22.2.11

Ricordando il compagno Fortebraccio (di Eros Barone)

L'amico e compagno Eros Barone, dei cui contributi sovente questo blog si avvale, mi ha inviato un suo bel testo su Mario Melloni, il Fortebraccio dei corsivi de "l'Unità". Autorizzato lo ripropongo come omaggio a un compagno la cui penna, in tempi come questi, davvero ci manca. (S.L.L.)
Mario Melloni "Fortebraccio"

Fortebraccio: uno dei più grandi scrittori satirici italiani

«Attraverso i tuoi corsivi io ho imparato ad essere ‘comunista’ con serietà
e nel medesimo tempo a prendere la vita con ironia quel tanto che basta
per sopravvivere in mezzo a certe iene.»
Mina Buschini
[Lettera inviata da una lettrice a Fortebraccio in occasione dei suoi 85 anni]

Due anni fa, in occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa, è apparso un libro, Fortebraccio. Vita e satira di Mario Melloni, che è un doveroso, ma ancora insufficiente, omaggio a uno dei più grandi scrittori satirici italiani. Dico insufficiente perché, a mio modesto giudizio, sarebbe opportuno raccogliere, ad esempio in uno di quei volumi che i “Meridiani” della Mondadori dedicano ai maggiori poeti, narratori e giornalisti della letteratura italiana, gli oltre cinquemila corsivi (o almeno un’ampia scelta) che Fortebraccio scrisse tra il 1967 e il 1982 sul quotidiano “l’Unità”, organo del Partito Comunista Italiano. Osserva Michele Serra nella prefazione al libro or ora menzionato, riferendosi a Melloni: «Di lui hanno memoria viva soprattutto gli italiani che hanno passato i cinquanta, e si sono formati negli anni del grande scontro tra Dc e Pci…I corsivi di Fortebraccio raccontarono quell’Italia, e quello scontro, con una forza polemica e una leggerezza incomparabili. Le due qualità, forza polemica e leggerezza, parrebbero in contrasto. Non lo furono, in Fortebraccio, in virtù di uno stile signorile e di una prosa educata che inquadravano in forma controllatissima i giudizi più ostili, le opinioni più crudeli».
Non so se il binomio ‘forza polemica/leggerezza’, pur ravvisabile nei testi di Fortebraccio, si possa considerare esaustivo di uno stile e di una prosa che, alternando il fioretto con la sciabola e la mazza, erano, spesso e volentieri, così laceranti e percussivi, da lasciare segni profondi e indelebili sulla carne e sulle ossa degli avversari del Pci e dei nemici della classe operaia. Mario Melloni, lo ammette a denti stretti anche chi, come il vicedirettore del “Corriere della Sera”, avrebbe preferito non ricordarne la figura e l’opera, era infatti un grande giornalista che proveniva dalle file della sinistra democristiana ed era passato, negli anni Cinquanta, al Pci, dove trovò ben presto una collocazione ideale, sia in senso politico che letterario, come corsivista dell’“Unità”. Fortebraccio era il ‘nom de plume’ che con felice intuizione gli aveva attribuito Maurizio Ferrara, il direttore del giornale, e con questo pseudonimo shakespeariano Melloni firmò per un quindicennio quei corsivi contrassegnati dallo spillone rosso che apparivano ogni giorno nella prima pagina dell’“Unità”. Erano le prime righe che andavano a cercare con ansia i suoi avversari preferiti (dai socialdemocratici, oggetto degli attacchi più caustici, al padrone della Fiat, l’avvocato Basetta, che, afferma Fortebraccio, «preferisce farsi chiamare con lo pseudonimo di Gianni Agnelli»), ed erano le prime righe che andavano a cercare con gioia i fratelli che egli si era scelto, ossia i compagni di base del Partito, che da quei testi fulminanti ricavavano, oltre a citazioni che spaziavano tra gli autori della letteratura italiana, francese e inglese, oltre a un gusto variegato che poteva essere quello del fine sorriso o della schietta risata, altrettante frecce per i loro archi, da usare nella quotidiana battaglia di classe contro ‘lor signori’.
Rivolgendosi nel 1977 all’autore di una famosa vignetta contro Enrico Berlinguer, allora segretario nazionale del Pci, Fortebraccio si esprimeva così: «Forattini ha detto a mio riguardo…che sono stalinista. Gli rispondo subito che non me ne offendo affatto, anzi…aggiungerei che, data l’esistenza di personaggi come lui, accetto lietamente di essere definito stalinista». Chissà che cosa scriverebbe, oggi, di Berlusconi o di Bossi, e di tanti sguaiati personaggi del nuovo potere colui che amava ripetere di sé: «Io sono un giornalista e non uno scrittore, un giornalista per élites: e infatti scrivo per i metalmeccanici»?
Eros Barone

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