4.10.18

Il Tresor e la città ideale. L'Enciclopedia di Brunetto Latini, maestro di Dante (Guido Davico Bonino)


Quando ero in prima liceo, il mio professore, d’italiano, un bravo e dolce sacerdote salesiano, zio del semiologo-romanziere Perissinotto, arrossiva tutto, costretto com’era a commentare l’imbarazzante incontro tra Dante e il suo vecchio maestro Brunetto Latini, dannato fra i violenti contro natura, nel canto XV dell’Inferno: «Siete voi qui, Brunetto?». Il pio prete pensava (come tutti noi, dandoci di gomito) che fosse lì per una «colpa grave e infamante», secondo quanto «ritenevano Dante e la cultura dell’epoca», l’omosessualità: né quel buon docente né tantomeno noi conoscevamo l’argomentato saggio di un illustre dantista in Sorbona, André Pesard, Dante sous la pluie de feu, secondo cui la colpa di Brunetto sarebbe stata quella «di aver scritto in una lingua non sua».
Leggo questa precisazione nella dotta, ma limpidissima introduzione che Pietro G. Beltrami ha premesso alla prima edizione integrale in età moderna - traduzione con testo francese a fronte, commento e indici vari – del Tresor (Trésor nel francese d’oggi) di Brunetto Latini, che lui stesso, Paolo Squillatoti, Plinio Torri e Sergio Vatteroni hanno esemplarmente curato per i Millenni Einaudi, dedicando la ponderosa fatica alla loro maestra nel «mestiere», Valeria Bertolucci Pizzorusso.
Chi era Brunetto? Un alto amministratore pubblico: fiorentino ( nato intorno al 1220), notaio, guelfo, in esilio in Francia per sei anni dopo la malaugurata vittoria dei ghibellini a Montaperti; poi di nuovo in «carriera», dopo la vittoria di Carlo d’Angiò a Benevento (siamo al febbraio 1266), sino ad assurgere alla carica di priore (1287). Morì sei anni dopo, e Giovanni Villani nel libro IX della Nuova cronica lo connota come «gran filosofo, e pure sommo maestro in rettorica...».
Su questo termine torneremo subito, ma intanto diciamo cos’è il Tresor (che vorrebbe dire, alla lettera, «uno scrigno pieno d’oro e di gioielli»). È un’enciclopedia, redatta in forma agile (sono pur sempre 426 pagine di bel formato) e in francese, perché - come ci ha spiegato una quindicina d’anni fa Luca Serianni (nella sua, e di Piero Trifone, Storia della lingua italiana) - «le due lingue che in Italia possono adoperarsi e di fatto si adoperano in tutta la gamma degli usi letterari sono il latino e il francese»: e per i fruitori della sua compilazione, i colleghi notai, i giudici, gli amministratori, i mercanti del XIII secolo - il francese era molto più «affidabile» (il toscano, prima di Dante, non era, in prosa, né così variegato né così funzionale).
Cosa contiene, quali discipline riepiloga l’ambiziosa compilazione? Voglio dirlo subito per quanti, come me (e, si parva licet, un certo Stendhal), sono lettori fanatici (e raccoglitori) di qualsivoglia inventario, regesto, catalogo, manuale, guida, vademecum, enciclopedia, sommario, bigino ecc. ecc. Vi si discorre di storia, geografia, agricoltura, architettura: e potrete dunque trovarvi preziose notizie sul regno delle donne («...ebbe inizio quando il re di Scozia e tutti gli uomini della sua terra mossero contro gli egiziani, e furono tutti uccisi...»); che sarebbero le Amazzoni («cioè “senza una mammella”»); sull’aria, la pioggia, il vento e sulle «cose che sono nell’aria»; su come si deve scegliere la terra coltivabile e come si deve «formare» (in francese, garuir) la propria casa. E, naturalmente, farete razzia nel bestiario degli animali, traendone gustose precisazioni sull’anfisbena («... serpente che ha due teste, una al suo posto e l’altra sulla coda...»), sullo scitale (ancora un serpente, «così ben maculato di differenti colori chiari e lucenti»), sul caradrio («un uccello tutto bianco e il suo polmone guarisce dalle oscurità degli occhi...»): e qui mi arresto, ad evitare di togliere al lettore il gusto della sorpresa.
Ma non è per queste sezioni che il Tresor è un’opera ammirevole, e culturalmente di primaria importanza. I suoi «beni spirituali» veramente preziosi sono la filosofia teorica, «denaro contante»; la filosofia pratica e la logica, «pietre preziose»; la retorica e la politica «oro fino». Ecco ritornare la parola, che abbiamo citato e reperito su Villani. Pietro G. Beltrami avverte il lettore che sin dall’esilio francese, e quindi nel 1260-61, Brunetto attende ad un volgarizzamento e ad un commento del De inventione, un manuale di retorica, opera giovanile di Cicerone, che circolava nella scuola medievale...: lavoro «che non andò oltre i primi 17 capitoli...». E postilla: «Rettorica con doppia t, si noti, non è una semplice variante formale di retorica, ma il segno di una sovrapposizione mentale e culturale, che si impone nel Duecento italiano, fra la figura di rètore, di colui che sa pronunciare discorsi persuasivi, e quella del rettòre, di colui che “regge”, governa il comune...».
Beltrami nel suo serrato e convincente argomentare, giunge rapidamente alla conclusione, secondo cui «il principale interesse di Brunetto», epperciò l’asse portante del Tresor (cui egli «si dedicò per il resto del suo soggiorno forzato in Francia, completandolo prima del suo rientro»), è proprio nel libro III della compilazione, quello riservato alla retorica come «governo della città». Sono poco più di centodieci pagine (in francese, e altrettante in versione), che vorremmo suggerire caldamente alle migliaia e migliaia di pubblici amministratori, grandi e piccoli, che «infestano» la nostra povera Italia, prima che qualcuno provveda ragionevolmente a ridurli di numero e, soprattutto, di prebende. Sarebbe bello - lo so che è nuda utopia, giacché costoro non leggono che effemeridi e gazzette - che dedicassero qualche minuto del loro tempo prezioso alle pagine su Il giudizio di Catone («Lussuria, avarizia, povertà pubblica e private ricchezze: esaltiamo le ricchezze, aspiriamo all’ozio, non facciamo alcuna differenza tra buoni e malvagi; tutto è volto alla cupidigia, questa è la ricompensa della virtù...»); o meditino su Quale uomo deve essere eletto signore: Brunetto elenca dodici qualità, morali e materiali, per chi deve godere del privilegio d’essere scelto dai propri simili o governarli: abbiamo provato ad applicarle ai tre o quattro grandi politici italiani d’oggi e ce ne siamo ritratti scoraggiati. Siamo i soliti inguaribili pessimisti? Decidano i lettori del Tresor. le virtù in questione sono alle pp. 795-799 della bella edizione Einaudi.

Tuttolibri - La Stampa, SABATO 21 LUGLIO 2007

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