Praga 68. Protesta accanto al carro armato |
Non
era un granché ospitale la Cecoslovacchia, nell’agosto 1968:
«Passata la frontiera, ci accorgemmo presto che i cartelli stradali
erano sbagliati, seguendo le indicazioni per Praga rischiavamo di
finire chissà dove. La popolazione li aveva rigirati per
disorientare gli invasori sovietici».
Pier
Francesco Pingitore, classe 1934, per gli amici Ninni, aveva fondato
nel 1965 il Bagaglino, futura mecca del cabaret romano, poi fucina di
spettacoli televisivi molto apprezzati dal grande pubblico. Nel 1966
aveva scritto con Dimitri Gribanovski una canzone in onore degli
insorti di Budapest (intonata tuttora negli stadi, spesso con parole
cambiate), per ricordare il decimo anniversario dell’intervento
militare sovietico. Non poteva rimanere indifferente all’analoga
aggressione contro la Cecoslovacchia.
«Per
la verità — precisa Pingitore—l’intera vicenda del Sessantotto
mi aveva coinvolto. Credo che un po’ tutti, al di là delle
divisioni politiche, fossero attirati dalla ventata di giovinezza che
attraversava una società apparsa fino a poco prima immobile,
soddisfatta del benessere prodotto dal boom economico».
Pier Francesco Pingitore |
Lui
e gli altri padri del Bagaglino, come Luciano Cirri, Raffaello Della
Bona, Piero Palumbo, venivano da esperienze di destra. Mario
Castellarci aveva combattuto per la repubblica di Salò. Quando però
nel 1967 Ernesto Guevara era stato ucciso in Bolivia, Pingitore gli
aveva dedicato la canzone Addio Che,
interpretata da Gabriella Ferri: «Ci definivamo anarchici di destra,
una formula che in realtà non significava nient’altro che il
rifiuto di tutte le etichette ideologiche. Quando esplose la
contestazione, decisi di fare un film per raccontarla. Girai
l’Europa. Raccolsi riprese degli scontri all’Università di Roma,
delle barricate nel Maggio parigino, delle manifestazioni di Londra,
Amsterdam, Berlino. In Francia l’operatore che era con me fu
picchiato dai poliziotti. Poi in estate parve che la bufera si
placasse».
Invece
no. A Praga, nella notte tra il 20 e il zi agosto, entrarono i carri
armati inviati dall’Unione sovietica per stroncare la Primavera di
Alexander Dubcek. «Non appena lo seppi — ricorda Pingitore —
partii di corsa con la mia macchina, un Giulia Sprint, insieme a un
cameraman. Oltre ai cartelli spostati, ce n’erano altri con la
scritta “Mosca km 1600”: un invito ai sovietici perché
tornassero a casa. Il 22 agosto giungemmo a Praga e andammo
all'ambasciata italiana. Trovammo solo funzionari: tutti i nostri
connazionali arrivati per ammirare il socialismo dal volto umano
erano partiti dopo l’invasione. E l’ambasciatore Nicolò Di
Bernardo ci esortò caldamente a seguirli, perché rischiavamo di
passare brutti guai».
Invece
rimasero: «Non mi andava di tornare a Roma con la coda tra le gambe,
anche perché la situazione offriva opportunità preziose per il
film. Tenendo nascosta la cinepresa, riprendemmo le scritte sui muri
che equiparavano i sovietici ai nazisti. E poi i ragazzi che si
avvicinavano con coraggio ai carri armati: un po’ deridevano i
soldati dell’Armata rossa e un po’ fraternizzavano con loro.
L’atmosfera però era cupa, anche in piazza San Venceslao, dove
alcuni giovani suonavano la chitarra. Non c’erano notizie di
Dubcek, prigioniero in Unione sovietica, tutti sapevano che la
Primavera era finita. Alloggiammo all’Hotel Savoy, deserto, dove in
portineria una signora non più giovane, che di certo era stata molto
bella, ci rivolse un appello accorato in francese: “Per favore,
dite al mondo come ci stanno trattando...”».
Poi
si diffuse la notizia che i sovietici stavano per chiudere le vie
d’accesso: «Salimmo in auto — racconta Pingitore — e lasciammo
Praga. Ma poco fuori città un carro armato ci sbarrò la strada e un
soldato ci ordinò di fermarci, avvicinandosi al finestrino. Mi
assalì la paura. Sul sedile posteriore c’era la cinepresa, coperta
solo da un maglioncino: se l’avessero requisita, tutto il viaggio
sarebbe stato vano. Allora tentai la mossa della disperazione per
distrarre il russo. Scesi di scatto, prendendolo alla sprovvista, poi
girai intorno alla macchina e aprii bagagliaio e valigia, tirando
fuori mutande, magliette e calzini. Lui diede un’occhiata e ci
lasciò andare. Guidai di filato per oltre venti ore: l’avevamo
scampata bella».
Così
le immagini di Praga invasa furono inserite nel film di Pingitore
Dipingi di giallo il tuo poliziotto:
«Usai come titolo la scritta goliardica che compariva sulle
bombolette di vernice gialla vendute all’epoca da una libreria
romana. Ma nessuno volle distribuire il film. Lo proiettarono per
qualche tempo al cinema Quirinetta, dove fece litigare gli
spettatori: quelli di destra lo trovavano troppo di sinistra, quelli
di sinistra l’esatto opposto».
Corriere
della sera, 5 agosto 2018
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