Trappeto 1954. Pescatori. Foto di Enzo Sellerio |
Mi sono commosso per il
ricordo di Luciano Della Mea che, dopo una lunga militanza di
sinistra socialista, fu nostro compagno nel lungo Sessantotto, tra
l'altro guidando la battaglia per la verità sulla morte di Franco
Serantini e partecipando alle esperienze che portarono alla
liberazione dei “matti” e alla chiusura dei manicomi.
Mi sono commosso per la
lunga e costruttiva presenza contro corrente di Danilo Dolci in
Sicilia, di cui qui sono rievocati gli inizi e che comportò denunce
e incarcerazioni quando incoraggiò con la sua civile disobbedienza
la ribellione non violenta contro il dominio mafioso. Non a caso Aldo
Capitini parlò di Trappeto come un modello esemplare della
“rivoluzione aperta” che egli proponeva.
Mi sono commosso per le
storie che Della Mea, guidato da Dolci fra i poveri di Trappeto,
racconta, per una umanità offesa che cerca vita e dignità.
La lettura è vivamente
consigliata (S.L.L.)
Stavo riposando
beatamente, quando Danilo Dolci da un piccolo paese della Sicilia si
è annunciato gettando una specie di mattone contro la mia finestra:
tutti i vetri si sono fracassati. Ho raccolto stupito il proiettile e
allora mi sono accorto che la forza dell’urto non era dovuta al
volume o al peso, bensì alla sostanza della cosa gettata da Dolci,
di per se stessa fragile, ma chiusa e vibrante nel messaggio, secco
come una imposizione: «Fare presto (e bene) perché si muore».
La prima reazione,
dettata certamente dalla pigrizia e da un certo sospetto verso la
rappresentazione fortemente drammatica delle cose, è stata: «Si
muore tutti, prima o poi, che cosa di nuovo può mai raccontarci il
giovane Dolci sulla morte?». Poi mi è capitata sotto gli occhi
questa frase: «Non è vero che tutti si campi. Venite a vedere. Io,
coi miei occhi, ho visto morire un bambino di fame. Ho visto coi miei
occhi, e li vedo tutti i giorni, tanti tanti bambini deformi per la
fame e per la mancanza di cure. Per dir solo dei piccoli ».
Allora ho avuto fiducia
in Danilo Dolci. Egli ha cuore cristiano, fa professione di
apostolato, non si cura granché di offendere i «valori morali e
religiosi» del popolo italiano, quando questi valori consistono
semplicemente nel far vedere e nel far
conoscere che in Italia tutto
va magnificamente, nel migliore dei modi, e che se qualche pecca c’è,
è meglio non darla in pasto al pubblico, è meglio lasciare che
venga risciacquata in famiglia, cioè lasciata tale e quale. Ho avuto
fiducia in Danilo Dolci, anche se ho potuto sorridere di certa sua
ingenua indignazione e di certe sue ingenue invocazioni, che sorgono
spontanee dal suo animo sincero. Mi sono lasciato accompagnare
tranquillamente da lui nella visita di Trappeto, che è il luogo «
dove si muore » e dove occorre «fare presto (e bene) » per
evitarlo.
Danilo Dolci in manette |
Trappeto è un paese di
circa 2800 abitanti, situato sul Golfo di Castellammare, a circa 50
km. da Palermo e a 10 da Montelepre.
Aveva il timbro
dell’innocenza offesa e dell’indignazione rattenuta Danilo Dolci
quando mi ha detto: «Da oltre dieci giorni qui, il pescatore che ha
guadagnato di più per la vendita del pesce pescato complessivamente
ha portato alla famiglia 250 lire. E il paese vive in grandissima
parte sulla pesca. È bastato che noi ripetessimo di queste
controllabilissime notizie, perchè qualcuno ci definisse «eretici»,
«idealisti », «comunisti» (oh, la divina virtù del silenzio
ipocrita!). «Basta che ci si muova da fratelli, da padri tra i più
miseri, perchè chi potrebbe e dovrebbe aiutare per lo più ci sbatta
fuori della porta. Ci hanno sputato addosso. Proprio sputo vero,
oltre le calunnie».
