Nell'ottobre scorso, in
occasione dell'anniversario della morte di Severino Cesari, “la
Repubblica” ha dedicato uno dei suoi inserti culturali (i
“Robinson”) al ricordo del grande intellettuale (giornalista,
editor, scrittore, poeta e ancora altro) di Città di Castello. Tra
le testimonianze è presente quella di Nicolò Ammaniti, che vi ha
aggiunto una lettera ricevuta da Cesari quando insieme stavano
procedendo alla revisione di Io non ho paura,
databile tra il 200 e il 2001, l'anno di uscita dell'importante
romanzo. La lettera, che qui riprendo, è assai bella e molto ci dice
del modo di lavorare di Cesari come editor
e del rapporto che instaurava con i “suoi” scrittori. (S.L.L.)
Severino Cesari in una foto del 1996 |
Niccolò, bravo, è
fortissimo.
L'ho letto stamattina
presto in un bar caldo, era una bellissima sensazione di mente
eccitata, mi ha preso molto. L'ossatura era bella poderosa già da
prima, ora la ciccia intorno alle ossa è tanta di più, al punto
giusto senza eccedere, le parti del corpo escono fuori belle tornite,
viene voglia di un rapporto fisico con questo libro, anche più che
con Ti prendo e ti porto via. Credo sia giusto il titolo, è stata
una "certezza" di stamattina (ma continuiamo a pensarci
naturalmente) perché ho avuto molto chiaro che proprio la paura è
la chiave profonda di tutto:
mi è venuta forte questa
domanda in testa:
qual è la paura peggiore
e più inconfessabile di un bambino?
e tutto in fondo ruota
nel libro intorno a questo motivo e alla lotta per dominare e vincere
scomposto e disseminato in tanti motivi secondari della paura: - la
paura che tuo padre sia un mostro - la paura che ti tagli le orecchie
(o il pisello) e ti metta in un buco, che è la tomba - la paura di
desiderare tua madre, con la quale infatti "lotti" o
"balli" dunque la scopi - la paura della morte e dei morti
- la paura del corteo dei mostri - la paura di dover competere con
gli altri, perché per un bambino tutto è guerra e competizione
continua - la paura degli orsetti lavatori, del signore dei vermi, di
ciò che è ignoto insomma tutto ruota in modo narrativamente
coerente, attraverso il punto di vista del bambino Michele che rimane
tale anche se narrato da un adulto, intorno a una "familiarità"
che si scopre "perturbante", inquietante, e questo è un
motivo profondissimo, è IL motivo archetipico della paura, per
ciascuno etc ed è bellissimo come adesso nei dialoghi tra i
personaggi, tra Michele e la sorella, Michele e Salvatore tornano in
un caso e nell'altro, "disseminate" e come intrufolandosi
segretamente, corrodendo la normalità del linguaggio, queste paure,
guidate e determinate dal mistero del bimbo nel buco; - nel dialogo
perfetto con Salvatore la bellissima scenetta del figlio
morto/zombie, esemplare per economia di linguaggio e molto comica (e
paurosa insieme) - nel dialogo con la sorella sulla fiaba del bambino
nel sacco si intrufolano, deformando la fiaba, tutte le paure -
nell'abbraccio con il padre ecco in pieno l'unione di confortante/
inquietante, mostruoso/familiare - bella anche la scenetta del cane
nell'acqua e le zecche, con Barbara che canta Bella ciao, mi sembra
fondamentale aver esplicitato quel vuoi essere il mio fidanzato che
era implicito già in Barbara, etc etc - bellissima la scenetta alla
Taricone di Felice che canta double face in slip e anfibi, vecchia
checca insomma sono molto contento di come stanno venendo fuori
queste scene diciamo così "orizzontali", se il ritmo del
libro, l'azione è l'aspetto "verticale" Proprio la
combinazione di ritmo asciutto e nervoso dell'azione e dialoghi/
scenette buffe e tornite danno un sapore inconfondibilmente "
ammanitiano" e al tempo stesso nuovo, proprio il driver non è
la commedia ma un ritmo filato, implacabile, come se questo buco nel
terreno esercitasse a ritroso una forza magnetica implacabile su
tutto il libro, tirandolo a sé dettagli minimi in attesa della
revisione finale: - il vecchio Sergio dice che l'acqua nella stanza è
calda come piscio, Michele lo nota; evidentemente gli scoccia perché
colpisce sua madre; forse sarebbe allora naturale che la mattina
dopo, nella bella scenetta con la madre che è sollevata perché alla
fine lui ha passato la notte con Sergio senza problemi, così vuol
credere, sarebbe forse naturale che lui trovasse modo di dirle « ha
detto che l'acqua era calda come piscio » , insomma forse serve un
dettaglio cattivo di Michele sul vecchio?
- quando Michele ha paura
di essere scoperto fuggendo via dalla buca, e pensa « sarebbe stata
la fine » ( frase usata da te anche più avanti, nella parte non
ancora revisionata) forse serve un'espressione più precisa:
avrebbero incatenato anche me nel buco, mio padre mi avrebbe tagliato
il pisello, altro che le orecchie?
- quando compare il
Subuteo forse suona meglio " schierate" ( Juve e Torino) di
" disposte"? ma queste e altre sono cose minime che fanno
parte dell'ultima mano credo
un abbraccio Seve
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