Da Il Paese mancato di
Guido Crainz (Donzelli), 2003, un bel libro che racconta gli anni 60,
70 e 80 della nostra storia nazionale, riprendo le pagine
sull'eccidio di Avola del 2 dicembre 1968 e ciò che ne seguì in
tutta Italia, una sintesi puntuale e convincente. Personalmente
ricordo le due manifestazioni a cui partecipai: una al mio paese,
organizzata dalla Camera del Lavoro e in prima persona da Giovanni
Burgio che, al tempo, ne era segretario; e a Palermo, organizzata dal
movimento studentesco dove particolarmente combattivo era il gruppo
di Cinisi, guidato da Peppino Impastato. (S.L.L.)
A dieci anni dall’inizio
del «miracolo economico», nelle campagne meridionali permangono
larghe aree di miseria e ancora si registrano quà e là i sussulti
di lotte bracciantili esasperate. Così è nel 1967 nel catanzarese:
l’antica rivendicazione di terre lasciate incolte e di terreni
demaniali usurpati dai grandi proprietari si mescola alle lotte per
il lavoro. Povertà di lunga data e nuove forme di disagio si
intrecciano: “Vanno al lavoro in motoretta - scrive Sergio Turane
in riferimento proprio ad Avola - ma sono sempre più insicuri e
coscienti di questa insicurezza. È la tragedia del bracciantato
agricolo alla vigilia degli anni settanta”. In questa «vigilia»
ricompaiono le occupazioni dei fondi (compiute da «giovani
braccianti della terra, disoccupati cronici, con al seguito
l’immancabile codazzo di donne e ragazzi») e gli assalti ai
municipi. Ritornano i blocchi delle strade e dei centri abitati per
impedire l’afflusso di crumiri: in qualche zona, come in passato,
il transito è permesso solo con lasciapassare firmati dalle Camere
del Lavoro. Nel 1967 e nel 1968 in Sicilia e in Puglia
l’intransigenza degli agrari provoca scioperi di grande asprezza,
con duri scontri con la forza pubblica e con proteste clamorose nei
confronti degli stessi dirigenti sindacali, accusati di troppa
moderazione. Così è a Lentini e in altri centri del Siracusano, e
ancor di più nella provincia di Bari. Qui, nell'estate del 1967, la
sospensione di uno sciopero provoca in diversi comuni veri e propri
assalti di migliaia di braccianti al palco da cui parlano i
sindacalisti; ad Andria la «folla inferocita reagiva incompostamente
percorrendo centro cittadino tentando di scardinare saracinesche
mentre nutriti gruppi scalmanati si dirigevano verso abitazioni
maggiori proprietari terrieri». Episodi analoghi si verificano nel
1968, sino alla tensione che alla fine dell’anno si concentra nel
Siracusano. Ad Avola e altrove la rivendicazione è elementare: una
paga uguale a quella dell’altra metà della provincia. È troppo
per gli agrari, che disertano perfino le riunioni convocate dal
prefetto: e questi si lamenta per «il tono irriguardoso» con cui
gli agrari lo trattano, e «per l'incomprensione e l'irrigidimento
della categoria».
Dal 25 novembre lo
sciopero bracciantile è ad oltranza. Il 1° dicembre un reparto di
cento agenti è inviato a «rimuovere con la forza i blocchi
stradali», e da Siracusa il questore ribadisce «perentoriamente»
al vicequestore l’ordine di disperdere l’assembramento: decisione
che a quest’ultimo era sembrata fin dall’inizio sbagliata. I
braccianti la attribuirono alle pressioni di un potente senatore
democristiano, fermato da un altro blocco qualche giorno prima: un
rapporto del questore conferma che quelle pressioni vi furono, quella
mattina stessa. Alla fine il vicequestore esegue l’ordine e comanda
la carica. I braccianti lanciano pietre, gli agenti - cui s’è
aggiunto un altro reparto - sparano: quasi 400 colpi di pistola e di
moschetto e altri 400 «artifici lacrimogeni», riferisce il vice
capo della polizia; tre chili di bossoli sono raccolti e portati a
Roma, alla Camera dei deputati. I morti sono due: Giuseppe Scibilia,
di 47 anni, e Angelo Sigona, di 25; moltissimi i feriti. Poco dopo
163 braccianti vengono denunciati per «manifestazione sediziosa».
