Quelle che seguono sono le parole
pronunciate da Binni al funerale di Aldo Capitini, a Perugia, il 21
ottobre 1968, pubblicate con il titolo Per Aldo Capitini in
«Il Ponte», a. XXIV, n. 11, novembre 1968, pp. 1325-1328; il testo
è stato poi raccolto, con il titolo Estremo commiato in W.
Binni, La tramontana a Porta Sole. Scritti perugini ed umbri
(1984 e successive edizioni). Lo “posto” in occasione del
cinquantenario della morte del pensatore e uomo politico perugino.
(S.L.L.)
Walter Binni e Aldo Capitini |
Queste inadeguate parole
che io pronuncio a nome degli amici più antichi e più recenti che
Aldo Capitini ebbe ed ha, per la sua eccezionale disposizione verso
gli altri, vorrebbero più che essere un saluto estremo e un motivato
omaggio alla sua presenza nella nostra storia privata e generale,
costituire solo un appoggio, per quanto esile e sproporzionato, ad
una tensione di concentrazione di tutti quanti lo conobbero e lo
amarono: tutti qui materialmente o idealmente raccolti in un intimo
silenzio profondo che queste parole vorrebbero non spezzare ma
accentuare, portandoci tutti a unirci a lui, nella nostra stessa
intera unione con lui e in lui, unione cui egli ci ha sollecitato e
ci sollecita con la sua vita, con le sue opere, con le sue possenti e
geniali intuizioni. Certo in questo «nobile e virile silenzio»
suggerito, come egli diceva, dalla morte di ogni essere umano, come
potremmo facilmente bruciare il momento struggente del dolore, della
lacerazione profonda provocata in noi dalla sua scomparsa? In noi che
appassionatamente sentiamo e soffriamo l’assenza di quella
irripetibile vitale presenza, con i suoi connotati concreti per
sempre sottratti al nostro sguardo affettuoso, al nostro abbraccio
fraterno, al nostro incontro, fonte per noi e per lui di ineffabile
gioia, di accrescimento continuo del nostro meglio e dei nostri
affetti più alti. Quel volto scavato, energico, supremamente
cordiale, quella fronte alta ed augusta, quelle mani pronte alla
stretta leale e confortatrice, quegli occhi profondi, severi, capaci
di sondare fulminei l’intimo dei nostri cuori ed intuire le nostre
pene e le nostre inquietudini, quel sorriso fraterno e luminoso, quel
gestire sobrio e composto, ma così carico di intima forza di
persuasione quella voce dal timbro chiaro e denso, scandito e
posseduto fino alle sue minime vibrazioni.
Tutto ciò che era suo,
inconfondibilmente e sensibilmente suo, ora ci attrae e ci turba
quanto più sappiamo che è per sempre scomparso con il suo corpo
morto ed inanime, che non si offrirà mai più ai nostri incontri, al
nostro affetto, nella sua casa, o in questi luoghi da lui e da noi
tanto amati, su questi colli perugini, malinconici e sereni, in cui
infinite volte lo incontrammo e che ora ci sembrano improvvisamente
privati della loro bellezza intensa se da loro è cancellata per
sempre la luce umana della sua figura e della sua parola.
E ognuno di noi, certo,
in questo momento, è come sopraffatto dall’onda dei ricordi più
minuti e perciò più struggenti quanto più remoti risorgono dalla
nostra memoria commossa in quei particolari fuggevoli e minimi che
proprio dalla poesia del caduco, del sensibile, dell’irripetibile,
traggono la loro forza emotiva piu sconvolgente e ci spingerebbero a
rievocare, a recuperare quel particolare luogo di incontro, quella
stanzetta della torre campanaria in cui un giorno - quel giorno
lontano - parlammo per la prima volta con lui, o quella piazzetta
cittadina - quella piazzetta - in cui improvvisamente lo vedemmo
illuminato dalla gioia dell’incontro inatteso, o quel colle
coronato di pini in cui insieme ci recammo con altri amici.
E ognuno di noi ripensa
certo ora alla propria vicenda e al segno profondo lasciatoci
dall’incontro con Capitini, fino a dover riconoscere - il caso di
quanti furono giovani in anni lontani - che essa sarebbe per noi
incomprensibile e non ricostruibile come essa si è svolta, senza
l’intervento di lui, senza la sua parola illuminante, senza i
problemi che lui ci aiutò ad impostare e a chiarire, spesso
contribuendo a decisive svolte nella nostra formazione e nella nostra
vita intellettuale, morale, politica.
Ma appunto proprio da
questo, dalla considerazione dell’immenso debito contratto con lui,
dalla nostra gratitudine e riconoscenza per quanto, con generosità e
disponibilità inesauribile, egli ci ha dato, veniamo riportati - al
di là del nostro dolore che sappiamo inesauribile e pronto a
risorgere ogni volte che ci colpirà un’immagine, un’eco, una
labile traccia della sua per sempre scomparsa consistenza concreta -
a quel momento ulteriore della nostra unione con lui che in occasione
della sua morte, e soprattutto dalle sue parole e dalle sue opere
abbiamo appreso a considerare come l’apertura del «muro del
pianto», della buia barriera della morte.
