La voce della memoria
è un bel titolo kunderiano per raccontare la storia di un luogo dove
realmente sono conservate tutte le voci del nostro passato. Questo
luogo magico dove ancora parlano il maresciallo Cadorna e il generale
Badoglio è la Discoteca di Stato di cui ora Roberto Rossetti, che ne
è stato direttore dal 1980 al 1989, rievoca le complesse vicende. Il
volume, stampato dai fratelli Palombi editori, sarà presentato il 18
maggio al Salone di Torino cui il ministero dei Beni culturali
partecipa con uno stand interamente dedicato ai suoni e alla musica.
"Approvo e mi
compiaccio", disse il Duce
La prima idea di
collezionare le voci dei grandi uomini, salvandole per la storia,
venne nel 1924 a Rodolfo De Angelis, lo chansonnier futurista amico
di Marinetti e di Prampolini con i quali aveva fondato il Teatro
della sorpresa. Si trattava di una compagnia che ovunque si esibisse
suscitava accoglienze irose e gli assordanti clamori della platea per
le sue provocazioni. Nell' impresa della discoteca, però, De Angelis
lasciò da parte il suo lato scanzonato e rissoso, e puntò
apertamente sul tono celebrativo. Cadorna recita il bollettino di
guerra del 7 novembre del 1917, sulla sconfitta di Caporetto, dando
alla sua voce, dopo sette anni dall'avvenimento, una vibrazione
patetica: “Con indicibile dolore, per la suprema salvezza
dell'esercito e della nazione, abbiamo dovuto abbandonare un lembo
del sacro suolo della Patria bagnato dal sangue glorificato dal più
puro eroismo dei soldati d' Italia”. Paolo Thaon de Revel legge con
virile slancio e nobiltà d'accenti, secondo il racconto dello stesso
De Angelis, Il bollettino della vittoria navale. Armando Diaz
proclama il Bollettino della vittoria e Badoglio ne è
leggermente seccato: “Peccato! esclama il suo segretario quando gli
riferiscono del messaggio di Diaz. Sarebbe stato bello se l'avesse
letto l'autore, alludendo allo stesso Badoglio che aveva collaborato
alla stesura del bollettino”. Mussolini invece rifiutò sempre, per
un suo scaramantico motivo, di registrare la propria voce. “C'è
tempo” faceva rispondere a tutte le richieste.
De Angelis raccontò i
suoi incontri con il Duce: “In abito presidenziale, cioè pantaloni
grigi a righe e ghette bianche, Mussolini sedeva dietro un tavolo del
tutto sgombro di carte, un solo documento davanti a sé, che stava
esaminando. Marinetti mi aveva avvertito che in quel salone non c'era
dove sedersi e che la distanza da percorrere per arrivare al tavolo
presidenziale era considerevole. Il dittatore tenne la testa bassa
finché non fummo a metà strada, poi la levò di scatto e tese la
mano, prima a Marinetti poi a me dicendomi: 'Venga avanti con
coraggio' (in quei giorni un giornale parigino aveva parlato dell'
orco Mussolini). Da Marinetti volle delucidazioni: 'Spiegami bene di
che si tratta'. Poi, rivolgendosi verso la mia parte domandò:
'Queste voci si potranno riudire nei secoli? Si potranno conservare
come si conservano i documenti, i libri le carte?' 'Eccellenza sì.'
'Approvo e mi compiaccio'.
In seguito a una analoga
richiesta dell' etnologo Gavino Gabriel, che per conto suo stava
organizzando un archivio fonografico, Mussolini si sottopose a un
provino, registrando al fonografo per due volte la frase L'ottobre
romano è un mese diletto agli dei e la cosa finì lì. La
Discoteca di Stato nacque infine nel 1928 inglobando le registrazioni
fatte da De Angelis, e Mussolini vi vide subito uno strumento per
lusingare il mondo della cultura o per punirlo. Infatti si riservò
ogni anno la designazione dei personaggi degni di entrare in questo
Pantheon dei suoni. È così che, mentre si registravano i burocrati
del regime, venivano escluse le voci di personaggi come Benedetto
Croce e Gabriele D' Annunzio e le esecuzioni di Toscanini. Il Duce
finì per dare una tale importanza a questo archivio sonoro da
volerlo trasferire al Nord nel periodo della Repubblica Sociale, un
trasferimento che costò la perdita di materiale prezioso. Fino al
1942, dice Rossetti, la Discoteca agì seguendo indicazioni che
venivano dall'alto. Con la caduta del fascismo le cose cambiarono, ma
solo fino ad un certo punto. Negli anni Cinquanta un direttore che
avesse registrato Togliatti o Nenni avrebbe rischiato il
licenziamento. Le loro voci sono state poi recuperate fortunosamente
dagli spezzoni di discorsi ripresi dalla Rai. In realtà, come
traspare da tutta la storia della Discoteca, il potere politico ha
sempre visto in questo istituto uno strumento utile ai propri fini
propagandistici, mentre i direttori più intraprendenti hanno
cercato, spesso inutilmente, di guadagnare al loro ente una maggiore
autonomia. La selezione è avvenuta non solo nella raccolta delle
voci storiche, una raccolta che poi per quattordici anni si è
interrotta del tutto, ma anche in campo musicale che pure costituisce
il settore più ricco e completo dell'istituto.
Nel 1903 incisero
un papa: Leone XIII
A patirne è stata
soprattutto la musica leggera: canzonette che hanno segnato un'epoca
sono state considerate indegne di passare ai posteri e gli stessi
Beatles sono stati recuperati sul mercato dell'antiquariato. Con
questi limiti, che il libro onestamente rileva, e ai quali i
direttori più recenti hanno cercato di rimediare, facendo
soprattutto ricorso agli archivi della Rai e ai fondi privati, la
Discoteca di Stato è per sempre depositaria di un affascinante e
prezioso patrimonio culturale ed è un importante strumento per le
ricerche storiche. Gli storici, si sa, sono riluttanti a utilizzare
fonti orali, ma le interviste ai protagonisti registrate dalla
Discoteca, soprattutto nell'ultimo decennio, hanno avuto un ambito
riconoscimento di attendibilità proprio da un austero consesso di
accademici in un convegno di quattro anni fa. Fra gli intervistati, a
parziale riparazione di tante censure, c'è anche un personaggio
politicamente scomodo come Giancarlo Pajetta. La Discoteca, come
tutti gli archivi che si rispettino, conserva inoltre documenti
ancora misteriosi sotto forma di cilindri di cera che racchiudono
probabilmente i suoni più antichi: più della voce di Leone XIII
incisa nel 1903, più di quella di Giuseppe Giacosa del 1900. Ma che
cosa contengano non si può sapere perché con l'ascolto la matrice
andrebbe persa per sempre.
“la Repubblica”, 5
maggio 1990
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