9.2.11

Parole incrociate. Gino Paoli intervista Paolo Conte (1991)

“Arancia blu”, la rivista di ecologia politica diretta da Enzo Tiezzi, usciva con “il manifesto” il penultimo martedì del mese. Per un anno e forse più vi collaborò Gino Paoli, che curava una rubrica di interviste dal titolo allusivo Sapere di sole. L’incontro del numero di giugno 1991 fu con Paolo Conte. (S.L.L.)
La musica di Paolo Conte è un universo complesso fatto di sogni e di intrecci fonetici.

Una chiave di lettura del personaggio Paolo Conte potrebbe trovarsi nel titolo di una sua canzone: Rebus. Il suo mondo è un misto di amenità e melanconia, di semplicità e raffinatezza: è colto e popolare, passa dal jazz alla marcetta, definisce una donna “algebrica” per poi parlare di “tinelli marron”. Enigmatico ed enigmistico quest’avvocato piemontese.

Le tue prime canzoni contenevano spesso riferimenti al reale attraverso una terminologia che, di recente, è andata rarefacendosi: i vocaboli sono più astratti, più indefiniti, più immateriali. E’ il segno di un mutato rapporto con la realtà e con la natura?
Non credo, forse la differenza sta nel metodo di lavoro. Le mie prime canzoni raccontavano di più. Poeticamente è più facile lavorare con parole riferite a cose materiali, per la suggestione che danno. Si parte da due parole che dicono ancora poco, tre cominciano funzionare e a creare l’idea di aggiungerne altre… Le parole evocano cose, stimolano a immaginare, a scrivere. Addirittura, a volte, le intreccio con la tecnica enigmistica: aggancio quelle che si somigliano, gioco sui loro doppi significati.
L’uso della tecnica enigmistica potrebbe far pensare a qualcosa di asettico, a una certa indifferenza per il significato delle parole…
E’ vero, tuttavia è un metodo come un altro per smuovere nel cervello e nella pancia relazioni nascoste che possono rivelarsi cariche di vitalità.
Facciamo un’ipotesi: un ecologo e un poeta fanno un lavoro simile, l’uno studiando le relazioni tra piante, animali, l’altro studiando quelle tra le parole. L’ecologia si adopera per la complessità della natura: sarebbe utile fare altrettanto per la complessità del linguaggio.
Purché non intervenga l’intellettuale che fa ricerca fine a se stessa, ha senso ogni forma di studio che possa servire a esprimersi meglio. La ricerca mi piace se mi emoziona, sia nel momento della composizione che in quello dell’interpretazione. Credo che molti artisti approfittino delle problematiche contemporanee per avere materiale su cui scrivere canzoni, mentre a mio parere l’unico patrimonio del nostro mestiere, se vogliamo essere franchi e sinceri dovrebbe essere la fantasia.
Allora - visto il tuo sofisticato agire sulla parola affinché dia vita a un patrimonio di ricordi, emozioni, sentimenti –potremmo pensarti come un ecologo della fantasia e definire il tuo mondo poetico come un’“area protetta”?
Non so se quanto faccio per proteggere certe parti del vocabolario sia benemerito, ma sento la necessità di resuscitare parole di forte significato che l’andar dei tempi ha quasi cancellato, e che è sopravvissuto, invece , nei dialetti. parole che fanno parte di un dizionario sommerso, lontano nel tempo.
Un lessico che forse fa parte di un’identità provinciale…
Non ne sono convinto e mi sono stupito che i critici considerino questi aspetti un privilegio della provincia: casomai rappresentano la peculiarità di tutta la cultura italiana che ha una forte connotazione provinciale. Nelle piccole città si osservano le cose con più attenzione, i personaggi sono meno massificati, è più facile centrarli. Sono forse un po’ più protagonisti.

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