5.5.19

La storia è un bene comune, salviamola. L'appello di Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri per ridare dignità nelle scuole alla materia


Il “manifesto per la storia”, pubblicato da “Repubblica” il 25 aprile è stato un grande successo. Alle prime tre firme pesanti, di uno storico, di uno scrittore di successo, di una senatrice a vita, se ne sono aggiunte altre 500, in diversi casi non meno autorevoli. A me ricorda un appello del primo Ottocento nel quadro di un'Italia frammentata e dominata da potenze straniere: “Italiani, vi esorto alle Storie”. Fu stilato, come prolusione accademica, da un giovane professore universitario che di cognome faceva Foscolo.
Credo che ora all'appello non servano più firme, ma occorrono altre forme di mobilitazione. Per esempio non guasterebbe che associazioni culturali, librerie, sindacati scuola, giornali e riviste, promuovano nelle città e nei paesi, anche quelli piccolissimi, occasioni di discussione e di dibattito a illustrazione dell'appello, che si concludano con un'adesione collettiva, che consiglieri comunali, provinciali e regionali promuovano ordini del giorno sul tema, che si affiggano manifesti per le vie e si diffondano in rete.
A me poi non spiacerebbe che circoli, come gadget per l'autofinanziamento dell'ARCI e dell'ANPI per esempio, una maglietta che abbia da un lato l'immagine di Foscolo (che era piuttosto belloccio) e la sua frase e dall'altro la scritta “La storia è un bene comune. Salviamola”. (S.L.L.)

Ugo Foscolo

La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione.
Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese.
Sono diffusi, in molte società contemporanee, sentimenti di rifiuto e diffidenza nei confronti degli “esperti”, a qualunque settore appartengano, la medicina come l’astronomia, l’economia come la storia. La comunicazione semplificata tipica dei social media fa nascere la figura del contro-esperto che rappresenta una presunta opinione del popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a giacimenti di verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero per proteggere interessi e privilegi.
I pericoli sono sotto gli occhi di tutti: si negano fatti ampiamente documentati; si costruiscono fantasiose contro-storie; si resuscitano ideologie funeste in nome della deideologizzazione. Ciò nonostante, queste stesse distorsioni celano un bisogno di storia e nascono anche da sensibilità autentiche, curiosità, desideri di esplorazione che non trovano appagamento altrove. È necessario quindi rafforzare l’impegno, rinnovare le parole, trovare vie di contatto, moltiplicare i luoghi di incontro per la trasmissione della conoscenza.
Ma nulla di questo può farsi se la storia, come sta avvenendo precipitosamente, viene soffocata già nelle scuole e nelle università, esautorata dal suo ruolo essenziale, rappresentata come una conoscenza residuale, dove reperire al massimo qualche passatempo. I ragazzi europei che giocano sui binari di Auschwitz offendono certo le vittime, ma sono al tempo stesso vittime dell’incuria e dei fallimenti educativi.
Il ridimensionamento della prova di storia nell’esame di maturità, l’avvenuta riduzione delle ore di insegnamento nelle scuole, il vertiginoso decremento delle cattedre universitarie, il blocco del reclutamento degli studiosi più giovani, la situazione precaria degli archivi e delle biblioteche, rappresentano un attentato alla vita culturale e civile del nostro Paese.
Ignorare la nostra storia vuol dire smarrire noi stessi, la nostra nazione, l’Europa e il mondo. Vuol dire vivere ignari in uno spazio fittizio, proprio nel momento in cui i fenomeni di globalizzazione impongono panorami sconfinati alla coscienza e all’azione dei singoli e delle comunità.
Per questo cittadini di vario orientamento politico ma uniti da un condiviso sentimento di allarme si rivolgono al governo e ai partiti, alle istituzioni pubbliche e alle associazioni private perché si protegga e si faccia progredire quel bene comune che si chiama storia
e chiedono

che la prova di storia venga ripristinata negli scritti dell’esame di Stato delle scuole superiori.

che le ore dedicate alla disciplina nelle scuole vengano incrementate e non ulteriormente ridotte.

che dentro l’università sia favorita la ricerca storica, ampliando l’accesso agli studiosi più giovani.
Andrea Giardina
Liliana Segre
Andrea Camilleri

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