22.10.18

Sicilia 1954. Danilo Dolci a Trappeto (Luciano Della Mea)

Trappeto 1954. Pescatori. Foto di Enzo Sellerio
Cercando altro ho trovato su un numero dell'“Avanti!” di tanti anni fa un reportage di Luciano Della Mea sull'esperienza di Danilo Dolci a Trappeto e – per tante ragioni – mi sono commosso.
Mi sono commosso per il ricordo di Luciano Della Mea che, dopo una lunga militanza di sinistra socialista, fu nostro compagno nel lungo Sessantotto, tra l'altro guidando la battaglia per la verità sulla morte di Franco Serantini e partecipando alle esperienze che portarono alla liberazione dei “matti” e alla chiusura dei manicomi.
Mi sono commosso per la lunga e costruttiva presenza contro corrente di Danilo Dolci in Sicilia, di cui qui sono rievocati gli inizi e che comportò denunce e incarcerazioni quando incoraggiò con la sua civile disobbedienza la ribellione non violenta contro il dominio mafioso. Non a caso Aldo Capitini parlò di Trappeto come un modello esemplare della “rivoluzione aperta” che egli proponeva.
Mi sono commosso per le storie che Della Mea, guidato da Dolci fra i poveri di Trappeto, racconta, per una umanità offesa che cerca vita e dignità.
La lettura è vivamente consigliata (S.L.L.)

