Dopo aver portato a
conclusione la saga dell’inquisitore Nicholas Eymerich, Valerio
Evangelisti termina anche quella relativa ai Fratelli della Costa. È
uscito di recente, infatti, l’ultimo volume della trilogia dedicata
alla Filibusta, intitolato Cartagena. Gli ultimi della Tortuga
(Mondadori, 2012).
Anche questo romanzo,
come i precedenti Tortuga e Veracruz, oltre al racconto
I fratelli della Costa, pubblicato nell’antologia Anime
nere, che ha dato il via nel 2007 a tutta la saga, è
assolutamente godibile indipendentemente dagli altri, non richiede,
cioè, la conoscenza degli avvenimenti narrati in precedenza.
Naturalmente chi ha già letto gli altri romanzi, ritroverà in
quest’ultimo personaggi apparsi in precedenza, coglierà i legami
sottili che, comunque, legano tra loro i volumi della trilogia e
soprattutto apprezzerà appieno la tesi di Evangelisti che, con le
sue implicazioni storiche, sociali e politiche, è alla base di tutta
la vicenda della Filibusta.
Il punto di vista
dell’autore sui protagonisti degli eventi narrati, infatti, non ha
assolutamente niente di romantico o idealizzato. Per Evangelisti i
pirati non incarnano assolutamente la figura del ribelle, né
tanto-meno del rivoluzionario che vuole cambiare lo stato di cose
esistente per instaurare relazioni sociali più giuste e più umane.
I filibustieri non sarebbero nient’altro che gli anticipatori, in
qualche modo gli archetipi, del nuovo sistema capitalista fondato sul
libero mercato che si prepara in quel periodo a conquistare il mondo
intero. La ricerca del profitto, la predazione, lo sfruttamento del
lavoro altrui, della schiavitù è alla base della loro concezione
del mondo. E nessun ostacolo deve frapporsi tra loro e i loro
obiettivi. Capitalisti ante litteram, sono allergici a qualunque
laccio e lacciuolo tenti di frenare o regolamentare l’estrazione
del profitto e ben consci della necessità di travolgere l’ordine
sociale esistente fondato su monarchia e aristocrazia per poter
instaurare il nuovo sistema economico e sociale. Del resto il loro
fine è «instaurare il libero mercato». E, come afferma
esplicitamente il governatore Ducasse, in pratica il vero capo della
fratellanza: «Noi, coloni e filibustieri, siamo le avanguardie di
tale progetto». E, ancora: «Stiamo fondando da decenni qualcosa di
diverso dalla vecchia Europa».
È trascorso oltre un
decennio dagli avvenimenti narrati nei precedenti romanzi della saga.
Cartagena racconta, infatti, fatti ed eventi avvenuti nel 1697
e la storia è incentrata sul crepuscolo della confraternita dei
pirati. I tempi gloriosi della Filibusta sono ormai passati. Non ci
sono più capitani come Michel De Grammont o Van Hoorn, figure
mitiche e carismatiche. L’ultimo rimasto di quella caratura,
Lorencillo, è lontano, in Francia, a difendersi in un processo.
Tortuga non esiste più, il covo storico dei filibustieri, quella
sorta di repubblica indipendente è stata praticamente rasa al suolo
e abbondonata.
Gli ultimi pirati si sono
rifugiati, assieme ai bucanieri, sulle alture di Saint-Domingue, la
parte francese dell’isola di Hispaniola. Qui governa Ducasse, ex
mercante di schiavi e avventuriero, in pratica uno di loro.
Si respira, dunque, fin
dall’inizio, un’aria di decadenza, di tramonto, di fine
imminente. Il Re Sole, impegnato in una delle sue tante guerre,
quel-la dei Nove Anni, ha bisogno di rimpinguare le finanze dello
stato francese. Invia allora nei Caraibi una flotta comandata dal
nobile De Pointis col compito di saccheggiare una delle più floride
e ricche colonie spagnole, ovvero Cartagena. Per portare a termine
l’impresa, però, c’è bisogno dell’aiuto della Filibusta. Così
Ducasse raduna gli ultimi pirati e con i suoi coloni si schiera a
fianco della flotta francese. Si tratta, però, di due universi
opposti, tra loro inconciliabili e i contrasti non tardano a
manifestarsi.
Innanzi tutto tra i due
capi, il nobile ammiraglio e il plebeo governatore.
Tutta la vicenda, come
nei precedenti romanzi, pur narrata in terza persona è vista
attraverso gli occhi di un singolo personaggio. In questo caso il
protagonista e una figura in qualche modo a metà tra i due mondi. Si
tratta di Martin D’Orlhac, braccio destro dell’ammiraglio De
Pointis, con un passato di ladro e sicario all’interno della Corte
dei Miracoli parigina. D’Orlhac – il cui vero nome è Dorlhac, ma
è stato necessario rendere più aristocratico il patronimico nel
momento in cui è stato accolto tra i vertici della gerarchia
militare – non tarderà a subire, anche a causa della propria
storia passata, il fasci-no e l’attrazione della fratellanza.
Non manca, poi, nel
romanzo, un’inconsueta figura di dark lady, ingenua
all’apparenza, ma pericolosa, che porterà la sventura nella
vicenda del protagonista.
Tra avventura, battaglie,
efferatezze, tradimenti e colpi di scena, il racconto si snoda
appassionato e avvincente e la fine della Filibusta viene resa ancora
più indimenticabile dalla solita, straordinaria maestria della
scrittura vivida e tagliente di Valerio Evangelisti. Ma soprattutto,
al termine del romanzo emergerà in tutta chiarezza il legame che
unisce quell’epoca lontana alla nostra, con una sorta di
inaspettata genealogia che evidenzia concretamente in che modo il
capitalismo attuale si sia nutrito dell’apporto dei mitici
filubustieri.
"il manifesto", 11 dicembre 2012
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