Un vecchio
articolo di una giornalista colta, curiosa e problematica - una
“utopista concreta” fu definita - , purtroppo scomparsa anzitempo
nel 2015. Mi pare che il testo nulla abbia perso del suo interesse,
anzi... (S.L.L.)
Un paradosso
contemporaneo è la convinzione di poter controllare la natura ma non
i mercati. Si manipola un organismo che opera magistralmente da tre
miliardi e mezzo di anni, ma si ritiene impossibile cambiare un tipo
di economia creata dall’uomo stesso. L’economia che fa girare il
mondo è infatti un’invenzione recente, coeva della Rivoluzione
industriale. I mercati sono sempre esistiti ma non l’economia del
laissez-faire, del lavoro salariato e dell’uso insostenibile
della natura. Nella Grande trasformazione Polanyi definisce un
atto di fede il mercato che si autoregola perché il lasciar fare da
solo non approderebbe a nulla. Per affermarsi deve essere imposto, e
lo fa con l’aiuto dello Stato. Valutazione condivisa da Fernand
Braudel in Civiltà materiale, economia e capitalismo, XV-XVIII
secolo: i capitalisti non hanno mai usato liberi mercati ma un
regime di monopolio, appoggiati dagli Stati contro il resto della
popolazione.
I padri fondatori
dell’economia di mercato erano convinti che seguendo le sue leggi
“naturali” ci sarebbe stato benessere per tutti. Furono molto
sorpresi quando si resero conto dei poveri. La distruzione della
società rurale inglese aveva trasformato dignitosi contadini privati
del reddito agricolo e del loro ambiente culturale in «una folla di
mendicanti e di ladri» (Polanyi). Nonostante le misure sempre più
dure adottate per eliminare la protezione sociale e della natura,
ostacoli al libero mercato e alla sua necessaria affermazione su
scala mondiale, i poveri aumentavano. Alla fine fu chiaro che la
crescita della ricchezza della società e delle classi al potere
portava con sé la miseria di ampie fasce di popolazione e l’era
vittoriana vide una forte reazione di autodifesa della società:
legislazioni sociali, filantropi, pionieri ambientalisti, socialisti,
movimento operaio…
L’economia del libero
mercato è dunque una creazione umana datata, che in poco più di due
secoli ha portato benessere materiale a parti consistenti di
popolazione mondiale producendo allo stesso tempo catastrofi
ambientali e sociali planetari. Per Braudel, Polanyi e Marcel Mauss,
teorico dell’economia del dono, il suo difetto di fondo è l’aver
messo al centro della vita sociale il guadagno, ritenendo
caratteristica principale dell’agire umano la vocazione a
perseguire il proprio interesse materiale. Ma l’economia non è mai
stata al centro delle culture pre-industriali. Relazioni, riti e
simboli sono sempre stati al primo posto, accanto alle attività tese
a soddisfare bisogni di base.
L’esempio più citato,
anche da Mauss e Polanyi, è lo studio di Bronislaw Malinowski
Argonauti del Pacifico Occidentale, pubblicato nel 1922 dopo
due anni di permanenza nell’arcipelago delle Trobriand. Osservando
le relazioni commerciali intertribali degli indigeni, Malinowski
distinse due tipi di commercio: per i bisogni materiali delle
comunità e il Kula Ring, un commercio cerimoniale ben più
importante. Le spedizioni rituali, con radici nel mito, seguivano un
circuito chiuso tra le isole per scambiare lunghe collane di
conchiglia rossa e braccialetti di conchiglia bianca, indossati
soltanto per occasioni eccezionali. Un possesso a tempo, poi gli
ornamenti tornavano a circolare. L’obiettivo era la coesione
sociale e la creazione di relazioni permanenti tra donatori.
“il manifesto”, 26
agosto 2011
Nessun commento:
Posta un commento