Perché qualunque siano
attualmente le nostre diverse prospettive ideologiche, esistenziali,
religiose o non religiose (e cosí, coerentemente, pratiche e
politiche), una cosa abbiamo tutti, credo, da lui imparata: la
scontentezza profonda della realtà a tutti i suoi livelli, la
certezza dei suoi limiti e dei suoi errori profondi, la volontà di
trasformarla, di aprirla, di liberarla.
È qui che il ricordo e
il dolore si tramutano in una tensione che ci unisce con Aldo nella
sua piu vera presenza attuale, nella sua non caduca presenza in noi e
nella storia, e ci riempie di un sentimento e di una volontà quale
egli ci chiede e ci comanda con tutta la sua vita e la sua opera piu
persuasa di combattere per una verità non immobile e ferma, ma
profonda ed attiva, concretata in quella prassi conseguente di cui
egli sosteneva proprio in questi ultimi giorni, parlando con me,
l’assoluto primato.Il morto, il crocifisso nella realtà, come egli
diceva, suggerisce infatti insieme il senso della nostra limitatezza
individuale in una realtà di per sé ostile e crudele (quante volte
abbiamo insieme ripetuto i versi di Montale con il loro circuito
chiuso: «la vita è più vana che crudele, più crudele che vana!»)
e la nostra possibilità o almeno il nostro dovere di tentare di
spezzare, di aprire quella limitatezza, di trasformare la realtà,
dalla società ingiusta e feroce alla natura indifferente alla sorte
dei singoli e al loro dolore. Li è il punto in cui convergono tutte
le folte componenti del pensiero originalissimo di Capitini: il tu e
il tu-tutti, il potere dal basso e di tutti, la nonviolenza,
l’apertura e l’aggiunta religiosa. Lì convergono in una profonda
spinta rinnovatrice le idee, le intuizioni (tese da una forza
espressiva che tocca spesso la poesia), gli atteggiamenti pratici di
Capitini.
Non accettare nessuna
ingiustizia e sopraffazione politica e sociale, non accettare la
legge egoistica del puro utile, non accettare la realtà naturale
grezza e sorda, e opporre a tutto ciò una volontà persuasa del
valore dell’uomo e delle sue forze solidali e arricchite dalla
«compresenza» attiva dei vivi e dei morti, tutte immesse a forzare
ed aprire i limiti della realtà verso una società e una realtà
resa liberata e fraterna anzitutto dall’amore e dalla rinuncia alla
soppressione fisica dell’avversario e del dissenziente, sempre
persuasibile e recuperabile nel suo meglio, mai cancellabile con la
violenza.
Di fronte a questo sforzo
consapevole e ai modi stessi della sua attuazione e della sua
configurazione precisa alcuni di noi possono essere anche
dissenzienti o diversamente disposti e operanti, ma nessuno che abbia
compreso l’enorme portata della lezione di Capitini può sfuggire a
questo nodo centrale del suo pensiero, nessuno può esimersi di dare
ad esso adesione o risposta, tanto esso è stringente, perentorio,
come perentoria è insieme la lezione di intransigenza morale e
intellettuale di Capitini, la sua netta distinzione di valore e
disvalore, la severità del suo stesso amore, pur così
illimitatamente aperto e persuaso del valore implicito in ogni essere
umano.
Proprio per questo amore
aperto e severo, questa nostra unione in lui e con lui - in presenza
della sua morte - non può lasciarci cosi come siamo di fronte alle
cose e di fronte a noi stessi, non può non tradursi in un impegno di
suprema lealtà, sincerità, volontà di trasformazione.
Capitini fu un vero
rivoluzionario nel senso piu profondo di questa grande parola: lo fu,
sin dalla sua strenua opposizione al fascismo, di fronte ad ogni
negazione della libertà e della democrazia (e ad ogni inganno
esercitato nel nome formale ed astratto di queste parole), lo fu di
fronte ad ogni violenza sopraffattrice, in sede politica e religiosa,
così come di fronte ad ogni tipo di ordine e autorità dogmatica ed
ingiusta (qualunque essa sia), lo fu persino, ripeto, di fronte alla
stessa realtà e al suo ordine di violenza e di crudeltà. Questo non
dobbiamo dimenticare, facendo di lui un sognatore ingenuo ed innocuo,
e sfuggendo così alle nostre stesse responsabilità più intere e
rifugiandosi nel nostro cerchio individualistico o nelle nostre
abitudini e convenzioni non soggette ad una continua critica e
volontà rinnovatrice.
Forse non a tutti noi si
aprirà il regno luminoso della realtà liberata e fraterna nei modi
precisi in cui Capitini la concepiva e la promuoveva, ma ad esso
dobbiamo pur tendere con appassionata energia.
Solo così il nostro
compianto per la tua scomparsa, carissimo, fraterno, indimenticabile
amico, diviene concreto ringraziamento e risposta alla tua voce più
profonda: solo così non ti lasceremo ombra fra le ombre o spoglia
inerte e consunta negli oscuri silenzi della tomba e proseguiremo
insieme, severamente rasserenati - come tu ci hai voluto - nel nostro
colloquio con te, con il tuo tu-tutti, attuandolo nel nostro faticoso
e fraterno impegno di uomini fra gli uomini, come tu ci hai chiesto e
come tu ci hai indicato con il tuo altissimo esempio.
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