8.12.18

Eroiche scommesse: una capitale nel deserto. Nella progettazione di Brasilia una vicenda nazionale e politica (Gabriele Mastrigli)




Una città-parco, profondamente radicata nella storia culturale del paese sudamericano

Brasilia è senz’altro uno dei luoghi più emblematici e controversi della modernità. Inaugurata il 21 aprile 1960 – un anno dopo il celebre Ciam di Otterlo del 1959, il congresso di architettura che aveva ufficializzato la fine del Movimento moderno ai cui precetti pure il progetto della città si ispirava – è da subito oggetto di entusiasmi e critiche. Se per André Malraux, allora ministro della cultura francese, la città voluta dall’appena eletto presidente Juscelino Kubitschek è «la capitale della speranza», per Bruno Zevi è piuttosto una «capitale di plastici ingranditi (...) una specie di Eur tutta razionale e priva delle marmoree sconcezze piacentiniane, ma non per questo meno lugubre». E non c’è dubbio che le forme dei suoi edifici più imponenti non mancano di evocare quella grandeur metropolitana intrisa di esibizionismo tecnico e di enfasi retorica che, dalle grandi esposizioni universali dell’Ottocento in poi, ha sempre incarnato l’idea stessa di città capitale.
Tuttavia, nonostante l’incontrovertibile allure dei suoi monumenti, Brasilia è stata qualcos’altro: un progetto politico prima che un segno territoriale, una vicenda nazionale piuttosto che la sola ambizione di un presidente illuminato, il racconto di un’idea di città piuttosto che la mera pianificazione razionale di un nuovo insediamento urbano dove l’architettura diventa l’icona principale della propaganda, tanto più efficace quanto più capace di attirare lo sguardo e commuovere.
In tutto questo Oscar Niemeyer è stato molto più – o, se si vuole, molto meno – che il designer degli edifici più rappresentativi che punteggiano il cosiddetto asse monumentale e campeggiano nella grande distesa centrale della piazza dei Tre Poteri.
Quando nel 1956 riceve la visita di Kubitschek nella sua casa di Gávea, a Rio de Janeiro, propone subito di bandire quel concorso internazionale per la realizzazione del piano urbanistico della città, da cui uscirà il rivoluzionario Plano Piloto di Lucio Costa, che di Nie-meyer era amico stimato. Nominato direttore del Dipartimento di architettura della Novacap, l’ente esecutivo per l’urbanizzazione della nuova capitale, Niemeyer gioca allora un doppio, complesso ruolo: da una parte progettista degli edifici pubblici più importanti (il Palacio de Alvorada, la residenza del Presidente, la casa dei deputati, il Congresso Nazionale, la Catedral Metropolitana e diversi ministeri), dall’altro promotore dell’innovativa idea di Costa, quella di una città-parco presentata in sede di concorso in forma di racconto, ispirata tanto all’ingegneria autostradale che alla tecnica paesistica dei giardini, ma allo stesso tempo profondamente radicata nella storia culturale del paese.
Sullo sfondo dell’eroica scommessa di celebrare la svolta politica realizzando – letteralmente – una cattedrale nel deserto, emerge infatti l’esigenza di dare corpo a una istanza secolare di costruzione di un paese grande come l’Europa, che proprio dall’Europa colonizzatrice voleva marcare la distanza. Una decisione maturata già ai tempi del primo movimento indipedentista brasiliano, l’Inconfidência Mineira (1789), e poi sancita nella Costituzione del 1891 nella quale viene ribadita la scelta di costruire la nuova capitale al centro del Brasile lontano dall’urbanizza-zione portoghese della costa sud-orientale.
È a questo periodo che risale, infatti, l’individuazione del Planalto central, l’area di 14.400 kmq su cui sarebbe poi sorta la nuova capitale, proprio sulla scorta della localizzazione geografica e della qualità del paesaggio. Paesaggio che diventa l’ingrediente principale del progetto di Costa, ad esempio nel sistema residenziale delle super-quadra, recinti di 300 metri di lato dove la sintesi tra dimensione monu-mentale e carattere rurale dello spazio diventa il ve-ro carattere della città.
Un progetto lungamente meditato, dunque, quello di Brasilia, che vede il suo momentum nei cinque anni di presidenza di Kubitschek, con Oscar Niemeyer, Lucio Costa, il paesaggista Roberto Burle Marx e molti altri a condividere una fase decisiva dello storico progetto di costruzione politica del Brasile. Una fase destinata peraltro a interrompersi bruscamente, cambiando di segno, in seguito al colpo di stato militare che il 10 aprile del 1964 dà il via a una dittatura repressiva che si protrarrà per più di vent’anni e che costringerà, tra l’altro, Niemeyer, ormai sgradito in Brasile, a un esilio forzato in Francia. Ma la svolta senza la cui audacia non sarebbe possibile immaginare il Brasile di oggi, era già stata compiuta.

“il manifesto”, 7 dicembre 2012

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