Risaie nel vercellese |
Lo chiamano mare a
quadretti. È quello specchio d’acqua delimitato da argini bassi
che, fra primavera e autunno, ricopre da secoli il cuore delle risaie
d’Italia fra Novara, Vercelli e Pavia. Sono decine di migliaia di
ettari in cui il riso è coltivato in sommersione fin dai tempi di
Ludovico il Moro, il primo a pensare di sfruttare l’abbondanza
delle sorgenti locali per favorire questa coltura su vasta scala. È
un paesaggio antico, fatto di distese piatte d’acqua attraversate
da un’intricata rete di canali, che negli ultimi anni è cambiato
in modo drammatico: la diffusione della coltivazione in asciutta, in
cui i campi si allagano quando le piante di riso sono già spuntate,
sta facendo sparire questo spettacolo, creando uno squilibrio idrico
che mette a rischio i raccolti.
«La situazione non è
sostenibile», dice Marco Romani, ricercatore dell’Ente Nazionale
Risi. «La semina in asciutta non sfrutta l’abbondanza d’acqua
disponibile in primavera, concentrando la richiesta a giugno, quando
la rete idrica è già gravata dalla bagnatura del mais».
Questa nuova coltivazione
è talmente pratica, però, da essere in costante espansione. A
partire dal 2004, i grafici dell’Ente Risi sulla diffusione della
semina interrata mostrano una linea retta che cresce a 45 gradi.
Tanto che oggi quasi la metà del riso italiano è coltivato così.
Il sistema viene dagli Stati Uniti, ed è stato messo a punto negli
anni Ottanta per risparmiare manodopera e mezzi nella gestione
d’irrigazione, semina e trattamenti. A fine raccolto, la quantità
d’acqua utilizzata resta più o meno la stessa, così come la resa
della pianta. Ma muoversi nei campi asciutti è più facile che nella
fanghiglia del mare a quadretti. Non servono trattori con le ruote
dentate in ferro, soggetti a usura e scomodi da trasportare. Non
potendo circolare su superfici dure, infatti, per spostarsi da un
campo all’altro devono essere caricati su carrelli trainati da
altri trattori a gomma.
«Moltissimi si stanno
convertendo. Permette di usare lo stesso trattore per tutto. Questo
si traduce in un risparmio di circa un operaio ogni 100-150 ettari»,
aggiunge Romani.
Ma la diffusione
massiccia di questo metodo crea problemi di scarsità a un sistema
che sull’abbondanza d’acqua ha fondato la sua storia. La rete
idrica, creata dal tempo delle marcite e sviluppata nei secoli con la
costruzione dei canali Cavour e Regina Elena, fino ad oggi ha
funzionato bene perché tarata per un utilizzo dilatato nel tempo,
che sfrutta le colature derivate dalla sommersione delle risaie più
a monte per alimentare fontanili più a valle, permettendo in pratica
di riutilizzare la stessa goccia per bagnare tre chicchi in posti
diversi. La sovrapposizione della richiesta d’acqua fra il riso
seminato in asciutta, che deve essere bagnato a metà giugno, con
quella di mais, ha fatto saltare gli equilibri. Al punto che, negli
ultimi due anni, il riso si è salvato dalla siccità solo grazie a
eventi meteo eccezionali.
«Non abbiamo mai avuto
tante e tali criticità”, sottolinea Alberto Lasagna, dirigente del
Consorzio d’irrigazione Est Sesia che gestisce le acque nella zona.
«Nelle ultime due stagioni siamo riusciti a governare la scarsità
solo grazie a temporali improvvisi che hanno permesso interventi di
soccorso. Ma non possiamo sperare che ogni anno si ripetano questi
fenomeni fortuiti. E con la siccità autunnale che stiamo vivendo
quest’anno il pericolo per il raccolto dell’anno prossimo diventa
ancora più alto».
Oltre a creare un rischio
per l’agricoltura, questo cambiamento mette a repentaglio il
delicato ecosistema che si era riconquistato a fatica negli ultimi
decenni. Grazie allo sviluppo di trattamenti meno tossici e invasivi,
le risaie sono tornate a ospitare specie come l’ibis sacro,
l’airone e il cavaliere d’Italia, una garanzia di biodiversità
che permette agli agricoltori di non alternare le colture, com’è
imposto ad altre semine. Uno dei meriti forse meno intuitivi della
presenza di questi specchi d’acqua è anche quello di tenere sotto
controllo la presenza di zanzare, favorendo lo sviluppo di specie
antagoniste come libellule, coleotteri e girini.
«Fino a qualche anno fa,
quando la zanzara arrivava con i primi caldi estivi, trovava un bel
comitato d’accoglienza pronto a darle la caccia», dice Giuseppe
Bogliani, esperto di ecoetologia dell’università di Pavia. Oggi,
invece, l’arrivo ritardato dell’acqua diminuisce la presenza di
insetti che si nutrono di zanzare. «Un tempo bastava fare attenzione
solo all’alba e al tramonto, oggi ce ne sono di più e pungono
tutto il giorno», sottolinea Bogliani.
Nelle risaie del
nordovest è anche cambiato il tipo di zanzara prevalente. La
diffusione della tecnologia laser per livellare perfettamente i campi
ha ridotto la presenza di avvallamenti naturali. Così, mentre
l’assenza di fossi e pozzanghere strangola ulteriormente gli
insetti che si nutrono di zanzare, il fango che rimane crea l’habitat
ideale per ospitare le uova di una specie particolarmente aggressiva
dell’odioso insetto: la aedes caspius, che contrariamente
alla cugine anopheles (un tempo la più diffusa), è attiva
tutto il giorno, ha un raggio di azione ampio e, potenzialmente, è
portatrice di parassiti pericolosi per l’uomo come la malaria.
Dato il valore attuale
del riso, che quest’anno si è attestato sui 23 euro al quintale
contro i record di 75-80 euro dei primi anni Duemila, non è
difficile comprendere la logica che ha convinto i singoli agricoltori
a optare per la semina in asciutta. Da quando questa scelta è
diventata fenomeno sistemico, però, i pericoli rischiano di superare
i vantaggi. Trasformando un’alternativa sensata in un boomerang
economico. «Se ben pianificata, la semina in asciutta può convivere
con quella tradizionale aiutando a gestire al meglio il raccolto»,
conclude Romani. L’avvicendamento delle tecniche, che prevedono
trattamenti diversi, può ad esempio rallentare lo sviluppo di
parassiti resistenti. «Ma ci vuole più consapevolezza e rispetto
del sistema idrico e del suo funzionamento».
"Pagina 99", 10 novembre 2017
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