Parigi. La Chiesa di San Rocco oggi |
[…] Manzoni incontrò
Dio sugli stessi boulevard dove gli artisti incontravano il piacere
sensuale e dove oggi non si incontra né il cielo né la terra. Chi
oggi si ostina a passeggiarvi trova solo quello spaesamento urbano
che a Parigi descrisse per primo Baudelaire. La casa del Manzoni
stava nel tratto più elegante del boulevard des Italiens, nel
piccolo universo degli incontri, dei fiocchi svolazzanti, delle
esibizioni dell' equilibrista madame Saqui su una corda tesa tra due
balconi.
Oggi quella Parigi è
altrove, si sposta qua e là: Parigi ambulante tra «gli ambulanti
che soffriggono musica» direbbe Paolo Conte. Dunque è persino
difficile immaginare la casa che si affacciava sul mercatino della
frutta, dal quale si alzava una nuvola di mosche e moscerini, e sul
Bains Chinois, strana costruzione a pagoda ritratta nelle stampe
d'epoca, sede di un bagno e di un caffè di grandissima reputazione,
quasi quanto il caffè Godet, dove anche Manzoni sedeva alla ricerca
di una identità non solo letteraria. Quei "salotti" sul
boulevard inauguravano il modello ideale dei caffè che sono
ancora le vere piazze di Parigi, mondi aperti ma gerarchizzati,
raffinati e simbolici, come vorrebbe ancora essere, dall' altra parte
della Senna, il famoso Flore, nel quale, diceva Italo Calvino,
«servono il più costoso uovo fritto di Parigi».
Da tempo il boulevard non
è più quel campo di battaglia degli scrittori e delle cortigiane
dove una sera del 1842 Stendhal, rimpinzato di carne e di vino, cadde
a terra morto stecchito, lo Stendhal "milanese" e
italianista che dei Promessi Sposi aveva detto: «Un libro
veramente troppo lodato. Senza dubbio Tommaso Grossi è migliore
scrittore, o almeno ha più ingegno». Manzonianamente, col senno di
poi: «Tommaso Grossi, chi era costui?». Manzoni vi abitò con la
moglie Enrichetta e con la madre proprio nell'anno della conversione.
In quella casa nacque sua figlia, per mano di una levatrice, perché
il parto era faccenda di donne. Persino Kant aveva notato che il
«vero parto» avveniva solo con l'intervento del padre: la denunzia
anagrafica. Manzoni scelse il nome Giulia, quello di "maman".
Per un altro conformismo, divenuto anch'esso tipicamente italiano,
Manzoni volle il battesimo cattolico, imponendolo sia a se stesso,
che (ancora) non credeva, sia alla moglie calvinista. E fu lui a
scegliere la chiesa di san Nicola a Meulan, dov'era stato celebrato
il funerale del compagno della madre, Carlo Imbonati: strana
cerimonia cattolica con il padre (ancora) "libertino", la
nonna che ripensava al suo Carlo, la mamma che avrebbe voluto un
altro rito, e il padrino Charles Fauriel a recitare un Credo
al quale non avrebbe mai creduto. La chiesa è ancora lì, isolata
nella campagna, persino più bizzarra di allora, in una Parigi a 50
chilometri da Parigi. Chi oggi si mette a passeggiare seguendo l'
itinerario manzoniano non ha guide, e deve andare per accenni... I
luoghi manzoniani sono infatti più ideali che reali e non soltanto
perché, nella immensa bibliografia, nessuno ha tracciato, quando
ancora si poteva, la mappa completa della Parigi manzoniana che, a
sua volta, è un altro mito fondativo di un'Italia che poi si fece
mentre Parigi si disfece.
La verità è che il
Manzoni parigino è solo una vaghezza culturale, un linea dritta di
astrazione che va dalla Madeleine alla Bastiglia, lungo la rue Saint
Honoré, oggi linea dello shopping. Sappiamo che ventenne,
balbuziente e non ancora consapevolmente malato di nervi, Manzoni
passava molto tempo in una libreria italiana e la madre lo prendeva
in giro perché la proprietaria, la signora Fayalle - diceva - «non
è certo un'amante adatta a mio figlio». La libreria si trovava al
244 di rue Saint Honoré, un numero civico che non esiste più. E non
c'è più neppure l'appartamento che madre e figlio vi presero in
affitto, sentendosi insieme «quasi in paradiso». Nella rue Saint
Honoré è rimasta solo san Rocco, la chiesa di quel miracolo che è
il solo avvenimento sul quale si è molto lavorato e speculato. Il 2
aprile 1810, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Napoleone
e Maria Luisa, spaventato dai fuochi d' artificio, pigiato nella
calca dove aveva perso la moglie, Manzoni sarebbe stato colto dalla
sua prima crisi convulsiva e, nel tentativo di correre a casa, si
sarebbe rifugiato in san Rocco mentre i monaci cantavano «O mio Dio,
se tu esisti, rivelati a me...».
