12.4.12

Pace. Rivoluzionari, democratici e non violenti (da "Umbria contemporanea" n.16-17)

E’ reperibile nelle migliori librerie dell’Umbria il numero 16-17 di “Umbria contemporanea” (edizioni CRACE), la rivista fondata da Raffaele Rossi che mira a connettere passato e presente della regione. Se non mi sbaglio si tratta del primo numero che esce senza la direzione dell’indimenticato Lello.
Il numero speciale, curato da Luciano Capuccelli, presidente della Fondazione Capitini, è dedicato ai movimenti per la pace dal 1950 ad oggi e contiene, tra i tanti interessanti testi,  un mio saggio che discute l'importante libro di Domenico Losurdo sulla non violenza del quale è qui postato uno stralcio. (S.L.L.) 
All’inizio del 2010 Laterza ha dato alle stampe La non-violenza. Una storia fuori dal mito.
Ne è autore Domenico Losurdo, uno studioso di confine, il quale, in quanto accademico, ha avuto e conserva ruoli ufficiali nella struttura universitaria, ma da almeno un decennio si propone di sottrarre alla generalizzata mitizzazione e mistificazione alcuni elementi costitutivi del “pensiero unico” post-Ottantanove.
Da questa ricerca controcorrente sono usciti fuori alcuni testi tra storia, politica e filosofia, tutti molto discussi: una “controstoria” del liberalismo oggi dominante, una rivisitazione apologetica della “leggenda nera” di Stalin e da ultimo un volume sulla non-violenza che ne ricostruisce fondamenti e vicende e ne contesta l’odierna canonizzazione acritica e strumentalizzazione imperialistica.
L’approccio scelto da Losurdo per affrontare la tradizione politica non-violenta, il suo stratificato edificarsi nel tempo e il suo sostanziale esaurirsi (almeno ai suoi occhi), connette l’aspetto storico-politico a quello storico-filosofico, utilizzando spesso il metodo comparatistico come strumento forte di valutazione.

