Beato Angelico, Il legionario Longino trafigge Cristo |
Mimmo Gangemi, ingegnere e scrittore, è un calabrese d’ingegno. Collabora con “La Stampa” di Torino, occupandosi prevalentemente delle cose di Calabria. Il più delle volte lo trovo analista acuto, ma non mi piacque la lettura un po’ giustificazionista della guerra che la popolazione di Rosarno, guidata e sobillata dalla ‘ndrangheta, fece due anni fa agl’immigrati africani.
Il 30 aprile 2010 il quotidiano torinese ha pubblicato un suo articolo dal titolo gridato: E’ stato un calabrese a trafiggere Gesù. Il testo ha, in verità, un inizio un po’ lento: vi si racconta di un errore di traduzione dal latino in un liceo di Calabria. Militum unus occidit Christum era stato ridicolmente reso “Uno di Melìto uccise Cristo” (Melito Porto Salvo è un paese non lontano da Reggio Calabria). Gangemi informa che, tuttavia, l’errore scolastico non comporta necessariamente un errore storico e che, se non proprio un “melitoto”, uno del reggino potrebbe aver finito il Nazareno sulla croce, visto che in Palestina serviva sotto Ponzio Pilato la legione “Decima fretensis”, da “fretus” (frattura, stretto): lo stretto di Messina in questo caso.
Il siciliano di Gela Totò Parlagreco, un mio amico giornalista con tante curiosità, nel 1984 su “la Repubblica”, era partito dalla stessa costatazione per sostenere che i “fretenses” erano siciliani, di Messina e dintorni; ed era perciò un messinese che aveva dato il colpo di grazia al Salvatore. Gangemi sostiene che si sbaglia: Reggio era divenuta municipio romano nell’89 a.C. e Messina lo fu solo sotto Augusto (29 a.C. – 14 d.C.), quando la decima legione era già da tempo attiva, gloriosa e stanziata dall’altra parte dello stretto. Gangemi, nello stesso articolo, non sembra peraltro dare troppo credito alla leggenda che anche il legno della croce provenisse dalla Calabria (in questo caso dalla Sila).
Il 30 aprile 2010 il quotidiano torinese ha pubblicato un suo articolo dal titolo gridato: E’ stato un calabrese a trafiggere Gesù. Il testo ha, in verità, un inizio un po’ lento: vi si racconta di un errore di traduzione dal latino in un liceo di Calabria. Militum unus occidit Christum era stato ridicolmente reso “Uno di Melìto uccise Cristo” (Melito Porto Salvo è un paese non lontano da Reggio Calabria). Gangemi informa che, tuttavia, l’errore scolastico non comporta necessariamente un errore storico e che, se non proprio un “melitoto”, uno del reggino potrebbe aver finito il Nazareno sulla croce, visto che in Palestina serviva sotto Ponzio Pilato la legione “Decima fretensis”, da “fretus” (frattura, stretto): lo stretto di Messina in questo caso.
Il siciliano di Gela Totò Parlagreco, un mio amico giornalista con tante curiosità, nel 1984 su “la Repubblica”, era partito dalla stessa costatazione per sostenere che i “fretenses” erano siciliani, di Messina e dintorni; ed era perciò un messinese che aveva dato il colpo di grazia al Salvatore. Gangemi sostiene che si sbaglia: Reggio era divenuta municipio romano nell’89 a.C. e Messina lo fu solo sotto Augusto (29 a.C. – 14 d.C.), quando la decima legione era già da tempo attiva, gloriosa e stanziata dall’altra parte dello stretto. Gangemi, nello stesso articolo, non sembra peraltro dare troppo credito alla leggenda che anche il legno della croce provenisse dalla Calabria (in questo caso dalla Sila).
La tradizione ha dato un nome al legionario che secondo il Vangelo trafisse il costato di Cristo, Longino, ma non si può escludere un rinfocolarsi della controversia tra reggini e messinesi per fissargli un luogo d’origine. (S.L.L.)
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