Stavo riposando beatamente, quando Danilo Dolci da un piccolo paese della Sicilia si è annunciato gettando una specie di mattone contro la mia finestra: tutti i vetri si sono fracassati. Ho raccolto stupito il proiettile e allora mi sono accorto che la forza dell’urto non era dovuta al volume o al peso, bensì alla sostanza della cosa gettata da Dolci, di per se stessa fragile, ma chiusa e vibrante nel messaggio, secco come una imposizione: «Fare presto (e bene) perché si muore».
La prima reazione, dettata certamente dalla pigrizia e da un certo sospetto verso la rappresentazione fortemente drammatica delle cose, è stata: «Si muore tutti, prima o poi, che cosa di nuovo può mai raccontarci il giovane Dolci sulla morte?». Poi mi è capitata sotto gli occhi questa frase: «Non è vero che tutti si campi. Venite a vedere. Io, coi miei occhi, ho visto morire un bambino di fame. Ho visto coi miei occhi, e li vedo tutti i giorni, tanti tanti bambini deformi per la fame e per la mancanza di cure. Per dir solo dei piccoli ».
Allora ho avuto fiducia in Danilo Dolci. Egli ha cuore cristiano, fa professione di apostolato, non si cura granché di offendere i «valori morali e religiosi» del popolo italiano, quando questi valori consistono semplicemente nel far vedere e nel far
Danilo Dolci in manette
conoscere che in Italia tutto va magnificamente, nel migliore dei modi, e che se qualche pecca c’è, è meglio non darla in pasto al pubblico, è meglio lasciare che venga risciacquata in famiglia, cioè lasciata tale e quale. Ho avuto fiducia in Danilo Dolci, anche se ho potuto sorridere di certa sua ingenua indignazione e di certe sue ingenue invocazioni, che sorgono spontanee dal suo animo sincero. Mi sono lasciato accompagnare tranquillamente da lui nella visita di Trappeto, che è il luogo « dove si muore » e dove occorre «fare presto (e bene) » per evitarlo.
Trappeto è un paese di circa 2800 abitanti, situato sul Golfo di Castellammare, a circa 50 km. da Palermo e a 10 da Montelepre.
Aveva il timbro dell’innocenza offesa e dell’indignazione rattenuta Danilo Dolci quando mi ha detto: «Da oltre dieci giorni qui, il pescatore che ha guadagnato di più per la vendita del pesce pescato complessivamente ha portato alla famiglia 250 lire. E il paese vive in grandissima parte sulla pesca. È bastato che noi ripetessimo di queste controllabilissime notizie, perchè qualcuno ci definisse «eretici», «idealisti », «comunisti» (oh, la divina virtù del silenzio ipocrita!). «Basta che ci si muova da fratelli, da padri tra i più miseri, perchè chi potrebbe e dovrebbe aiutare per lo più ci sbatta fuori della porta. Ci hanno sputato addosso. Proprio sputo vero, oltre le calunnie».
Allora ho guardato Dolci Intendendo la sua forza morale e l’esilità della sua fiducia, e non ho potuto fare a meno di pensare: «È assai che non ti abbiano fatto ancora ammazzare. Sei troppo indifeso ».
Luciano Della Mea
Ma Dolci non ha di questi pensieri, si preoccupa più di carità e di grazia che di storia e di politica. E parla, e la sua voce è insieme un’imprecazione e un lamento: «Moltissime case sono in tali condizioni che un veterinario ne sconsiglierebbe l’uso per delle vacche. E intanto i motopescherecci fuori-legge continuano apertamente indisturbati lo sfacelo delle possibilità della pesca. L’inverno scorso ho visto con i miei occhi un neonato morire anche perché affamato, tra centinaia e centinaia di casi dolorosissimi: bambini che non potevano essere guariti perché non c’erano nelle case i danari per le medicine, padri e madri pallidi dal digiuno e dalla preoccupazione per la fame dei figli, malfermi vecchi di oltre settantanni costretti a passare ancora tutta la notte in mare per rischiare di trovare almeno qualcosa, vedove con numerosi figli a cui provvedere senza alcun aiuto, malati in ospedale con la moglie e i figli nelle spoglie case a digiuno, padri arrestati perchè costretti dalla fame dei figli a prendere dal terreno altrui. C’è da muoversi subito. Voglio fare penitenza perché tutti si diventi più buoni. Prima che muoia un altro bambino di fame, intanto, voglio morire io... ». Povero Danilo Dolci, così buon cristiano, così buon uomo, così seme solitario di una carità che è come la lancia di Don Chisciotte! Bisogna volergli bene, e il miglior modo di dimostrarglielo è di credergli, di credere alla sua fede, e di unirci con la nostra alla sua per aiutarlo, Trappeto in una con le miserie, le vigliaccherie, la sporcizia del nostro Paese, la cui bellezza, a volerla intendere, è ancora da costruire. Per ottenere un contributo per i bisogni più urgenti, Dolci annunciò che avrebbe smesso di mangiare, e infatti per otto giorni rimase digiuno.
Dolci ha voluto condurmi a visitare un quartiere di Trappeto, chiamato il Vallone. Vi è scavata in mezzo una affossatura che raccoglie tutti i rifiuti del paese. Sul margine e nel liquido putrido giocano bambini e animali. Su questa melma fetida si aprono «case». Una per una Danilo Dolci me le ha fatte visitare, ed è disposto a farle visitare a ogni italiano.
«Famiglia di 7 persone: Gioacchino R. di anni 41, nato a Trappeto, si è sposato a 25 anni con C. Angela, ora di anni 37, nata a Trappeto. Figli 5: di 15 anni, 12, 6, 4, 15 mesi. Casa di proprietà. Piove dal tetto di tegole e canne (ci vurrisse venti mila lire per aggiustarlo: l’altra nuttata di ventu sdirrubbau la ciminiera. Mi caricai li picciriddi e niscii di dintra pinsannu ca si sdirrubbava la casa). Pavimento di cemento. Un’alcova ove dormono insieme marito e moglie e due bambini, e una stalla dove ora c’è un lettino su cui dormono i tre: la giovinetta di quindici anni con la sorellina e un fratellino (e la sera le zuffe, ca nun ci caponu, massima quannu c’è cauro; chidda non vole essere tuccata. E ora ci entra na gabbia per dodici animali). Letti di tavole di legno; lenzuola un paio per letto (sfaldate, mancu una manta). Un tavolo senza un piede, una credenza con un solo vetro, 7 seggiole, 6 piatti, 5 forchette, 6 cucchiai... Vestiti: i 3 bambini sono praticamente nudi, la bimba di 12 anni è senza scarpe... Ieri che cosa mangiaste ? Ieri mangiammo alle rue (quattordici) pane e sarde salate, alle sei pasta e fave. 
Questa è una famiglia del Vallone. Si entra e si esce dalle case, e press’a poco sono le stesse risposte alle stesse domande. La festa? «Quannu avemu da manciare è festa, quannu nun c'è sordi nun c’è festa. Quannu capito travaglio, vado a travagliu, per campare la famiglia». T’interessi della vita d’Italia ? «Noi come potemo interessarci di questo? Avemo da capitare lu pane. Nuatri semu animali ca parlamu, levandoci il battesimo».
In questa casa, in un locale con due alcove, vivono due famiglie per complessive 12 persone. «Qualcuno si curca in terra ». Avevano un poco di terra che è stata loro espropriata per pubblica utilità, ma dopo 4 anni non è stata ancora pagata. Niente gabinetto, niente acqua. La porta tutta sfasciata. Serve chiedere: «Ti interessi del mondo?». La risposta giunge ovvia: «Cosa devo interessarmi se la notte desidero la roba e il giorno il pane? Un anno e mezzo stare disoccupato, come fazzu a comprare lu giornale? ».
Ecco cosa racconta C. Giuseppa di anni 28: «Tre giorni fa avevamo mangiato un poco di pasta, però il giorno decedente ero stata digiuna. Mio marito mi aveva lasciato cento lire e mi erano avanzate cinque lire. Ad un tratto mi venne una fame come non avevo mai provata. Una fame che meglio la morte, e allora dissi: mangio ora, non importa anche se domani dovessi restare digiuna. Son uscita come una pazza percorrere a comprare 5 lire di zucchero ma per la strada sono caduta in terra».
«Che cos’è la religione?», chiede Dolci ad Antonina C. d 19 anni. «Tutte cose mi scordai. Sono due anni che non vado più in Chiesa », e la risposta.
Insomma nel Vallone i più sono analfabeti o hanno dovuto interrompere alla seconda - alla terza elementare per faticare. Vivono in di 5-10 persone in una o due stanze. Il gabinetto o non c'è o è «nu pertusu» nel pavimento della stanza stessa dove mangiano e dove dormono. Se hanno cucchiai, non hanno forchette o bicchieri o pentole. Dalle pareti o dal tetto entra acqua. Chi più, chi meno, sono malati, tubercolosi, reumatismi, meningite, rachitismo. Nessuna o poche medicine, e in questo caso debiti. Proprietà? « Camposanto, quando moremo». Cosa mangiate? «Quando c'è lu pane senza companaggio. Alla sera pasta anche squarata (scondita)». Oltre il lavoro cosa fanno? «Niente». Religione? «Sono disfiziato (sono stanco di campare)». Desideri? Una «casuzza», « travagliare », «pane per li picci-riddi». I piccoli sono nudi o vestiti di qualche straccio. Tutti, per lo più, sono scalzi, e non possono andare a scuola né in chiesa, sia perché si vergognano, sia perché vengono mandati via. «Ca, ca a vulere? Vurrissi un lettu completo ». .
«Leggi giornali e libri?», tncalza Dolci. « Moneta, ne ho per comprarli?», risponde Francesca S. «Ma mi potessi interessare e me ne struro (struggo) di non potere ». E suo marito, Vincenzo C.: «Anche se diciamo una parola giusta è sempre sbagliata perché non abbiamo denaro. Quelli che ci hanno denaro anche che dicono una mala parola impostata è sempre ben voluta da tutti, perché ci stanno sottoposti. Anche se la mia parola è giusta non ha nessun valore». «Cosa vorresti? », chiede Dolci alla donna. « Ca me maritu lavorasse giornalmente, e si avesse ciò che occorre in casa. No che avemu da mangiare pane e acqua per vivere. Accussì si campa? ».