Tre grandi racconti
Lo studioso è del tutto consapevole - e del fatto dà conto ai lettori - che sono molte le scaturigini e le motivazioni delle teorie e delle pratiche della non-violenza e che esse affondano le radici tanto nella dimensione religiosa dell’esistenza quanto nel più laicistico degli utilitarismi; e tuttavia tenta di ricondurre a unità la complessità, fissando punti di partenza e approdi.
Alle origini della non-violenza come costruzione politica Losurdo pone il tema della pace universale. Esso matura come esigenza fin dal Settecento illuministico, quando trova espressione compiuta nel tendenziale repubblicanesimo e nel federalismo universalistico di Kant; non manca poi di voci autorevoli (da Tolstoj a Freud) tra Ottocento e Novecento; giunge infine a maturità nel cuore del “secolo breve”, nel corso del quale la condizione atomica e lo sviluppo tecnologico esauriscono definitivamente la retorica della guerra “bella” ed “educativa”.
Schematicamente Losurdo individua tre progetti o “grandi racconti” (il che – ovviamente - non nega interrelazioni e contaminazioni tra essi) che aspirano a chiudere definitivamente il tempo della guerra tra gli Stati: quello rivoluzionario che prende origine dal giacobinismo e attraverso il movimento operaio e il marxismo trova il suo apogeo nel leninismo; quello non-violento che tenta di eliminare in radice la possibilità della guerra; quello dell’interventismo “democratico” che punta sulla diffusione del modello occidentale di libertà politica come antidoto al dispotismo bellicista.
L’origine di quest’ultimo “pacifismo”, più ideologico che effettuale, è intravista da Losurdo nella Prima guerra mondiale, quando, nel campo dell’Intesa, intellettuali di sicura fede democratica come l’italiano Gaetano Salvemini giungono a invocare la guerra per “uccidere la guerra” e non esitano a chiedere per questo scopo nobile il sacrificio della vita. Paradossale è che, da una parte, come bersaglio di questa guerra fosse indicata la Germania militarista e il suo espansionismo, mentre la Germania a sua volta giustificava la guerra con la necessità di colpire l’Orso dell’Est, la Russia zarista fonte di autocratica oppressione e di ottusa violenza. A consacrare l’ideologia della “pace definitiva” come prodotto della diffusione nel mondo della “libertà politica” fu poi il presidente Usa Wilson, quando nel 1917 il grande paese d’Oltreatlantico, rompendo con la tradizionale dottrina Monroe, entrò direttamente nella Grande Guerra europea.
Si tratta per Losurdo dell’unica fra le tre opzioni rimasta in campo, seppure con una forte carica di mistificazione. Gli Usa, infatti, tendono oggi a presentarsi come una sorta di “nazione eletta”, che spende sé stessa e le sue risorse per affermare ovunque la democrazia rappresentativa. La prassi e l’ideologia dell’impero ha finito, peraltro, con l’inglobare la stessa non-violenza come metodo di lotta, trasformandola in strumento di acquisizione all’Occidente capitalistico di nuovi spazi di libera espansione.
Contraddizioni radicali non erano mancate anche nel campo dei rivoluzionari socialisti, la cui proposta di pace universale si reggeva sull’internazionalismo dei proletari e delle classi sociali sfruttate e oppresse. Losurdo indica due nodi storici che misero in crisi lo schema: quello delle guerre coloniali cui una parte del socialismo europeo guardò con simpatia in quanto guerre di “civilizzazione”; il primo conflitto mondiale, che spaccava l’Internazionale e scuoteva le coscienze di capi e militanti, divisi tra un antimilitarismo spinto sino al disfattismo e la “nazionalizzazione” armata del movimento operaio.
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Il gigante Gandhi
Il passaggio chiave è individuato nella figura di Gandhi, la cui mitizzata intransigenza non-violenta esce fortemente ridimensionata dall’ampia ricognizione su tutta la sua vicenda politica. All’originario rifiuto morale della guerra e della violenza, sempre rivendicato, infatti corrisponde in Gandhi un comportamento politico spregiudicato, con molte svolte, il cui obiettivo è, in un primo tempo, l’elevazione degli indiani al livello degli inglesi nel grande impero coloniale britannico, al di sopra delle altre razze. In questa luce si fa reclutatore di volontari indiani per la guerra contro i boeri in Sud Africa: l’obiettivo è “partire e morire per la causa dell’India e dell’Impero”. Di questa partecipazione Gandhi sottolinea il valore pedagogico: la guerra, infatti, trasformerebbe degli uomini rozzi e indocili in persone animate da gentilezza e senso del dovere. Nel 1906 Gandhi cerca di favorire la formazione di un corpo militare indiano che intervenga repressione degli zulù. Manterrà questo atteggiamento collaborativo a lungo, per tutta la durata della Grande Guerra.
La tesi di Losurdo è che, fino a quel tempo, il campione della non-violenza è semmai Tolstoj, con cui Gandhi scambia alcune lettere, ma da cui è distante per la mancata condanna dei massacri perpetrati dai governi europei nelle loro politiche imperialistiche.
E’ dopo il massacro di Amritsar, messo in atto nel 1919 contro gli indiani dal potere coloniale inglese, che Gandhi definitivamente abbandona l’aspirazione alla cooptazione e tende piuttosto a collocare l’India nel processo più generale di emancipazione del mondo dal colonialismo occidentale.
Losurdo non cessa tuttavia di mettere in fila contraddizioni, cadute e debolezze cui, anche dopo, il Mahatma va incontro, dalla sua simpatia per il fascismo italiano al suo mettere sullo stesso piano Hitler e Churchill, fino all’autoritarismo violento e antifemminista che in un alcune occasioni manifesta nella vita quotidiana della sua comunità.
Lo studioso italiano sembra quasi aver assunto il ruolo di “avvocato del diavolo” nel processo di beatificazione di Gandhi, ma, se nel libro costui subisce un ridimensionamento come “non-violento”, di sicuro giganteggia come leader politico nazionale, artefice dell’indipendenza dell’India, e di lui vengono valorizzate le capacità di costruzione culturale e ideologica e di direzione politica. Tra le sue intuizioni ideologiche, politiche e propagandistiche Losurdo ricorda la rivendicazione del primato morale dell’India e dell’Asia gentile sulla barbara Europa guerriera e conquistatrice, l’utilizzazione efficace di motivi ed emozionalità religiose, la lotta non-violenta come produttrice d’indignazione e di consenso perfino tra i “nemici”.
In questa chiave anticolonialista, peculiarmente asiatica, Losurdo può mettere a confronto “il partito di Gandhi” e “il partito di Lenin” (meglio si direbbe dei “leninisti” Mao Tse Tung e Ho Chi Minh), trovandovi più analogie che differenze.
Il giganteggiare di Gandhi si ricava del resto dall’esemplarità che assume la sua lotta in tutto il mondo. Con il suo pensiero e la sua azione si confrontano infatti, anche criticamente, alcune tra le più grandi figure dell’intellettualità europea, stimolate dalla coscienza religiosa e attratte dalla prospettiva della non-violenza: Reinhold Niebuhr, Dietrich Bonhoeffer, Simone Weil e Aldo Capitini. E “Gandhi nero” è con buone ragioni denominato, anche da Losurdo, Martin Luther King.
Anche King, come un tempo il Mahatma, parte dalla tentazione di una cooptazione degli afroamericani, a cominciare dalle loro élite, nel potere bianco degli Usa e anche la sua storia gronda lacrime e sangue e vive di contraddizioni laceranti. Cartina di tornasole è questa volta la “sporca guerra” del Vietnam, intorno a cui matura la presa di coscienza dell’impossibilità di una partecipazione al sistema Usa così com’era, connessa peraltro al maturare nell’area della rivolta afroamericana del sogno “terzomondista”.
Salvatore Lo Leggio

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