1.12.18

Parole. Strategia (Bruno Bongiovanni)

L'allenatore del Napoli Carlo Ancelotti. Non pochi lo chiamano "stratega"

Strategia, s. f. È un termine dal significato originario militare, significato che, pur diversificandosi nel tempo, ha continuato a sussistere e perdura. Deriva dal greco strategós, figura che si identifica, nell'antica Atene, con ciascuno dei dieci membri della speciale magistratura istituita da Clistene, alla fine del VI secolo, con funzioni di comando, e di conduzione, nell’esercito stratós (parola primigenia) - o nella flotta. Se lo strategós è dunque un comandante appunto militare (nell’esercito macedone è alla testa di una falange), la strategia diventa un complesso di tecniche e di azioni che coordinano, a partire da approfondite indagini, e con finalità offensive o difensive, lo svolgimento di una campagna bellica, prestando attenzione, più che alle armi o all’addestramento dei soldati (compito di esperti specialisti o di militari abilitati), alle condizioni degli avversari, alla natura del terreno o del mare su cui si deve combattere, al clima e alla sua influenza, alla durata temporale che è prevista per la battaglia imminente.
In francese il termine (stratégie) compare nel 1562 e nello stesso anno viene tradotto in inglese (strategy), lingua in cui ricompare più volte, soprattutto a partire dal 1688, mentre in francese, come anche in italiano, la diffusione si ha soprattutto a partire dall’inizio del XIX secolo. Tra gli autori italiani si rintraccia in Muratori, e poi in Manzoni, Cattaneo, D’Annunzio, Fenoglio, ma in Gramsci, nei Quaderni, là dove si affronta la prospettiva di Gioberti (la personalità più citata nei Quaderni), la strategia diventa l’insieme di pratiche civili realizzate per conseguire uno o più obiettivi politici e istituzionali. La stessa cosa accade anche in altre lingue. In inglese con Macaulay e Carlyle. In francese con Hugo e con Valéry, sino a Gide, che ne amplifica gli ambiti e individua una strategia amorosa, una strategia elettorale, una strategia morale. La strategia diventa così, al di là della condotta militare, l’individuazione del modo più adeguato di agire e di comportarsi per conseguire obiettivi specifici anche in politica, in economia, nella società, nella vita privata, nel mondo mediatico della comunicazione e della pubblicità. Investe funzionari impegnati in mansioni amministrative o giudiziarie, ma anche tecniche retoriche ed espedienti letterari. Tutti, infine, anche gli individui comuni, con semplici finalità interne alla vita quotidiana e familiare, possono essere soggetti che attivano una qualsivoglia strategia, termine che può rientrare quindi nello stesso lessico della psicologia comportamentistica e che può avere a che fare con i convincimenti, sempre cangianti, dell’opinione pubblica.
Gli studi strategici, a ogni buon conto, restano quelli che affrontano le guerre e le paci, gli equilibri e gli squilibri delle politiche di potenza, l’uso e l’abuso di armi deterrenti, i rapporti internazionali collegati ai mezzi che implicano l’impiego della forza. Strategie sono state, ai tempi di Truman prima, e di Eisenhower dopo, il containment e il roll back, politiche atte a frenare e a fare arretrare l’Urss e lo stesso comunismo internazionale. Già Clausewitz, d’altra parte, aveva sostenuto (Vom Kriege, 1832) che anche la minaccia della guerra, e non solo la guerra combattuta, aveva una fondamentale, e decisiva, valenza strategica. Tattica, diplomazia, forza militare e geopolitica si sono insomma intrecciate. Ma vi è da ultimo stata anche la strategia della tensione, espressione apparsa per la prima volta il 12 dicembre 1969 in un articolo dell’“Observer”. Si manifestò in Italia, con intensità, tra attentati, tentativi di golpe e terrorismi, dal 1969 al 1984. Ma la si può far risalire alla strage del 1947 a Portella della Ginestra.

Dalla rubrica Babele. Osservatorio sulla proliferazione semantica in “L'Indice”, aprile 2013

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