5.12.17

La guerra e la distruzione dei monumenti. Simbologia e accecamento della violenza (Raffaele K. Salinari)

Il leone di Palmira, particolare
Palmira, Aleppo, Baghdad. La distruzione dei monumenti è consustanziale alla guerra. Ma molto più del vedere è potente l'oscuramento. Ecco perché del leone di Palmira non sappiamo se esiste ancora o è stato distrutto
Una feroce opera di oscuramento simbolico sta cancellando il volto del medio Oriente. Palmira, anche con le ultime immagini criminali di adolescenti che mettono sotto il giogo prima delle esecuzioni prigionieri di guerra dell'esrcito siriano, Aleppo, ma ancor prima Badhgad ed il nord dell'Afganistan, vengono progressivamente privati delle loro specificità per ridiventare pure entità geografiche sulle mappe delle forze belligeranti.
Già al tempo dei Romani l'Africa era un terra in vague con una scritta che riassumeva questa visione del mondo: hic sunt leones. La stessa prospettiva la ritroviamo al tempo della Conferenza di Berlino, nel 1883, quando le potenze coloniali sancirono la divisione dell'Africa tracciando linee di frontiera del tutto artificiali rispetto alle omogeneità culturali che vivevano in quei luoghi da tempi immemorabili. Così la guerra per interposte potenze regionali azzera la memoria del passato e riduce i luoghi alle loro qualità belliche: crocevia tra strade strategiche, avamposti da cui si può dominare un passo, una valle, un accesso al mare.
Anche se la mappa non è il territorio, come diceva Alfred Korzybski riferendosi proprio ad una percezione, o meglio a quando esiste una comunicazione delle percezione, ad una relazione cioè tra percezione e cosa comunicata, questa affermazione appare oggi in tutta la sua verità perché fondata su una visione di tempo di pace, in cui lo sguardo può posarsi sull'orizzonte e contemplare l'opera dell'uomo e della natura, unite in quell'intreccio che disegna da sempre il paesaggio.

Nel tempo della guerra
Ma nel tempo della guerra la mappa è il territorio, una tabula da cui sono state cancellate tutte le sovrastrutture culturali, tutte le percezioni comunicabili e soggettive, al fine di ridurlo ad un insieme di dati elementari, come necessitano le logiche della conquista o della difesa. Il mondo rotondo, incommensurabile, la sfera simbolo del divino stesso, ridiventa così il pinax, il piatto, sul quale Salomè volle le fosse portata la testa del Battista, di colui che dà i nomi, e dunque che fa esistere il luogo: ciò che non viene nominato non esiste. La terra piatta è la terra che si può quindi dominare, la rete delle coordinate geografiche, dei paralleli e dei meridiani, diviene così la rete nella quale ingabbiare il territorio per poterlo governare.
Il simbolico è dunque un ostacolo, un impedimento, non solo tattico, ma strategico, alla guerra. Chi manovra gli eserciti, i terrorismi, i fanatici delle fede senza se e senza ma, lo sa bene: anche il più incallito tra i mercenari sosta un momento a riflettere all'ombra di un monumento, prima di sdraiarsi per terra ed usarlo come semplice riparo.

Distruzione consustanziale
Ecco perché la distruzione dei monumenti è consustanziale alla guerra, perché essi rappresentano comunque un katecon, un freno, a quell'istinto primordiale che deve essere scatenato invece in tutta la sua potenza, per vincere, per impossessarsi non di ciò che sta sopra, ma di ciò che sta sotto l'animo umano.
Ma molto più del vedere è potente l'oscuramento, il non poter più vedere. Ecco perché del leone di Palmira non sappiamo se esiste ancora o è stato distrutto: l'assenza di ogni immagine al tempo dell'accecamento mediatico, delle sovraesposizione dell'immaginario ad una sequenza ininterrotta di fotogrammi pervasivi ed ubiquitari, è l'arma finale.
La «dromoscopia» delle immagini che si susseguono freneticamente e non si danno il tempo per diventare Immagini, per essere esplorate nelle loro segnature, come sosteneva Paul Virilio, viene allora sostituita da un ulteriore dispositivo di accecamento, l'assenza che sradica il simbolo dal de visu.
Se l'immagine televisiva è costruita ad arte, artefatta, come un susseguirsi continuo di loghi, impossibile coglierne il senso profondo, l'Immagine scomparsa diviene più reale di quella visibile. Ecco perché chi si oppone alle guerre coltiva le differenze, sostiene la bellezza, alimenta le diversità culturali, continua a far indugiare lo sguardo su quelle macerie da cui fugge l'Angelo delle Storia.


“il manifesto”, 6 luglio 2015

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