Allora ho guardato Dolci
Intendendo la sua forza morale e l’esilità della sua fiducia, e
non ho potuto fare a meno di pensare: «È assai che non ti abbiano
fatto ancora ammazzare. Sei troppo indifeso ».
Luciano Della Mea |
Ma Dolci non ha di questi
pensieri, si preoccupa più di carità e di grazia che di storia e di
politica. E parla, e la sua voce è insieme un’imprecazione e un
lamento: «Moltissime case sono in tali condizioni che un veterinario
ne sconsiglierebbe l’uso per delle vacche. E intanto i
motopescherecci fuori-legge continuano apertamente indisturbati lo
sfacelo delle possibilità della pesca. L’inverno scorso ho visto
con i miei occhi un neonato morire anche perché affamato, tra
centinaia e centinaia di casi dolorosissimi: bambini che non potevano
essere guariti perché non c’erano nelle case i danari per le
medicine, padri e madri pallidi dal digiuno e dalla preoccupazione
per la fame dei figli, malfermi vecchi di oltre settantanni costretti
a passare ancora tutta la notte in mare per rischiare di trovare
almeno qualcosa, vedove con numerosi figli a cui provvedere senza
alcun aiuto, malati in ospedale con la moglie e i figli nelle spoglie
case a digiuno, padri arrestati perchè costretti dalla fame dei
figli a prendere dal terreno altrui. C’è da muoversi subito.
Voglio fare penitenza perché tutti si diventi più buoni. Prima che
muoia un altro bambino di fame, intanto, voglio morire io... ».
Povero Danilo Dolci, così buon cristiano, così buon uomo, così
seme solitario di una carità che è come la lancia di Don
Chisciotte! Bisogna volergli bene, e il miglior modo di
dimostrarglielo è di credergli, di credere alla sua fede, e di
unirci con la nostra alla sua per aiutarlo, Trappeto in una con le
miserie, le vigliaccherie, la sporcizia del nostro Paese, la cui
bellezza, a volerla intendere, è ancora da costruire. Per ottenere
un contributo per i bisogni più urgenti, Dolci annunciò che avrebbe
smesso di mangiare, e infatti per otto giorni rimase digiuno.
Dolci ha voluto condurmi
a visitare un quartiere di Trappeto, chiamato il Vallone. Vi è
scavata in mezzo una affossatura che raccoglie tutti i rifiuti del
paese. Sul margine e nel liquido putrido giocano bambini e animali.
Su questa melma fetida si aprono «case». Una per una Danilo Dolci
me le ha fatte visitare, ed è disposto a farle visitare a ogni
italiano.
«Famiglia di 7 persone:
Gioacchino R. di anni 41, nato a Trappeto, si è sposato a 25 anni
con C. Angela, ora di anni 37, nata a Trappeto. Figli 5: di 15 anni,
12, 6, 4, 15 mesi. Casa di proprietà. Piove dal tetto di tegole e
canne (ci vurrisse venti mila lire per aggiustarlo: l’altra nuttata
di ventu sdirrubbau la ciminiera. Mi caricai li picciriddi e niscii
di dintra pinsannu ca si sdirrubbava la casa). Pavimento di cemento.
Un’alcova ove dormono insieme marito e moglie e due bambini, e una
stalla dove ora c’è un lettino su cui dormono i tre: la giovinetta
di quindici anni con la sorellina e un fratellino (e la sera le
zuffe, ca nun ci caponu, massima quannu c’è cauro; chidda non vole
essere tuccata. E ora ci entra na gabbia per dodici animali). Letti
di tavole di legno; lenzuola un paio per letto (sfaldate, mancu una
manta). Un tavolo senza un piede, una credenza con un solo vetro, 7
seggiole, 6 piatti, 5 forchette, 6 cucchiai... Vestiti: i 3 bambini
sono praticamente nudi, la bimba di 12 anni è senza scarpe... Ieri
che cosa mangiaste ? Ieri mangiammo alle rue (quattordici) pane e
sarde salate, alle sei pasta e fave.
