Romania 1968 |
Dato
che non c’è più un direttore nell’ufficio parigino della Magnum
e che l’agenzia fotografica, a causa della crisi, ormai sta tutta
su un piano, Josef Koudelka si accomoda nella poltrona del capo: “Ho
sbagliato tutto nella vita, non sono mai stato né direttore né
presidente”, dice ridendo. I capelli e la barba arruffata sono
diventati bianchi, ma è un eterno ragazzo, a volte serio a volte
spiritoso, costretto a dedicarsi a un esercizio che non ama: parlare
di sé. Teme sempre di essere frainteso (dà degli esempi) e cerca,
nonostante le digressioni, di essere preciso. Lo aiuta uno schemino
con le cose da fare, diviso per fasce orarie di colori diversi. A
quasi 75 anni, Koudelka non si ferma mai, ha sempre bisogno di fare,
guardare e dare forma. Oggi tocca al Mediterraneo, che attraversa e
fotografa da vent'anni. Entro il 2013 porterà a termine il progetto
“Marsiglia, capitale della cultura”.
Guardare
al futuro, produrre, far emergere le immagini non gli impedisce di
tornare incessantemente su quello che ha fatto. Continua a inseguire
quello che potrebbe aver dimenticato, o sopravvalutato, nei lavori
passati. La prossima tappa è l’incredibile presentazione a Mosca
del suo progetto sull’invasione dell’armata rossa a Praga. Una
grande rivincita, accompagnata da mille copie del libro, in russo,
pubblicato da Torst, il grande editore ceco suo complice. Anche se è
sempre riservato, Koudelka è chiaramente emozionato.
Ina alto Slovacchia 1967. In basso da sinistra Boemia 1966, Spagna 1971 |
Ma
è per un altro ritorno al passato che ci incontriamo: Zingari,
il libro che l’ha fatto conoscere, è stato ripubblicato in sette
paesi in una nuova edizione ampliata. La storia del volume è
istruttiva, quasi esemplare. Il giovane Koudelka, che comincia la sua
carriera a Praga come fotografo in un teatro, fa dei ritratti
espressionisti e compone immagini molto grafiche. Tra il 1962 e il
1971 comincia a sviluppare un lavoro a lungo termine su quelli che
all’epoca sono chiamati zingari. Nel 1968, con il sostegno di Anna
Farova, lavora insieme al grafico Milan Kopriva al progetto di un
libro. “Non sapevo niente di libri di foto. Sapevo solo che volevo
somigliasse alla vita, al mio rapporto con gli zingari, a quello che
succedeva tra noi”.
Il
volume dovrebbe uscire a Praga nel 1970 ma, nel frattempo, Koudelka
lascia la Cecoslovacchia occupata. Le sue foto dei carri armati e
della rivolta fanno il giro del mondo e, attraverso Henri
Cartier-Bresson, incontra Robert Delpire, il mitico editore di |
Robert Frank, di molti fotografi della Magnum e di tanti altri.
Delpire vuole pubblicare il libro, ma in un’altra versione: 60 foto
(di cui 50 tratte dal progetto originale) escono nel 1975 con il
titolo Gitans, la fin du voyage
(Aperture si aggiudica la versione statunitense). Un’edizione
speciale è pubblicata anche dal Moma di New York per accompagnare la
mostra fotografica. Il libro diventa subito un classico, una delle
opere più ricercate della fotografia del Novecento.
Slovacchia 1967 |
La
nuova edizione torna oggi in gran parte al progetto originale, anche
se con 109 immagini, un formato più grande e un ritmo più narrativo
rispetto alla prima, rigorosa selezione. “Non volevo solo una
collezione di belle foto. E volevo che, anche se sono tutti scatti
fatti tra gli zingari, il libro andasse oltre”. Nell’edizione
francese Robert Delpire spiega che la scelta editoriale non è sua,
ma che la pubblica per amicizia, stima e rispetto. Si avverte
chiaramente uno di quei conflitti che possono esserci tra un autore e
un editore molto esigenti. E Koudelka non vuole parlare di come sono
andate le cose per “ammirazione, rispetto e amicizia per Bob. E poi
sono così contento che l’abbia pubblicato come lo volevo io”.
È
la sua creatura: “Un progetto che ho portato con me, anche
fisicamente, per quattro anni. Ho avuto il tempo di capire cosa
andava e cosa no. Ho lasciato la Cecoslovacchia con 154 foto sugli
zingari. L’essenziale del libro era già lì. È una storia, una
storia di persone, di me con queste persone la cui musica mi ha
attirato e m’incanta tutt’ora. Erano le stesse persone di cui si
diceva ‘chiudete le porte, arrivano gli zingari e ruberanno le
galline’”.
La
maggior parte degli scatti sono verticali: “Questo ha avuto un peso
importante nell’organizzazione del libro, nel ritmo che il grafico
Milan Kopriva ha saputo inventare. L’altra persona fondamentale per
questo progetto è stata Anna Farova. È lei che mi ha aiutato a
strutturare le immagini, e a non dimenticare niente”. Sono le due
persone a cui il libro è dedicato.
A
Koudelka non piace commentare il suo lavoro. Non ha un punto di
vista, dice, sulle sue incredibili inquadrature dal respiro naturale,
dalla giusta distanza. Ammette però che “ci vuole un obiettivo da
24 millimetri perché tutto sia nitido in spazi spesso molto
ristretti e con poca luce. Poi ho cambiato, non volevo ripetermi.
L’obiettivo ti dice come fare”.
Ma
non dice niente sulla grana delle immagini, spesso così particolare
e sensuale, sui negativi diffìcili, sviluppati senza prendere troppe
precauzioni. Non ripetersi, è anche la ragione per cui non ci sono
foto recenti di zingari. “È una generazione che non esiste più.
Quando sono tornato a Praga nel 1991, sono andato a vedere. Sono
sempre lì, le condizioni in cui vivono sono un po’ migliorate, ma
poco, e la maggior parte di quelli che conoscevo sono morti. Ho
pensato che non avrebbe avuto senso ricominciare. Oggi è un altro
mondo e prima o poi qualcuno farà un lavoro formidabile a colori su
di loro”. L’importante è “continuare a fotografare, perché ho
la fortuna di averne ancora voglia e di poterlo fare”. Ma il libro
rimane fondamentale. Ben più delle mostre che sono “effìmere”.
Farà
vedere il libro agli zingari, come faceva con le foto (“Mandavano
baci e ballavano per mostrare il loro apprezzamento”)? “Certo,
appena posso”. Possiamo immaginare che sfogliando le pagine, dietro
l’elegante copertina bianca con il sobrio titolo nero Cikdni, si
ritroveranno, ameranno, balleranno e manderanno baci.
"Internazionale", 4/11 novembre 2011
Nessun commento:
Posta un commento