Cosi si muore. Ed è prima di tutto una morte civile. E i responsabili (proprietari, padroni, autorità) la fanno da becchini. E non c’è religione.
C’è superstizione. «Per riuscire a sbancare il banco (un tesoro favoloso nascosto chissà dove) occorre il sangue degli innocenti, bisognerebbe cioè sgozzare dei bambini e portare là il loro sangue. Anche ultimamente è stato trovato vicino Palermo, sgozzato, un fanciullo. Quando una donna non si può sposare perché non c’è nessuno che la vuole, spesso prende un po’ di sangue delle proprie mestruazioni e lo mette nella pasta, nel vino o nella sigaretta dell'interessato «così quello ci mette più affetto». «La mugghiere quanno more lu maritu sta un anno senza nascere di dintra e letto non se ne conza (la moglie quando muore il marito sta un anno senza uscire di casa e non rifà il letto) anche per 6 mesi e più. Non si battono i materassi, non si lavano le lenzuola se no significa che fa pulizia per maritarsi arré e se si scopa si tiene la porta chiusa in modo che nessuno veda se no la gente dice che ha fretta. Se una tiene la casa pulita o si fa vedere a lavarsi nei mesi successivi alla morte del marito la sparlano. Quando però nel letto ci fossero i pidocchi si può ammazzarli, ma a porte chiu-i se se no la gente sparla »,


