Alan Sepinwall |
In una ipotetica storia
dell'editoria del ventunesimo secolo il 3 dicembre 2012 sarà forse
segnalato come una data memorabile: quel giorno infatti sul «New
York Times» è apparsa la prima recensione di un libro
autopubblicato, The Revolution Was Televised del critico
televisivo e blogger Alan Sepinwall. E non una recensione qualsiasi,
ma un articolo entusiasta firmato dalla critica più nota e severa
del quotidiano statunitense, Michiko Kakutani.
In effetti il «New York
Times» non è stato il primo importante organo di informazione a
recensire il volume di Sepinwall, un'analisi a quanto pare brillante
(terrific, scrive Kakutani) del modo in cui serie tv come i
Sopranos a Mad Men, hanno trasformato l'idea stessa di narrazione.
Già «Time» e il «New Yorker» se n'erano occupati, ma è stata la
benedizione del «Nyt» a dare la percezione che è successo qualcosa
di nuovo, impensabile pochi anni fa. È la prova, scrive Suw
Charman-Ander-son su «Forbes» - che «l'idea di una divisione fra
"pubblicazione tradizionale" e "autopubblicazione"
diventa ora ridicola e insensata». Certo, nel successo mediatico di
Sepinwall, ha contato il fatto che il suo blog What's Alan
Watching? è seguitissimo e il suo nome circola da tempo fra
esperti e critici. Ma questo, nota la giornalista di «Forbes»,
rivela la difficoltà dei recensori di addentrarsi in quel magma di
autori e di testi che è oggi il self publishing. Per
Charman-Anderson sarebbe quindi necessario che qualcuno di solido e
competente «distinguesse il grano dal loglio e passasse i risultati
di queste ricerche ai tizi con il megafono». Che l'editoria
tradizionale, cacciata dalla porta, stia per rientrare dalla
finestra?
il manifesto, 8 dicembre
2012
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