati del neorealismo della fine
del conflitto. «Ho scritto queste novelle e avvertivo che il
racconto di guerra parmigiana aveva esaurito tutte le sue chances»,
spiega A. A., così registra il citofono dell'attico romano dello
scrittore. Qui, fra tabacchiere del Settecento, quadri e ceramiche
vittoriane, gli scaffali e tavolini sono occupati da tanti tomi anche
di antiquariato. «All'epoca non mi volgevo a guardare il triste
lascito del conflitto mondiale. Certo, anche nella mia famiglia c'era
chi era stato fatto prigioniero o era morto al fronte. Ma era ancora
troppo vicino il ricordo delle sfilate sotto il balconcino di Piazza
Venezia delle vedove di guerra, tutte vestite di nero con gli orfani
al fianco con il braccio teso nel saluto romano che gridavano: “eia
eia ala là”. Allora meglio evitare l'eccesso di lamenti per i
caduti».
E
così ne Le piccole vacanze
ci sono adolescenti che si godono una «jeunesse dorée» pure sotto
i bombardamenti, imparano le lingue e fanno lunghe gite in
bicicletta. E poi eccoli cresciutelli e malandrini come Giorgio,
ragazzo «middle twenties» da «one night stand» - di quelli che
non sopportano di stare sotto le lenzuola due volte con la stessa
persona - che corteggia il ventenne Luciano, «solido-tenero» con
pelle vellutata e movimenti armoniosi. In una narrativa assolutamente
unica per quegli anni, questi disinvolti ragazzi di provincia, ma mai
provinciali, proseguiranno sulla strada di «studi universitari fatti
male, fanciullone scatenate o svampite, droghine fatte in casa». Con
questa irrequieta gioventù arrivava così sulla scena letteraria il
nipotino di Carlo Dossi e di Carlo Emilio Gadda, futuro autore di
Fratelli d’Italia,
creatore di nuovi linguaggi e nuovi miti, prosecutore di una feconda
linea lombarda della letteratura italiana. L'opera prima di Arbasino
era fortemente caldeggiata da Italo Calvino che lo volle nei Coralli
einaudiani accompagnato da questa riflessione: «Non si può mettere
in una collana per debuttanti, ha già ventisette anni».
Ma
qual era stato il nutrimento intellettuale del ragazzo di Voghera
fino all'estate del '55, quando aveva terminato di scrivere questi
racconti? «Innanzitutto tanta poesia. Ecco un assaggio: “Distesa
estate,/ stagione dei densi climi/ dei grandi mattini”, recitava
l'incipit di una lirica, all'epoca notissima, di Vincenzo
Cardarelli», ricorda Arbasino. «I dialoghi derivavano dal Portrait
of Lady dell'amato Eliot e poi
da Wystan Hugh Auden e Paul Valéry».
Se
per i colori e i «toni» del paesaggio il giovane Arbasino si
rifaceva a poeti come Montale e Ungaretti, il metodo di composizione
lo aveva tratto dalla «ricetta» suggerita dal grande critico Marcel
Raymond. Quest'ultimo in Da Baudelaire al surrealismo
si era occupato dell'enfant gàté
della cultura francese, Raymond Radiguet. «Il segreto di Radiguet
era di “usar pochi colori e unire l'eleganza al libertinaggio”».
E di libertinaggio Arbasino - sul modello del discolaccio geniale
Radiguet, che a quindici anni abbandonò definitivamente la scuola,
intraprese una vita bohémienne ricca di amori, primo tra tutti
quello con il suo tutore spirituale e seduttore Jean Cocteau - ne
racconterà abbondantemente, a partire da Le piccole
vacanze, per proseguire con
l'Anonimo lombardo,
con Super-Eliogabalo e
così via.
Adolescente,
Arbasino era sfollato a la Rivetta, vicino a Casteggio. Nell'Oltrepò
Pavese le serate punteggiate dal rombo degli aerei in volo, pronti a
colpire senza mira «chirurgica», erano lunghe. Di giorno, le strade
erano infide e ghiacciate, meglio trascorrere il tempo leggendo. Cosa
in particolare? «C'erano le varie collane di classici, dalla Corona
di Bompiani all'Universale di Einaudi alla Medusa di Mondadori. Mi
cimentavo con Ernst Hoffmann e con Jean Paul Richter, Ernst Junger,
Ludwig von Arnim, Friedrich Holderlin, Heinrich von Kleist, Nicolaj
Leskov, Somerset Maugham. E poi c'erano tante biblioteche a cui
attingere, da quelle delle case dei miei compagni di scuola a quella
del medico che mi controllava le tonsille. Il mio dottore era
fratello di Franco Antonicelli, che aveva tra l'altro dato vita alla
"Biblioteca Europea" dell'editore Frassinelli e in sala
d'attesa invece di qualche rotocalco si sfogliava Kaflka e Eugene
O'Neill».