Occorre anzitutto che la fenditura del Vallone sia chiusa per sempre. Gli uomini e le donne hanno bisogno di lavoro e di un guadagno sicuro. Questa è la strada per metterli in condizione di mangiare tutti i giorni e di curarsi. Occorrono case nuove e pulite, asili per i bambini, refezioni scolastiche e libri, medicine gratuite. Questa è la strada per avviare la gente di Trappeto a una vita civile.
Con il pane sicuro, le cure e l’istruzione si vincono la superstizione, le epidemie, la paura, l'apatia. Non v'è altro mezzo. C’è nelle risposte delle famiglie del Vallone, nella loro stessa spaventosa realtà, un vigore, una forza concreti che, alimentati, forniti di mezzi risulterebbero costruttivi. Occorre della politica, e la migliore politica, in questo caso, è di dare a questi uomini, queste donne, questi ragazzi, fiducia nella vita: e allora lavoro, vestiti, case, assistenza, ecc. Ma l’Italia ufficiale rifugge da questi documenti, non vuole testimonianze, fotografie, doeumentari. Vuole canti di gente in costume, canti dalla bella Italia, «paese du sole».
Dice Danilo Dolci, a chiusura del discorso: «Ieri e oggi ci ha raccontato una donna che suo marito è guarito dalla malaria bevendo un bicchiere d’orina. Intanto, a quattro chilometri da qui, è stato trovato in un agrumeto un altro uomo ucciso a fucilate. Gran parte del gangsterismo americano è di origine siciliana. La recente inchiesta parlamentare sulla miseria ha constatata che in queste province muoiono circa dieci bambini su cento ai poveri, e un bambino su cento ai ricchi. Sono state accolte nella scuola due bambine. Abitavano in un porcile di tre metri per due e ottanta con due altre sorelline (e un’altra creatura stava per nascere), padre, madre e il porco, titolare dell’ambiente, oltre ad alcune galline. La più piccola aveva intorno, addosso, una tela stretta stretta, così stretta che non si è potuta levare che strappandola: da tanto tempo la portava. La piccola non sa evacuare che sul pavimento o in letto. Se portata al gabinetto si terrorizza. Giovannino D. A., di cinque anni, lasciato solo a pascolare un gregge, quando l’arsura io prendeva alla gola, beveva la sua orina...

Trappeto non è molto distante, è comunque In Italia. Chi non crede a queste cose può andare a vedere: sarebbe, fra l’altro, un ottimo impiego del tempo di ferie. Chi a queste cose crede, può visitare Trappeto anche standosene a casa: ce lo accompagna Danilo Dolci, con il suo libro Fare presto (e bene) perché si muore », edito da De Silva e in vendita presso «La Nuova Italia» di Firenze.

“Avanti!”, 20 maggio 1954

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