LA TRAGEDIA di Avola,
dove ancora una volta si è sparso sangue dei lavoratori, non è solo
un fatto siciliano. Con questo attacco, proditorio e meditato, le
forze reazionarie nazionali hanno voluto montare una grossa
provocazione poliziesca e politica nel tentativo di bloccare il
grande movimento di lavoratori, di studenti, di popolo in corso da
diverse settimane in tutto il Paese. Questo movimento non si fermerà.
Respingerà ogni provocazione e andrà avanti, unitariamente e
combattivamente. È chiaro d'altra parte che lotte come queste per la
loro grande combattività, per la loro forte impronta unitaria, per
la loro estensione, per la qualità delle rivendicazioni che pongono
sul tappeto richiedono anche un profondo mutamento dell'indirizzo
politico del paese.
Non a caso l'eco di
queste lotte era stata avvertita anche nelle assemblee congressuali
socialiste ed era arrivata sinanco nel recente Consiglio nazionale
della Democrazia cristiana. Da più settimane la grande stampa
padronale conduce una campagna contro le rivendicazioni dei
lavoratori, contro la richiesta di un reale ampliamento della vita
democratica nelle fabbriche. nelle campagne, nelle scuole, invita
perentoriamente i dirigenti del centrosinistra a stringere i tempi
della crisi, a «mettere ordine nel paese». E noi sappiamo cos’è
per certe forze l’ordine.
Emanuele Macaluso |
Lo abbiamo visto in altre
occasioni, anche in momenti di crisi politica, nel 1960 per esempio,
e lo vediamo oggi, ad Avola. Non è certo difficile quindi
individuare le forze che hanno spinto e hanno dato gli ordini per
arrivare alla strage, perchè di una vera strage si tratta. Contro
chi si ò sparato? Da sei giorni i braccianti siracusani
unitariamente, con i loro sindacati — CGIL, CISL, UIL -
scioperavano per avere un nuovo contratto di lavoro. Scioperavano e
manifestavano nelle piazze, nelle strade, come la Costituzione
prevede e come è diritto dei lavoratori che hanno solo quest’arma
per far valere le loro legittime rivendicazioni. Gli agrari hanno
rifiutato ogni trattativa e la prefettura di Siracusa è stata con
gli agrari ritenendo esagerata la richiesta di modesti miglioramenti
salariali e normativi.
È bene, ricordare che ci
troviamo in una zona dove sono avvenute ampie trasformazioni agrarie
e colturali pagate tutte dallo stato e dalla regione, pagate dal
lavoro mal retribuito di migliaia di braccianti. Sul lavoro del
bracciante in queste zone pesa e resiste una rendita fondiaria fra le
più alte d'Italia — sei, settecento, ottocentomila lire per ettaro
di rendita fondiaria — sul lavoro di questi braccianti è cresciuto
il profitto capitalistico, la speculazione dei grossi commercianti di
agrumi e di primaticci, il profitto degli industriali che conservano
e trasformano questi prodotti nelle loro fabbriche del Nord.
Ponendo dunque con forza
il problema del salario i braccianti siracusani hanno posto e pongono
il problema della riforma agraria nelle zone trasformate, hanno
chiesto e chiedono la fine delle rendite parassitarle e speculative,
l'uso del danaro dello stato per trasformare e migliorare
l'agricoltura, per sviluppare l’industria di trasformazione nelle
loro stesse zone. È questo, del resto, il solo modo di uscire da una
crisi che ha portato lo scorgo anno a distruggere — per obbedire al
Mercato comune — cinquanta milioni di chili di arance.
Sono questi problemi che
scottano, i problemi che arrivano sul tavolo delle trattative
politiche fra i partiti deh centrosinistra a Roma e che non sfiorano
neppure .1 governanti siciliani impegnati in una disputa vergognosa
di sottogoverno che paralizza la regione. E noi affermiamo che non
saranno certo lo mitraglie o le bombe a fermare la volontà dei forti
braccianti siracusani e di tutti i lavoratori italiani, non saranno
questi metodi a risolvere i gravi problemi sociali che le lotte
propongono. Chiediamo intanto giustizia per i braccianti uccisi o
feriti, per le loro famiglie, per le popolazioni aggredite e colpite,
chiediamo in nome loro la condanna dei responsabili e, sul piano
politico, non aggiustamenti a una vecchia, fallimentare politica che
porta a questi sbocchi ma una nuova politica che affronti alla radice
i problemi della Sicilia, del Mezzogiorno, del Paese.
“l'Unità”, 3
dicembre 1968
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