Nel dibattito
parlamentare la richiesta di disarmo della polizia - tradizionalmente
avanzata dal Pci - è fatta propria da uno schieramento che comprende
anche settori significativi della Dc: «A una polizia che dimostra di
avere il mitra così facile - scrive Enzo Forcella - non resta che
togliere il mitra».
L’emozione è forte in tutto il paese: vi sono scioperi e affollati cortei, ma anche altre forme di protesta. Iniziano gli studenti milanesi, contestando l’inaugurazione della stagione lirica alla Scala: «i braccianti di Avola augurano buon divertimento», dicono, e tirano uova e cachi sulle pellicce delle signore. Si prosegue ovunque: contestando l’inizio della stagione lirica o altre iniziative «di gala» anche a Napoli, Palermo («Siete i mandanti dell’eccidio di Avola», dice un cartello), Parma, Modena, Jesi, in Friuli e nel Ferrarese. Al «Natale consumistico» è contrapposto in molte città il «Natale dei poveri», spesso ad opera di gruppi cattolici: a Venezia come a Sassari, a Trento come a Verona, a Milano come a Bologna (qui protestano anche gli scout). A Roma si intrecciano le iniziative dei lavoratori in lotta per il posto di lavoro (con il Natale e il Capodanno «in piazza» degli operai dell’Apollon), le manifestazioni contro il Natale consumistico («non pensate di non essere complici degli assassini di Avola» dice un volantino del movimento studentesco distribuito anche da Gian Maria Volonté), e la testimonianza di giovani cattolici in piazza San Pietro. La protesta attraversa le città più lontane e i centri più piccoli: «Il Natale è diventato una grande menzogna - dice un gruppo cattolico di Cavezzo, nel Modenese - e le spese natalizie ci ricordano che siamo fratelli diseguali: ricchi e poveri, sfruttati e sfruttatori». Un volantino distribuito da giovani sassaresi davanti alle chiese il giorno di Capodanno inizia così: «Oggi non è una giornata di pace per i contadini vietnamiti, per la gente del Biafra e per i braccianti siciliani». Si legge infine in un volantino di Monsummano Terme, nel Pistoiese: «Beati i poveri: i campesinos dell’America Latina, i neri degli Usa e del Sud Africa, i braccianti dell’Italia meridionale perché di essi è il regno dei cieli [...]. Guai a noi se non riconosceremo nel BIMBO che oggi è nato 1 poveri, gli affamati, i sofferenti, i perseguitati, e ci illuderemo di festeggiare bene il Natale con l’albero, il Presepe, il panettone, i regali, e con l’andare a messa in pelliccia».
In questo clima si
colloca anche la contestazione al «Capodanno di lusso» di un locale
famoso, «La Bussola» di Viareggio. L’iniziativa è promossa da II
Potere operaio di Pisa, provincia che ha visto in quei mesi dure
lotte per il lavoro e intense agitazioni studentesche. «Solo qualche
settimana fa la polizia ha massacrato i braccianti di Avola, ha
bastonato i proletari in lotta in centinaia di manifestazioni»,
dicono i volantini. Uno di essi aggiunge: «Ebbene, compagni,
festeggiamoli questi nostri padroni, andiamo tutti alla Bussola [...]
a vederli sfilare con le loro signore e col vestito nuovo da mezzo
milione, a consumare una cena da 50 mila lire, annaffiata da 50 mila
lire di champagne» (i prezzi, naturalmente, sono «d’epoca»). Un
altro termina così: «Lasciamo ai padroni lo champagne, noi abbiamo
i pomodori». La polizia, invece, ha le armi e le usa: un giovane di
17 anni, Soriano Ceccanti, rimane paralizzato. Non serve addentrarsi
qui sulle opposte ricostruzioni dei fatti fornite allora18. Per far
comprendere il clima è sufficiente la Lettera aperta ai giovani
pisani diffusa dai «giovani della Dc, delle Adi e della Cisl»:
essa è molto dura nei confronti della manifestazione e della
«vergognosa campagna diffamatoria contro la polizia» condotta dalla
sinistra. E però altrettanto esplicita in un’altra direzione: «è
proprio in momenti carne questi che non può essere dimenticata
l’altra violenza, troppe volte scientificamente occultata, la
violenza del sistema, l’insultante logica capitalistica delle
concentrazioni, dei licenziamenti: i morti di Avola, le vicende
dell’Eridania zuccheri, della Candy, dell’Aeternum, della
Marzotto e della St. Gobain sono lì a ricordarcelo».
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