Le rovine di Smirne |
Le stesse cose si
ripeterono anche dopo, quando fummo a Smirne. Anzi, ancor prima di
entrare in città, vi furono persone che ci vennero incontro perché
si era sparsa la voce del mio arrivo, e i giovani più in vista mi si
offrivano come allievi, ed era stato già stabilito un certo tipo di
conferenza, e fissata in tutti i dettagli la convocazione.
In quel periodo un
omuncolo egiziano aveva fatto irruzione nella città, e un po’
esercitando la corruzione su alcuni consiglieri, un po’ dando a
intendere a certa gente del popolo che si sarebbe dedicato alla vita
politica ed avrebbe fatto con le sue ricchezze chissà quali
straordinarie e generose largizioni, era balzato, comunque sia, alla
ribalta dell’Assemblea, e la città era preda di una simile
vergogna.
Di tutto ciò io non ero a conoscenza (lo venni comunque a
sapere più tardi), anche perché mi limitavo a tenere delle riunioni
in casa con i miei amici; ma proprio quando costui si apprestava a
presentarsi all’Odeon vicino al porto, e a tenervi una conferenza -
o per pubblico decreto, o non so come -, io feci questo sogno. Mi
pareva di veder sorgere il sole dalla piazza, e di pronunziare questa
frase: «Aristide declamerà oggi nella sala del Consiglio alle ore
dieci».
Mi svegliai con la
sensazione di pronunziare e sentire al tempo stesso queste parole, al
punto che cercavo di capire se era sogno oppure veglia. Convocai i
miei amici più importanti e comunicai loro l’ordine ricevuto.
L’annunzio scritto fu esposto proprio allora, perché già si
avvicinava l’ora fissata dal sogno, e di lì a poco ci presentammo
sul posto per parlare. E malgrado quella mia sortita avesse luogo
cosi all’improvviso, e all’insaputa dei più, pure la sala era
così piena che non si scorgeva altro che teste umane, e non c’era
posto dove infilare una mano. E tali furono da parte di tutti le
manifestazioni di plauso e di simpatia, anzi, se proprio dobbiamo
dire la verità, di vero e proprio entusiasmo, che non si vide una
sola persona seduta né durante il preludio né quando mi levai a
declamare. Fin dalle prime battute si erano alzati in piedi, e
soffrivano gioivano sbigottivano assentivano alle mie parole, e
lanciavano grida mai sentite prima, ciascuno facendo a gara nel
tributarmi le lodi più alte.
Più tardi, dopo esserci
allontanati dalla sala del Consiglio, mentre eravamo occupati a fare
il bagno, qualcuno mi portò la notizia che quel tale, pur avendo
indetto la riunione per quella data con tre giorni di anticipo, era
riuscito a racimolare nell’Odeon diciassette persone in tutto. E
non c’è dubbio che da quel giorno egli incominciò a mettere
giudizio.
Da
Discorsi sacri, L, 29-34 Keil in Salvatore Nicosia, La Seconda
Sofistica, Salerno Editrice,
1994
Nessun commento:
Posta un commento