Con l'impegno
e
il carisma di superstar,
l'architetto
brasiliano
ha imposto nel suo paese
una versione
politicamente accreditata
del modernismo
politicamente accreditata
del modernismo
Se è vero quello che
usava dire Giovanni Michelucci, e cioè che «l'architettura è un
paese per vecchi» (o meglio per longevi), allora Oscar Niemeyer è
stato di certo il decano del ristretto club di maestri ultralongevi
che hanno accompagnato l'intera parabola di ascesa, diffusione e
declino dell'architettura moderna lungo tutto il secolo ventesimo.
Philip Johnson (1906-2005) e Ignazio Gardella (1905-1999), oltre allo
stesso Michelucci (1891-1990) e a pochi altri eroi modernisti, hanno
esteso il loro impegno professionale e la loro voglia di partecipare
alla discussione fino alla soglia del cento anni, Niemeyer si è
spento nella notte di mercoledì a quasi 105 anni, dopo aver preso
parte ancora di recente all'inaugurazione di edifici e sculture
urbane seguite con passione fino all'ultimo.
Nato a Rio de Janeiro il
15 dicembre 1907, laureato nel 1934, apprendista nello stesso anno
presso lo studio del suo docente e indiscusso fondatore del
modernismo sudamericano, Lucio Costa, Niemeyer ha già nel 1936 la
possibilità di incontrare e collaborare con Le Corbusier, chiamato
come consulente al gruppo di progettazione del nuovo ministero
brasiliano dell'educazione. Da quel momento non avrà più dubbi su
come mettere a frutto la sua torrenziale produttività e il suo
sconfinato talento. Le Corbusier è e rimarrà sempre il suo faro,
dispositivo necessario per mettere insieme l'ottimismo politico e
figurativo del primo modernismo con le passioni sudamericane per la
luce accecante, il cemento brut o intonacato di bianco, l'ardimento
strutturale e la potenza curva e scultorea del barocco brasiliano del
XVIII secolo.
Le opere del primo
periodo di Niemeyer sono l'applicazione perfetta di questa versione
antirazionalista di un lessico moderno fatto di edifici sospesi su
pilotis, frangisole, tetti-giardino, promenades architettoniche
ardite e sorprendenti. Il tutto però tradotto e adattato a una
«scala americana», dove tutto è più grande, più nitido, più
letterale. Il padiglione brasiliano per la fiera di New York del 1939
(con Lucio Costa) e gli edifici per il quartiere di Pampulha a Belo
Horizonte (1941-42) sono le icone di un periodo particolarmente
felice, nel quale si consolida anche la collaborazione con il
paesaggista/pittore Roberto Burle Marx. Insieme precisano una specie
di nuovo stile nazionale, che si basa su un'armonia tra il disegno
delle forme architettoniche e quello degli spazi aperti che il
modernismo europeo e nordamericano non raggiungono mai.
I progetti per Pampulha
sono anche l'occasione per un altro incontro cruciale dopo quelli con
Lucio Costa e Le Corbusier. A chiamarlo infatti è il giovane sindaco
di Belo Horizonte, Juscelino Kubitschek de Olivair, futuro presidente
del Brasile e futuro deus ex machina della fondazione di Brasilia.
Attraverso la collaborazione con le istituzioni politiche e le
vicende storiche del decennio della guerra mondiale, Niemeyer si
avvicina al comunismo e non lo abbandonerà più: «Oscar Niemeyer e
io - dirà un giorno Fidel Castro - siamo gli ultimi comunisti».
L'impegno politico, il
suo carisma artistico e la vicinanza con la classe dirigente del
paese permettono all'architetto carioca di sviluppare in Brasile una
versione politicamente accreditata del modernismo, che acquisisce
quello status di stile progressista «ufficiale» che in Europa non
otterrà mai: «l'architettura moderna finisce per essere accolta in
Brasile - spiega Frampton - come una questione di politica
nazionale». Dopo aver partecipato nel 1947 alla sofferta gestazione
del progetto Palazzo delle Nazioni di New York, poi firmato da
Harrison, nel 1955 Niemeyer progetta la sua prima opera importante
fuori dai confini del paese: il museo di arte moderna di Caracas.
