6.5.13

Il dolore della mente (di Antonio Tabucchi)

Dal “Corriere della Sera” (l’anno è il 1986, ma nel ritaglio manca la data) riprendo un ampio stralcio di una recensione che, partendo da un libro di Julia Kristeva, ragiona della depressione, dei suoi rapporti con la “malinconia” storica, con la religione, la creatività e l’arte. Un buon punto di partenza, mi pare. (S.L.L.)
Holbein, Cristo morto
Sole nero. Depressione e malinconia, Feltrinelli editore, un libro che parla dell'infelicità, della sofferenza, della tristezza, dell'annientamento e della morte dell'anima, oppure, se si preferisce un termine psichiatrico, del «dolore della mente». Un libro assai eccentrico, questo della Kristeva, per la sua composizione e per il concetto che gli fa da guida. In esso l'autrice accomuna testi di linguistica e di psicoanalisi (Vita e morte della parola), un testo di estetica (La bellezza: l'altro mondo del depressivo), un testo di critica dell'arte (Il Cristo morto di Holbein) una sorta di folgorazione su Dostoevskij (La scrittura della sofferenza e il perdono), testi critici su Nerval e su Marguerite Duras, e infine tre «cronache», perché non saprei come altro chiamarle, che stanno a metà fra la cartella clinica e il romanzesco: tre storie di donne che hanno raccontato le loro vicende a Julia Kristeva e che si intitolano Figure della depressione femminile.
Ma ciò che incuriosisce in questo libro, oltre al fascino che l'intelligenza della Kristeva esercita sul lettore, è la tesi che Io guida, e che è la seguente: che la cosiddetta Melancholia degli antichi, quell’umore o quella stimmung che hanno alimentato il Bellerofonte omerico, Ovidio, Dürer, Pascal, Nerval, Baudelaire e mille altri; la «saturnità» di cui si occuparono Aristotele, Galeno e Marsilio Ficino — questa Melancholia, oggi, per Julia Kristeva ha un altro nome e un altro volto: è la depressione.
Julia Kristeva spiega in modo assai convincente che la depressione è il male del secolo; e contro questo male esistono gli antidepressivi chimici, meravigliose invenzioni che eliminano il sintomo ma non la causa del dolore, e un contro-depressivo, la psicoanalisi, che cerca le cause del dolore della mente non per cancellarlo, ma per farlo accettare, per accorporarlo, se così si può dire, per assorbirlo nella comprensione dell'analisi. Ma il dolore della mente resta. Ateo radicale, il depresso persegue un ideale a suo modo mistico; il dolore è per lui una dimensione temibile eppure attraente, malefica, conturbante e in un certo senso rivoluzionaria, perché logora le radici di tutta una cultura. Negando il senso della vita, afferma Julia Ksisteva, il depresso tocca le radici, una volta religiose, della cultura.
E si domanda poi l’autrice: una civiltà che abbandona il senso dell’Assoluto del Senso non è dunque, per forza, una civiltà che deve fare i conti con la depressione? E ancora: l'ateismo, è implicitamente «depresso»? E infine: dove si trova l'immanenza ottimistica dell'ateismo implicitamente depresso? Nella Forma? Nell'Arte?
Insomma, attraverso la depressione, che è una «prova suprema», si verifica secondo la Kristeva «una crisi rivelatrice della verità dell'essere». Ed è attraverso questa crisi che le forme artistiche e la cultura si modificano attraverso i secoli. Perché mai, si chiede la Kristeva, si modificherebbero il pensiero e le forme artistiche se non fosse stata affrontata au préalable la loro banalità e la loro inanità?
In altre parole: la depressione al limite della creatività, o anche la depressione come condizione indispensabile alla creatività e alla modificazione. Certo, modificando il pensiero si modifica anche l'atteggiamento modificatore. Anche la malinconia trasformatrice si trasforma: diciamo che la malinconia si adegua ai tempi, che si apre sul mondò moderno in forma nuova.
E se la malinconia si adegua alla modernità, la modernità di adegua alla malinconia. Se corruptio sanguinis, desesperatio e instabilitas loci sono tratti che accomunano lo «spleen» dei simbolisti all'antica «acedia» medievale, con la Nausea sartriana, ad esempio, fa la sua comparsa una malinconia fortemente strutturata e provvista di un sostegno metafisico, correlata, per dirla con un termine filosofico, col Dasein, con «l'esserci»…

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