26.5.13

Fallimenti. L’Italia di merda (S.L.L.)

Me lo racconta una vittima, un ragazzo che ha perso il lavoro.
Pare che tra le grandi misure anticrisi inventate dal governo Napolitano-Monti ce ne sia stata una che per sei mesi sospendeva i fallimenti d’azienda.
Lo scopo dichiarato era quello di dare a tante piccole imprese una boccata d’aria, nella speranza che nuove ordinazioni, aiuti bancari o altri provvidenziali accadimenti le salvassero. La motivazione profonda era quella di occultare agli occhi del mondo l’aggravarsi della crisi. Il governo poteva dire: “Avete visto? I fallimenti diminuiscono. La nostra politica funziona”.
In realtà, nella maggior parte dei casi, e in maniera particolare nel caso in questione, il rinvio del fallimento ha consentito ai titolari di ripulire le casse e di non far trovare neppure un centesimo. La prima cosa a sparire sono state le retribuzioni degli ultimi mesi e le liquidazioni dei dipendenti; e insieme ad esse i soldi per pagare i fornitori,  specialmente i più bisognosi e miserabili come le microimprese di pulizia. Il fallito in questione è oggi felicemente in vacanza e pare che circoli in Ferrari.
Di questi tempi c’è tanta retorica intorno agli imprenditori che non reggono alla sofferenza di lasciare sul lastrico i loro dipendenti, dei quali si sentono responsabili e che – di fronte alla prospettiva del fallimento e della chiusura – impazziscono o si suicidano.
Ce ne sono.
E la cronaca documenta questi casi.
Ma intanto, nella crisi, continua a prosperare un’Italia di merda, l’Italia degli arraffoni e dei cinici.

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