Il Museo di Rio de Janeiro |
Nel 1956 Kubitschek,
diventato presidente, lo chiama a casa sua e gli dice che insieme
devono costruire la nuova capitale nel cuore remoto del paese:
Brasilia. Niemeyer reagisce in due modi: da un lato comincia da
subito a progettare alcuni degli edifici cardine della nuova città,
il Palazzo del Governatore, l'albergo dei funzionari, e dall'altro
organizza il concorso per il disegno del masterplan, che sarà
rapidamente aggiudicato al suo vecchio maestro, Lucio Costa. Nata
forse sotto l'influenza del progetto lecorbusiano per la capitale del
Punjab, Chandigarh, per molti critici Brasilia rappresenta per
Niemeyer uno snodo simile a quello che la città indiana segna per
Corbu: la scala large diventa extralarge, la monumentalità e
l'assialità hanno la meglio sulla plasticità, l'architettura
istituzionale trova insormontabili ostacoli nel dialogo con la città
minore e i quartieri degli abitanti comuni, l'unica linfa viene dalla
crescita incontrollata delle favelas. La critica ha di certo
fondamento, ma è vero anche che la continuità tra l'opera pre e
postbrasilia rimane piuttosto solida.
Il Pantheon della patria e della libertà a Brasilia |
Vero è, comunque, che
dopo Brasilia Niemeyer sembra consapevole di godere di una libertà
virtualmente sconfinata: può permettersi qualsiasi stravaganza
formale e qualsiasi azzardo strutturale, il suo paese e i tecnici si
impegneranno al massimo per realizzarli. Il talento scorre così
senza freni, alternando edifici e opere il cui manierismo si fa a
volte ansiogeno. Ma è ancora una volta la politica brasiliana a
imprimere una svolta nella sua biografia. Nel 1961 si installa una
dittatura militare che ovviamente non è particolamente a suo agio
con l'influenza e lo stile di lavoro del progettista. Lentamente
Niemeyer viene indotto a allontanarsi dal paese e infine nel 1965
trasferisce il suo studio a Parigi, da dove si dedica a un'attività
di carattere decisamente internazionale. Lavora in Libia, in Algeria
(l'università di Constantine, l'aeroporto di Algeri) costruisce
complessi importanti a Tel Aviv e Haifa, realizza a Parigi la sede
del partito comunista e la torre della Défense. Negli anni ottanta,
tornata la democrazia, torna a lavorare in Brasile e realizza, oltre
a un'altra serie di progetti per Brasilia, i suoi edifici più noti e
riusciti, la Passarela do Samba a Rio (1985) e il bellissimo museo di
Niteroi (1996).
A suo modo Niemeyer è un
mito globale e una superstar antelitteram, abituato a un carisma e a
un ruolo sociale che al tempo il Sudamerica ricosceva solo ai poeti e
ai politici e che ha avuto influenza sulla sua fama internazionale,
fino al Pritzker Prize assegnatogli nel 1988. In Italia è noto
soprattutto per due edifici, entrambi molto conosciuti. Il primo,
terminato nel 1975, è la sede della Mondadori a Segrate, una specie
di acrobazia strutturale sospesa su grandi specchi d'acqua, destinata
a dimostrare che il tardomodernismo non era solo fatto di noiose
facciate continue di vetro e infissi. Il secondo, appena inaugurato,
è il controverso auditorium di Ravello, un guscio bianco di cemento
appoggiato con molto coraggio e qualche goffaggine (comprensibile in
un signore di più di cent'anni) sulla rupe scoscesa che da Ravello
scende al mare.
Proprio la disarmante
produttività di Niemeyer, il suo facile accesso al successo presso
pubblico e istituzioni ha spesso reso la critica diffidente nei suoi
confronti. I giudizi sono alterni e gli studi monografici seri non
abbondano, soprattutto in anni recenti, soprattutto in Italia, se si
esclude un bellissimo numero dedicato da «Casabella» ai
cinquant'anni di Brasilia nel marzo 2007. La sua scomparsa sarà di
certo occasione per colmare questa lacuna.
il manifesto, 7 dicembre
2012
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