Questa è una famiglia
del Vallone. Si entra e si esce dalle case, e press’a poco sono le
stesse risposte alle stesse domande. La festa? «Quannu avemu da
manciare è festa, quannu nun c'è sordi nun c’è festa. Quannu
capito travaglio, vado a travagliu, per campare la famiglia».
T’interessi della vita d’Italia ? «Noi come potemo interessarci
di questo? Avemo da capitare lu pane. Nuatri semu animali ca parlamu,
levandoci il battesimo».
In questa casa, in un
locale con due alcove, vivono due famiglie per complessive 12
persone. «Qualcuno si curca in terra ». Avevano un poco di terra
che è stata loro espropriata per pubblica utilità, ma dopo 4 anni
non è stata ancora pagata. Niente gabinetto, niente acqua. La porta
tutta sfasciata. Serve chiedere: «Ti interessi del mondo?». La
risposta giunge ovvia: «Cosa devo interessarmi se la notte desidero
la roba e il giorno il pane? Un anno e mezzo stare disoccupato, come
fazzu a comprare lu giornale? ».
Ecco cosa racconta C.
Giuseppa di anni 28: «Tre giorni fa avevamo mangiato un poco di
pasta, però il giorno decedente ero stata digiuna. Mio marito mi
aveva lasciato cento lire e mi erano avanzate cinque lire. Ad un
tratto mi venne una fame come non avevo mai provata. Una fame che
meglio la morte, e allora dissi: mangio ora, non importa anche se
domani dovessi restare digiuna. Son uscita come una pazza percorrere
a comprare 5 lire di zucchero ma per la strada sono caduta in terra».
«Che cos’è la
religione?», chiede Dolci ad Antonina C. d 19 anni. «Tutte cose mi
scordai. Sono due anni che non vado più in Chiesa », e la risposta.
Insomma nel Vallone i più
sono analfabeti o hanno dovuto interrompere alla seconda - alla terza
elementare per faticare. Vivono in di 5-10 persone in una o due
stanze. Il gabinetto o non c'è o è «nu pertusu» nel pavimento
della stanza stessa dove mangiano e dove dormono. Se hanno cucchiai,
non hanno forchette o bicchieri o pentole. Dalle pareti o dal tetto
entra acqua. Chi più, chi meno, sono malati, tubercolosi,
reumatismi, meningite, rachitismo. Nessuna o poche medicine, e in
questo caso debiti. Proprietà? « Camposanto, quando moremo». Cosa
mangiate? «Quando c'è lu pane senza companaggio. Alla sera pasta
anche squarata (scondita)». Oltre il lavoro cosa fanno? «Niente».
Religione? «Sono disfiziato (sono stanco di campare)». Desideri?
Una «casuzza», « travagliare », «pane per li picci-riddi». I
piccoli sono nudi o vestiti di qualche straccio. Tutti, per lo più,
sono scalzi, e non possono andare a scuola né in chiesa, sia perché
si vergognano, sia perché vengono mandati via. «Ca, ca a vulere?
Vurrissi un lettu completo ». .
«Leggi giornali e
libri?», tncalza Dolci. « Moneta, ne ho per comprarli?», risponde
Francesca S. «Ma mi potessi interessare e me ne struro (struggo) di
non potere ». E suo marito, Vincenzo C.: «Anche se diciamo una
parola giusta è sempre sbagliata perché non abbiamo denaro. Quelli
che ci hanno denaro anche che dicono una mala parola impostata è
sempre ben voluta da tutti, perché ci stanno sottoposti. Anche se la
mia parola è giusta non ha nessun valore». «Cosa vorresti? »,
chiede Dolci alla donna. « Ca me maritu lavorasse giornalmente, e si
avesse ciò che occorre in casa. No che avemu da mangiare pane e
acqua per vivere. Accussì si campa? ».
♦
Cosi si muore. Ed è
prima di tutto una morte civile. E i responsabili (proprietari,
padroni, autorità) la fanno da becchini. E non c’è religione.
C’è superstizione.