Oggi in questa chiesa,
che pure ha inaugurato, come nostra identità, la nevropatia
miracolistica, non c' è che una lapide distratta. Sui gradini
riposano i turisti e, alla fine, esplorando la storia di san Rocco,
risulta più evocativa la celebrazione del matrimonio del marchese de
Sade. La verita è che lo stesso Manzoni inaugurò il "grattage"
della Parigi libertina dalla propria vita. E il grattage del
passato è un altro fondamento del carattere degli italiani che poi
scoprirono l'antifascismo nel fascismo, il comunismo nel
corporativismo, il liberalismo nell'estremismo del sessantotto...
Così alla fine viene ricordato come luogo tipicamente manzoniano
solo l'ultima casa, in rue de Seine, dove la famiglia, ormai
numerosa, abitò per alcuni mesi nel 1818, tredici anni dopo il primo
viaggio a Parigi, quello da "libertino".
Manzoni, già
devotissimo, rimase a letto malato per quaranta giorni disturbati dai
rumori del mercato, che, bellissimo, è ancora lì. Il quartiere è
oggi quello del post esistenzialismo ma con una presenza ancora forte
e discreta di boutique di liturgia, madonne e santi in vetrina,
sartorie di abiti talari, librerie religiose tra le due grandi
chiese, Saint Sulpice, e soprattutto Saint Severin dove Enrichetta
pronunziò l'abiura, che è un altro paradigma italiano. Oggi Saint
Severin, una delle più antiche e belle chiese di Francia, è
circondata da ristoranti greci, pessimi già all'aspetto. Di fronte,
chiusa da una porta di legno, c'è ancora la stradina più stretta
del mondo, l'impasse Eliane-Divron, il cul-de-sac che spinse Voltaire
a imporre il nome impasse a tutti i cul-de-sac di Parigi: «Chiamo
impasse quel che voi chiamate cul-de-sac. Trovo che una strada non
somiglia né a un culo né a un sacco. Vi prego dunque di servirvi
della parola impasse che è nobile, sonora, intelligente,
necessaria». Manzoni si divideva tra Saint Severin e Saint Sulpice,
la cui facciata è ancora oggi sapientemente "grattata":
durante la rivoluzione fecero sparire la croce, il triangolo, la
barba di Dio... Dentro, anche Manzoni rimase stupito dallo strano
gnomo, ora reso famoso dal Codice da Vinci. Oggi c' è un cartello
severo che mette in guardia dalle «suggestioni pagane di un pessimo
romanzo di successo». Ma di sicuro il bizzarro gnomo astrologico che
sta tra due altari non è un simbolo cattolico. Anche questo dunque è
grattage. Lo stesso che spinse Manzoni a consegnare al
canonico Tosi le preziose Oeuvres di Voltaire, cento volumi
con dedica originale dell'autore. Alla morte del Tosi furono trovati
solo i cartoni. Oggi, dimesso e modesto, al 66 di rue de Seine c' è
l'hotel Welcome, due stelle: 96 euro per una doppia, dove forse ha
dormito Manzoni. Settanta la singola. Almeno cinquecento euro costa
invece la camera all' Hotel Vendôme, dentro il quale è inglobato il
primo appartamento parigino di Manzoni. Il permesso di soggiorno è
datato 12 luglio 1805, ma è probabile che Alessandro sia arrivato in
una sera di giugno e che dunque abbia fatto in tempo ad abitare nella
casa che la madre aveva condiviso con Carlo Imbonati al numero 3
della piazza ottagonale che è più o meno come allora, se si esclude
la torre che, proprio in quei giorni, gli operai cominciavano a
costruire. Dormì dunque in una stanza col soffitto ricco di fregi a
corona, le tende di percalle, sentendo gli operai che lavoravano al
gabbione e il gracchiare di un pappagallo al quale un vicino di casa,
un mutilato di guerra senza un braccio, cercava inutilmente di
insegnare la Marsigliese. Oggi in quella città-cantiere che
Napoleone voleva rendere «la più bella e la più libera del mondo»
non è rimasta alcuna traccia biografica dei libertinaggio di un
ragazzo che pure a Milano aveva avuto l'educazione sentimentale
tipica di un allievo del collegio religioso, «il sozzo ovile»,
mettendo incinta bimba la cameriera della cugina, e beccandosi pure
la comunissima «grave ciprigna» che allora si curava con impacchi
di seme di lino, dieta di pane, beveraggi di camomilla, lunghi giorni
di letto. A Parigi invece la sua vita sarebbe stata libertina ma
casta, a meno di non immaginarlo sotto i portici del Palais Royal,
dove oggi si aprono ristoranti e negozi di antiquari tra cui un
famoso rivenditore di pipe, mentre allora c'era il bordello
regolamentato, cellula di quel French System sotto controllo dell'
ufficiale medico e sotto stretta sorveglianza delle tenutarie, che
per circa due secoli si sarebbe imposto come modello sessuale in
tutta Europa. La diligenza che veniva da Milano passando per Digione
lasciò Alessandro in place de la Concorde che era un luogo sinistro,
un grande slargo di terriccio e di erbacce degradante verso la Senna.
