L'allenatore del Napoli Carlo Ancelotti. Non pochi lo chiamano "stratega" |
Strategia,
s. f. È un termine dal significato originario militare, significato
che, pur diversificandosi nel tempo, ha continuato a sussistere e
perdura. Deriva dal greco strategós, figura che si
identifica, nell'antica Atene, con ciascuno dei dieci membri della
speciale magistratura istituita da Clistene, alla fine del VI secolo,
con funzioni di comando, e di conduzione, nell’esercito stratós
(parola primigenia) - o nella flotta. Se lo strategós è
dunque un comandante appunto militare (nell’esercito macedone è
alla testa di una falange), la strategia diventa un complesso di
tecniche e di azioni che coordinano, a partire da approfondite
indagini, e con finalità offensive o difensive, lo svolgimento di
una campagna bellica, prestando attenzione, più che alle armi o
all’addestramento dei soldati (compito di esperti specialisti o di
militari abilitati), alle condizioni degli avversari, alla natura del
terreno o del mare su cui si deve combattere, al clima e alla sua
influenza, alla durata temporale che è prevista per la battaglia
imminente.
In francese il termine
(stratégie) compare nel 1562 e nello stesso anno viene
tradotto in inglese (strategy), lingua in cui ricompare più
volte, soprattutto a partire dal 1688, mentre in francese, come anche
in italiano, la diffusione si ha soprattutto a partire dall’inizio
del XIX secolo. Tra gli autori italiani si rintraccia in Muratori, e
poi in Manzoni, Cattaneo, D’Annunzio, Fenoglio, ma in Gramsci, nei
Quaderni, là dove si affronta la prospettiva di Gioberti (la
personalità più citata nei Quaderni), la strategia diventa
l’insieme di pratiche civili realizzate per conseguire uno o più
obiettivi politici e istituzionali. La stessa cosa accade anche in
altre lingue. In inglese con Macaulay e Carlyle. In francese con Hugo
e con Valéry, sino a Gide, che ne amplifica gli ambiti e individua
una strategia amorosa, una strategia elettorale, una strategia
morale. La strategia diventa così, al di là della condotta
militare, l’individuazione del modo più adeguato di agire e di
comportarsi per conseguire obiettivi specifici anche in politica, in
economia, nella società, nella vita privata, nel mondo mediatico
della comunicazione e della pubblicità. Investe funzionari impegnati
in mansioni amministrative o giudiziarie, ma anche tecniche retoriche
ed espedienti letterari. Tutti, infine, anche gli individui comuni,
con semplici finalità interne alla vita quotidiana e familiare,
possono essere soggetti che attivano una qualsivoglia strategia,
termine che può rientrare quindi nello stesso lessico della
psicologia comportamentistica e che può avere a che fare con i
convincimenti, sempre cangianti, dell’opinione pubblica.
Gli studi strategici, a
ogni buon conto, restano quelli che affrontano le guerre e le paci,
gli equilibri e gli squilibri delle politiche di potenza, l’uso e
l’abuso di armi deterrenti, i rapporti internazionali collegati ai
mezzi che implicano l’impiego della forza. Strategie sono state, ai
tempi di Truman prima, e di Eisenhower dopo, il containment e
il roll back, politiche atte a frenare e a fare arretrare
l’Urss e lo stesso comunismo internazionale. Già Clausewitz,
d’altra parte, aveva sostenuto (Vom Kriege, 1832) che anche
la minaccia della guerra, e non solo la guerra combattuta, aveva una
fondamentale, e decisiva, valenza strategica. Tattica, diplomazia,
forza militare e geopolitica si sono insomma intrecciate. Ma vi è da
ultimo stata anche la strategia della tensione, espressione apparsa
per la prima volta il 12 dicembre 1969 in un articolo
dell’“Observer”. Si manifestò in Italia, con intensità, tra
attentati, tentativi di golpe e terrorismi, dal 1969 al 1984. Ma la
si può far risalire alla strage del 1947 a Portella della Ginestra.
Dalla rubrica Babele.
Osservatorio sulla proliferazione semantica in
“L'Indice”, aprile 2013
Nessun commento:
Posta un commento