«Per riuscire a sbancare il banco (un tesoro favoloso nascosto
chissà dove) occorre il sangue degli innocenti, bisognerebbe cioè
sgozzare dei bambini e portare là il loro sangue. Anche ultimamente
è stato trovato vicino Palermo, sgozzato, un fanciullo. Quando una
donna non si può sposare perché non c’è nessuno che la vuole,
spesso prende un po’ di sangue delle proprie mestruazioni e lo
mette nella pasta, nel vino o nella sigaretta dell'interessato «così
quello ci mette più affetto». «La mugghiere quanno more lu maritu
sta un anno senza nascere di dintra e letto non se ne conza (la
moglie quando muore il marito sta un anno senza uscire di casa e non
rifà il letto) anche per 6 mesi e più. Non si battono i materassi,
non si lavano le lenzuola se no significa che fa pulizia per
maritarsi arré e se si scopa si tiene la porta chiusa in modo che
nessuno veda se no la gente dice che ha fretta. Se una tiene la casa
pulita o si fa vedere a lavarsi nei mesi successivi alla morte del
marito la sparlano. Quando però nel letto ci fossero i pidocchi si
può ammazzarli, ma a porte chiu-i se se no la gente sparla »,
♦
Occorre anzitutto che la
fenditura del Vallone sia chiusa per sempre. Gli uomini e le donne
hanno bisogno di lavoro e di un guadagno sicuro. Questa è la strada
per metterli in condizione di mangiare tutti i giorni e di curarsi.
Occorrono case nuove e pulite, asili per i bambini, refezioni
scolastiche e libri, medicine gratuite. Questa è la strada per
avviare la gente di Trappeto a una vita civile.
Con il pane sicuro, le
cure e l’istruzione si vincono la superstizione, le epidemie, la
paura, l'apatia. Non v'è altro mezzo. C’è nelle risposte delle
famiglie del Vallone, nella loro stessa spaventosa realtà, un
vigore, una forza concreti che, alimentati, forniti di mezzi
risulterebbero costruttivi. Occorre della politica, e la migliore
politica, in questo caso, è di dare a questi uomini, queste donne,
questi ragazzi, fiducia nella vita: e allora lavoro, vestiti, case,
assistenza, ecc. Ma l’Italia ufficiale rifugge da questi documenti,
non vuole testimonianze, fotografie, doeumentari. Vuole canti di
gente in costume, canti dalla bella Italia, «paese du sole».
Dice Danilo Dolci, a
chiusura del discorso: «Ieri e oggi ci ha raccontato una donna che
suo marito è guarito dalla malaria bevendo un bicchiere d’orina.
Intanto, a quattro chilometri da qui, è stato trovato in un agrumeto
un altro uomo ucciso a fucilate. Gran parte del gangsterismo
americano è di origine siciliana. La recente inchiesta parlamentare
sulla miseria ha constatata che in queste province muoiono circa
dieci bambini su cento ai poveri, e un bambino su cento ai ricchi.
Sono state accolte nella scuola due bambine. Abitavano in un porcile
di tre metri per due e ottanta con due altre sorelline (e un’altra
creatura stava per nascere), padre, madre e il porco, titolare
dell’ambiente, oltre ad alcune galline. La più piccola aveva
intorno, addosso, una tela stretta stretta, così stretta che non si
è potuta levare che strappandola: da tanto tempo la portava. La
piccola non sa evacuare che sul pavimento o in letto. Se portata al
gabinetto si terrorizza. Giovannino D. A., di cinque anni, lasciato
solo a pascolare un gregge, quando l’arsura io prendeva alla gola,
beveva la sua orina...
♦
Trappeto non è molto
distante, è comunque In Italia. Chi non crede a queste cose può
andare a vedere: sarebbe, fra l’altro, un ottimo impiego del tempo
di ferie. Chi a queste cose crede, può visitare Trappeto anche
standosene a casa: ce lo accompagna Danilo Dolci, con il suo libro
Fare presto (e bene) perché si muore », edito da De Silva e
in vendita presso «La Nuova Italia» di Firenze.
“Avanti!”, 20 maggio
1954
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