Scuola città Pestalozzi 1950. In alto da sinistra: l'orto e la dstribuzione del latte. In basso da sinistra: il giornale ciclostilato e la musica |
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Eravamo tutti e due esonerati dall’ora di religione, in una strana
scuola di Firenze, circondata da un bel parco alle spalle della
chiesa di Santa Croce. Una scuola fondata nel dopoguerra da un
pedagogista sognatore, Ernesto Codignola, che l’aveva intitolata a
Pestalozzi. «Scuola-Città» era organizzata proprio come un piccolo
staterello autogestito a tempo pieno dai bambini: c’erano libere
elezioni dei rappresentanti, un sindaco, una giunta e una corte di
giustizia (anch’essa elettiva). Gabriele era giudice, io invece
assessore alla cultura (e direttore quindi del trimestrale
ciclostilato «Il nostro piccolo mondo»). In quella straordinaria e
inconsueta scuola, dove non c’erano i voti e ognuno studiava quel
che aveva voglia, ci muovevamo come allegri e spensierati pesciolini
d’acquario ignari del mare: i figli dei poveri del quartiere si
confondevano con quelli di qualche intellettuale di sinistra o
straniero di passaggio in città che aveva sentito parlare di questa
unica esperienza di utopia scolastica realizzata.
Da
Vado a vedere se di là è meglio, Sellerio 2010
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