Per molti anni vi era rimasta, sia pure inoperosa, la ghigliottina
che aveva giustiziato anche il re. I soldati avevano coperto di
pietre e calce le pozze di sangue, ma c' era ancora, fortissimo, il
cattivo odore. Anche oggi la Concorde non riesce a diventare né
bella né piazza, forse perché è aperta da tre lati. Il traffico,
intenso e disordinato, la rende uno dei luoghi urbani più pericolosi
del mondo. E, nonostante lo spazio, vi domina di nuovo il cattivo
odore, quello dei gas di scappamento.
Rimane dunque inesplorato
il libertinaggio del Manzoni che sarebbe stato solo "culturale".
E infatti i luoghi della città dove gli parve che più ardesse il
libero pensiero furono... le colline. I famosi Idéologues vi si
erano rifugiati, marcando così anche geograficamente il proprio
disilluso distacco dal regime e dalla napoleonica capitale del mondo.
Come il Candide di Voltaire avevano concluso che «bisogna
coltivare il proprio giardino». Napoleone li chiamava con sarcasmo
les boudeurs d'Auteuil, gli imbronciati di Auteuil. Oggi
quelle colline sono diventate residenza privilegiata delle ricche
famiglie inglesi e americane: molti figli, molti cani, molte jeep,
molto canottaggio. Auteuil, nome che Manzoni avrebbe voluto dare alla
villa di Brusuglio, è addirittura un quartiere dentro Parigi, ha
conservato la struttura urbana del villaggio, ed è bello e vivace
sul modello di Saint Germain. Ma non c' è più la casa dove la
vedova Helvetius teneva il famoso salotto. Né sappiamo in quali
caffè Manzoni si sedeva; almeno una volta sostò con la madre nel
caffè Ranelagh, che oggi è una simpatica brasserie,
specializzata in birre ad alta gradazione. Nel menu ce n' è una di
nome "Morte Subito". Si può berla alla sua memoria anche
se non risulta che Manzoni sia mai stato un tipo da birra. È invece
un casermone sia pure secentesco, integrato dentro l'ospedale, la
famosa Maisonnette, la residenza di campagna di Meulan-sur-Seine,
dove le vite impastoiate di Sophie de Condorcet e del suo compagno
Charles Fauriel facevano sentire al giovane Alessandro il pregio di
un legame fuori da quella "promessa degli sposi" verso cui
avrebbe confessato di sentirsi «da sempre naturalmente portato».
Fauriel era stato l'amante di Madame de Stael, e Sophie, tra gli
altri, era stata l'amante di un ex prete, il padre di Charles
Baudelaire. Il paesaggio che vi si gode è ancora quello di allora,
sebbene meno incantato per le fabbriche e i palazzoni lungo la valle
che degrada verso la Senna, dove l'isola è sempre bellissima. In
quel che fu il parco alberato, la cappella sconsacrata è un deposito
di attrezzi da giardino. E nella cameretta dove dormiva Alessandro,
«questa piccola cameretta dove per sempre si perderà la mia
immaginazione», oggi (forse) dorme una vecchia signora, Madame
Sarte, con una bella faccia che pare corrosa da un temporale. Non sa
nulla di letteratura, e parla solo dei suoi due figli, sepolti al
cimitero di Meulan, volati via come due foglie di ottobre, come due
pagine di quel catechismo che, pur tra tanta devozione, e grazie
anche alla Parigi libertina, ha insegnato a generazioni di italiani
che non bisogna esser codardi e opportunisti come don Abbondio; che
siamo tutti Renzo Tramaglino, tutti impulsivi e masochisti; che c'è
sempre una donna Prassede, pronta a torturarci per il nostro bene.
La Repubblica, 16 ottobre
2005
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