10.4.12

Una sorta di irragionevole allegria. Un ricordo di Miriam Mafai

Da “extra”, supplemento de “la Repubblica”, del 24 dicembre 1985, per ricordare Miriam Mafai, recupero parte di una sua memoria di guerra colà intitolata, forse con una certa imprecisione, Là nel ghetto, nel ' 43 ci mettemmo a ballare. Mi pare che questa paginetta esprima l’intensità di un momento con grande capacità di penetrazione psicologica e di rappresentazione giornalistico-letteraria. (S.L.L.)
Il dicembre del 1943 fu a Roma un mese di fame e di paura. Nessuno comperava quadri a quell'epoca e del resto mio padre non ne dipingeva nemmeno. Vivevamo però in una bella casa dietro piazzale Flaminio che c'era stata affidata da uno dei grandi collezionisti d'arte di allora che si era trasferito con la famiglia al Nord. La razione di pane era ridotta a cento grammi al giorno e noi per sfamarci masticavamo tutto il giorno carrube. La paura ci aggrediva al tramonto quando il coprifuoco rischiava di coglierci lontano da casa e noi non avevamo ancora finito il giro che quotidianamente ci veniva assegnato per distribuire armi o stampa clandestina. Eppure anche quell'anno riuscimmo, come voleva mia madre, a celebrare un doppio Natale: il primo era la Hannuhà, la festa delle capanne, secondo la tradizione ebraica; il secondo il Natale vero e proprio secondo la tradizione cristiana. A ottobre tutti gli ebrei del ghetto erano stati deportati. Noi ci eravamo salvati. Non potendo costruire una capanna, mettemmo rami d'albero attorno alle porte di casa, recitammo qualche verso di una preghiera e leggemmo la Bibbia. Fu una serata molto triste; ci tormentava l'idea che mentre noi eravamo lì liberi e al sicuro anche se affamati, altri erano nelle mani dei tedeschi a via Tasso o nei campi di concentramento in Germania. Il nostro umore cambiò nei giorni successivi senza nessuna ragione precisa. Il 20 dicembre i gappisti avevano fatto esplodere due bombe all'hotel Flora a via Veneto, sede del Tribunale di guerra nazista. Il coprifuoco il giorno dopo venne anticipato alle cinque del pomeriggio, prima del tramonto. Il pericolo delle retate era aumentato; la distribuzione quotidiana del nostro materiale venne rallentata. E noi assurdamente decidemmo di fare una grande festa per la sera di Natale. La festa cominciò nel tardo pomeriggio e finì all'alba. Vennero gli amici più intimi, da Maria Antonietta Macciocchi a Citto Maselli, a Pietro Amendola a Rinaldo Ricci, che abitualmente viveva nella casa di via Salaria con Luchino Visconti; vennero Antonello Trombadori e Fabrizio Onofri, comandanti dei Gap romani; vennero gli amici con i quali andavamo a teatro, Carlo Mazzarella, Vittorio Caprioli, Lea Padovani...
Avevamo tutti attorno ai vent' anni e molti progetti per quando fosse finita la guerra: fare teatro, scrivere libri, suonare jazz. C' era anche se non sbaglio Libero De Libero, Sergio Amidei che voleva fare un film (e l' avrebbe fatto: Roma città aperta), Alessandro Fersen in bilico tra filosofia e teatro. Essendo noi così giovani ed essendo la città occupata dai tedeschi e sentendoci tutti in pericolo e avendo tutti il gusto della letteratura e dell'avventura, la nostra tensione si trasformò ad un certo punto in una sorta di irragionevole allegria. Quando venne scoperta in un armadio la divisa di gerarca del padrone di casa qualcuno, forse Caprioli, la indossò e improvvisò una straordinaria parodia di un discorso di Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia. C'era anche Renato Guttuso che cantò con la sua bella voce pastosa canzoni siciliane; mio padre declamò sonetti del Belli; Omiccioli pallido e gentile andava dall' uno all' altro preoccupato dicendo: "Non gridate così forte, possono arrivare...".
Mettemmo dischi di jazz e ballammo (mio padre amava molto ballare) e aprimmo le finestre per significare che non avevamo paura e per sentire se da lontano si sparava. In un angolo un signore molto elegante e silenzioso ci osservava scuotendo la testa. "Quello sarà ministro", disse ad un certo punto mio padre. Era Celeste Negarville, un dirigente molto autorevole del Pci che poi fu sottosegretario agli Esteri. Pochi mesi dopo a giugno Roma fu liberata.

Nessun commento:

statistiche