Mimmo Lucano |
In un paese come l’Italia
in cui un partito al governo può restituire cinquanta milioni di
maltolto alle casse pubbliche in ottanta comode rate, in una regione
come la Calabria che non smette di essere massacrata da pratiche
amministrative criminali di ogni genere, accade che il sindaco di un
piccolo paese diventato in mezzo mondo simbolo dell’accoglienza ai
migranti venga arrestato per aver aiutato una nigeriana senza
permesso di soggiorno a sposarsi con un residente in modo da non
essere rispedita a casa, e per aver agevolato due cooperative
nell’assegnazione della raccolta dei rifiuti in modo da impiegare i
migranti in questo lavoro utile a tutta la comunità. Dopodiché
accade anche, prevedibilmente, che il ministro degli interni, che al
momento del proprio insediamento a quel sindaco aveva esplicitamente
dichiarato guerra, gongoli con un tweet contro “i buonisti che
vorrebbero riempire l’Italia di immigrati”; e un po’ – solo
un po’ – meno prevedibilmente che il suo sottosegretario
rivendichi sul “blog delle stelle” di avere azzerato il 5 agosto
scorso i finanziamenti a favore di quel sindaco, iscrivendolo
d’ufficio al “business dell’immigrazione” e al “sistema
criminale” che secondo lui ne beneficia: a definitiva smentita di
quanti vogliono ancora sperare in una tensione fra le politiche
sovraniste e razziste della Lega e quelle sovraniste e populiste dei
5 Stelle. Accade infine – ma a questo siamo abituati – che si
formi d’incanto, sui social e in tv, un partito di fan dello stato
di diritto e delle procure, che dello stato di diritto e delle
procure se ne infischiano quando a violare la legge in modo ben più
eclatante è lo stesso ministro degli interni di cui sopra, vedasi il
caso della nave Diciotti e non solo.
Mimmo Lucano non è solo.
Per tutta l’estate, a finanziamenti tagliati e con l’inchiesta
della procura di Locri già in corso da mesi, a Riace si sono
avvicendati, con l’intera galassia italiana dell’accoglienza,
sindaci (Ada Colau e Luigi De Magistris in primis), intellettuali e
artisti (Saviano e molti altri), il presidente (Pd) della giunta
regionale, e una interminabile processione di singoli e gruppi venuti
da tutta la regione, da tutt’Italia e da mezza Europa per esprimere
solidarietà a Lucano e resistenza a un governo nel frattempo
solertemente impegnato a chiudere i porti. Abbiamo fatto dibattiti e
feste in piazza, raccolto fondi, discusso della situazione. Sapevamo
perfettamente che se l’inchiesta era in cerca di illegalità le
avrebbe trovate: Lucano non ha mai negato, e rivendica nelle
intercettazioni incriminate, di aver inventato degli espedienti per
aggirare le maglie strette di una legislazione (Bossi-Fini e non
solo) fatta apposta non per agevolare ma per impedire l’accoglienza.
E rivendica di averlo fatto perché – come dargli torto? – la
giustizia non sempre coincide con la legalità, e in questi casi
bisogna stare dalla parte della giustizia. Si chiama disobbedienza
civile, ed è veramente sorprendente sentir dire, in queste ore, che
essa si attaglierebbe ai privati cittadini ma giammai a un pubblico
ufficiale quale è un sindaco.
Quanto al piano della
legalità, e fatta salva la presunzione di innocenza dalla quale
evidentemente ministri e sottosegretari prescindono allegramente,
l’inchiesta farà il suo corso, e peraltro si annuncia controversa:
per una procura che rivendica le sue accuse di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina e agita le prove in suo possesso, c’è
un Gip che invece riscontra superficialità e malcostume nella
gestione dei fondi Sprar ma non convalida le ipotesi di reato della
procura. Staremo a vedere. Ma non con le mani in mano: la posta in
gioco è più alta di quella giudiziaria. Perché se è vero che
l’inchiesta contro Mimmo Lucano è partita sotto il governo
Gentiloni, è altrettanto vero che adesso rischia di chiudere il
cerchio della strategia sovranista e razzista del governo
gialloverde, in entrambe le sue componenti. Cominciata – di nuovo
sotto il governo Gentiloni, ma ad opera dei 5Stelle allora
all’opposizione – con la criminalizzazione delle Ong nel
Mediterraneo e proseguita con l’accanimento giurato, dal ministro
degli interni in persona, contro l’esperimento Riace.
Questa strategia domanda
e comanda disobbedienza civile. Non riguarda “gli altri”, i
migranti e le migranti. Riguarda noi. Non solo i nostri valori, ma le
nostre vite. Quando si apre una falla, l’acqua dilaga ovunque. Sta
già dilagando: sulle case occupate dai senza tetto, sui centri
sociali, sui centri delle donne, sul libero associazionismo che tiene
ancora in vita un paese cadaverico. È il lato oscuro, disciplinante,
razzista e autoritario, del “governo del popolo” e dei suoi
proclami sull’abolizione della povertà. La campana suona a Riace,
ma suona per tutti.
"Internazionale", 2 ottobre
2019
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