1.12.10

Rivoluzione e colpo di stato (di Norberto Bobbio)

Poco più di un anno fa, il 4 ottobre 2009, in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio, “La Stampa” recuperò dalla rivista “Teoria politica”, una rivista universitaria, uno scritto poco noto del politologo piemontese sul tema della “rivoluzione” risalente al 1980, quasi una voce da enciclopedia. Nel riproporlo rinvio alla mia lettura critica del saggio di Hannah Arendt Sulla Rivoluzione. Chi vuole può rintracciarlo in questo blog (vedi http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/05/sulla-rivoluzione-lettura-critica-di.html). (S.L.L.)
La presa della Bastiglia in una incisione del 1791 (Milano, Civica Raccolta Bertarelli) 
 La chiara consapevolezza che per «rivoluzione» nel significato moderno della parola, almeno dalla Rivoluzione francese in poi, s'intende un determinato tipo di movimento e un determinato tipo di mutamento, è anzitutto il presupposto per dare una buona definizione del termine che, come si è visto, viene definito ora accentuando il suo carattere di movimento ora il suo carattere di mutamento, in secondo luogo per ordinare la vasta materia del rapporto tra il concetto di rivoluzione e i concetti affini, che comprendono tanto gli eventi che appartengono allo stesso genere dell'evento rivoluzionario rispetto al movimento ma non al mutamento, quanto gli eventi che possono essere assimilati all'evento rivoluzione rispetto al mutamento ma non al movimento. Rispetto al movimento le definizioni correnti di rivoluzione insistono, essenzialmente come si è visto, sui due caratteri della subitaneità (cui alcuni aggiungono anche la brevità, entrambi caratteri che hanno riguardo alla temporalità dell'evento) e dell'uso della violenza, che ha riguardo alla modalità dell'azione. Si dovrebbe precisare - una precisazione cui sono particolarmente sensibili i giuristi - che la violenza rivoluzionaria è una violenza qualificata entro il sistema politico e giuridico in cui si manifesta come illegittima (non tutte le forme di violenza sono illegittime, per esempio la legittima difesa), ovvero non giustificabile in base alle regole dell'ordinamento. Un carattere essenziale della violenza rivoluzionaria, su cui stranamente la maggior parte delle definizioni sorvolano, è la provenienza dal basso; la violenza rivoluzionaria è una violenza popolare. Questo carattere e' essenziale perché una violenza, pur subitanea e illegittima ma proveniente dall'alto, ovvero dalle stesse classi dirigenti, è il carattere proprio del colpo di stato. Alla distinzione tra rivoluzione e colpo di stato si attaglia bene la contrapposizione, così frequente nel linguaggio comune e nello stesso tempo così incisiva, tra «piazza» e «palazzo», che permette di aggiungere alla dimensione temporale anche quella spaziale: la rivoluzione si fa in piazza, la piazza della Bastiglia (del resto anche la rivolta, esempio attualissimo la Piazza Tienanmen di Pechino), il colpo di stato dentro il palazzo. Al genere di azione violenta, subitanea, popolare, illegittima, in piazza, appartengono fenomeni come i tumulti, le rivolte, le insurrezioni, le ribellioni, o con quale altro nome si vogliano chiamare e siano chiamati, con un nome classico che tradizionalmente tutti li comprende «sedizioni», per distinguere le quali dalla rivoluzione comunemente intesa occorre far capo all'elemento del mutamento. Ciò che distingue la rivoluzione nel senso ora corrente della parola dalla seditio degli antichi e dei moderni è non tanto il tipo di movimento quanto il tipo di mutamento, mentre ciò che distingue la rivoluzione dal colpo di stato è tanto il movimento, violento sì, ma dal basso, quanto il tipo di mutamento, che è radicale […]
Intesa la rivoluzione come rottura tra il vecchio e il nuovo, come evento per cui il corso storico dovrà essere interpretato come discontinuo, ossia come segnato da interruzioni che mutano bruscamente uno sviluppo lineare, il mutamento della società nella sua composizione di classe rappresenta una rottura, un'interruzione, ben più grave che il mutamento del sistema politico o della forma di governo. Se mai non e' estranea alla storia delle interpretazioni della rivoluzione come mutamento radicale, una interpretazione ulteriore di questa radicalità o se si vuole un ulteriore approfondimento della novità dell'evento rivoluzionario, che lo distingue definitivamente da ogni altra forma di cambiamento politico e sociale, e lo avvicina e lo assimila ai grandi rivolgimenti religiosi: la trasformazione non solo del sistema politico, non solo del sistema sociale, ma addirittura della natura dell'uomo. Sotto questo aspetto una rivoluzione, nel vero e pieno senso della parola, tende o dovrebbe tendere alla creazione dell'uomo nuovo. Anzi riesce nel suo intento solo se riesce a trasformare la natura umana, se, oltre a essere un mutamento delle cose, è anche una rigenerazione dell'umanità, una seconda rinascita, l'inizio di una nuova fase della Storia, di una nuova età dello Spirito. 

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