Insomma
è proprio vero quello che Arbasino ha poi raccontato in Fratelli
d’Italia: «L'ultima
generazione che sul serio a vent'anni aveva lu tous les
livres: uno al giorno, e magari
due o tre. Interamente, normalmente, anche divertendosi. Facendolo
pesare, mai».
Letture
attuali ma degne di stare sullo scaffale a fianco di quelle dei
dorati vent'anni? «Non ho dubbi, lo splendido Ravel
di Jean Echenoz, tradotto in maniera eccellente da Giorgio Pinotti
per Adelphi. Ne è protagonista Maurice Ravel. Personaggio
chicchissimo, un vero dandy del Novecento, Ravel riceve da Paul
Wittgenstein, fratello del filosofo Ludwig, che ha perso il braccio
destro in guerra, la commissione di un Concerto per sola
mano sinistra. Da qui prende
avvio un conflitto, una sfida tra Ravel, che si cimenta in una
partitura non eccessivamente difficile, e l'orgoglioso Wittgenstein
che, al momento dell'esecuzione, propone come un simbolico schiaffo
all'amico, una musica piena di virtuosismi, di trilli,
difficilissima. Una storia veramente attraente che oscilla tra il
nouveau roman e il
minimalismo più recente, tra suggestione della trama e indagine del
carattere». Ma quando si ha a che fare con Arbasino, magnifico snob,
le sorprese certo non mancano: lo scrittore si cimenta, per diletto,
con un monumentale Paolo Giovio, Elogi degli uomini
illustri (Einaudi) il più
completo who's who del
mondo medievale e rinascimentale. «Giovio fu sicuramente uno degli
uomini più spiritosi e brillanti del suo secolo, malizioso, a volte
perfido, mai agiografico, capace di tracciare dei magnifici ritratti.
Nella sua leggendaria villa sul lago di Como, aveva allestito un
museo privato con dipinti di grandissimi artisti e vi ospitava i
personaggi più importanti dell'epoca, come Carlo V. Collegati alla
sua famosa galleria di ritratti nascono gli Elogia
ovvero il progetto di un pantheon dei grandi uomini, da Dante a
Boccaccio, dal Saladino a Carlo d'Angiò, dal Poliziano all'Ariosto,
da Galeazzo Sforza a Cesare Borgia. L'unica cosa che mi dispiace è
che non sia stato riportato il testo latino a fronte come in una
vecchia edizione dello stesso libro pubblicata da Sellerio. E poi ho
con me altri libri che uso come repertori. Un altro esempio? A cura
di Margaret Bradham Thomton, Notebooks
di Tennessee Williams (Yale University Press). Lo sfoglio e leggo le
note che mi consentono di ricostruire le vite dei protagonisti degli
Anni 40-50».
Londra,
New York, Parigi, Vienna: Arbasino è stato un cittadino del mondo
quando gli altri scrittori italiani non andavano nemmeno a Chiasso,
sempre pronto a frequentare vernissages, teatri, concerti. E non
basta, lui stesso era firmatario di regie d'opera e di prosa: a
Bologna la Carmen
diretta da Pierre Dervaux con cantanti della Scala, La
traviata con Franco Mannino; per
lo Stabile di Roma, Prova inammissibile
di John Osborne. E oggi? A chi va la palma? «Senza andar lontano,
alla Scala. Di recente ho assistito a Una Lady Macbeth del
distretto di Mcensk con musiche
di Dmitrij Sostakovic. È una Bovary di provincia - niente a che
vedere con Lady Macbeth, a cui non importava niente del sesso, ma
soprattutto del potere e della politica - che si innamora di un
bracciante, uccide il suocero e il marito e li seppellisce in
cantina. Durante la festa di nozze si scoprono i delitti. L'opera era
stata osteggiata dal regime sovietico, definita nevrastenica e
piccolo-borghese, e ne era stata vietata la messa in scena. E così
fu fino a dopo la morte di Stalin. Certo, l'allestimento è
discutibile ma musicalmente l'opera è notevole».
"Tuttolibri La Stampa", 21 luglio 2007
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