16.5.19

Nell'antica Persia, sulla Strada Reale da Susa a Persepolis, seguendo le orme di Alessandro Magno (Farian Sabahi)

Rovine di Persepolis


Né la neve né la pioggia né il caldo né il buio della notte impediscono a questi corrieri di portare rapidamente a termine le missioni loro assegnate: è questo il motto informale del servizio postale degli Stati Uniti preso a prestito dai più antichi postini al mondo: i persiani”, racconta nei suoi Pellegrinaggi il giornalista Afshin Molavi, nato in Iran e cresciuto negli Stati Uniti dove attualmente risiede.
Il motto usato dai postini americani deriva infatti dagli achemenidi e precisamente dal regno di Dario (522-486 a.C.), colui che istituì il primo servizio postale dopo aver creato un sistema di strade sottoposte a manutenzione e vigilanza e percorribili
Re Dario non voleva più fare affidamento sui burocrati babilonesi serviti da sostegno al fondatore della dinastia Ciro il Grande e diede maggiori incarichi ai persiani. Per mantenere il contatto fra i vari centri creò una rete stradale la cui importanza non si esaurì con il suo regno.
«Pur essendo destinate al servizio amministrativo - scrive lo storico Roman Ghirshman - queste strade erano percorse dalle carovane e accrescevano gli scambi». Si esportavano pistacchi ad Aleppo, sesamo in Egitto e riso in Mesopotamia. I commerci erano facilitati sia dalle strade, sicure anche se ai viaggiatori non era raccomandato uscire dai tracciati, sia dalla creazione di un sistema monetario.
La strada amministrativa più conosciuta partiva dalla capitale invernale e politica Susa (nella regione odierna del Khuzestan) e dopo avere attraversato il Tigri a valle di Arbela (Erbil, Iraq settentrionale), passava per Arran e raggiungeva Sardi (in Lidia, Asia minore), da dove proseguiva per Efeso. Lunga 2683 chilometri, era interrotta da centoundici stazioni di posta con cavalli sempre freschi per i messi reali. Secondo Erodoto, le carovane percorrevano la strada in novanta giorni, mentre agli inviati del sovrano bastava una settimana.
C’era poi un’antica strada che passando per Karkemish univa Babilonia all’Egitto: fu migliorata e collegata a quella che andava da Babilonia ad Alvand, Bisutun e la capitale estiva Ecbatana (l’attuale Hamadan). In seguito alle conquiste orientali quest’ultima via fu prolungata fino alla valle dell’alto Kabul da dove, seguendo il corso del fiume, raggiungeva la via per l’Indo.
Oltre a queste strade amministrative ne furono tracciate altre, più brevi ma indispensabili per gli spostamenti della diaspora persiana e della corte reale che si muoveva in continuazione. Quella che ricorre più spesso nella letteratura di viaggio è la Strada reale, ovvero quella che collega Susa a Persepolis (nel Fars) dove si celebravano le cerimonie. Nella regione di Behbehan ne è stato trovato qualche tratto ben pavimentato con blocchi di pietra e lungo di essa sono ancora visibili, nei pressi di Fahlian, i resti di un piccolo padiglione reale con basi di colonne nello stile di Susa e Persepolis. Tra Fahlian e Bishapur la strada si divideva: attraverso le Porte persiane si arrivava sull’altopiano, mentre l’altra via portava alla regione del Lurestan e univa così Susa a Ecbatana.
La strada per Persepolis fu percorsa anche da Alessandro Magno: partito dal Mediterraneo giunse a Babilonia e da qui a Susa. Nonostante il gelo invernale i soldati si arrampicarono sulle montagne, scavalcarono gli Zagros attraverso le Porte persiane, unico passaggio possibile, per prendere a metà gennaio del 330 a.C. Persepolis, dove l’esercito trascorse quattro mesi. Prima di andarsene, Alessandro diede fuoco alla terrazza dei palazzi imperiali. Le orme del Macedone sono state ripercorse da molti viaggiatori a cominciare dal gentiluomo inglese Robert Byron (m. 1941) che fece tappa a Persepolis lasciandone una descrizione nel diario La via per l’Oxiana.

I NOSTRI ARCHEOLOGI IN MISSIONE
A distanza di secoli, l’impresa di Alessandro continua a essere ricordata da coloro che osano avventurarsi in Iran. Tra questi, a scriverne è stata l’archeologa Silvia Tenderini che osserva come il percorso verso Persepolis fosse stato una delle imprese di Annemarie Schwarzenbach: fatto questo tragitto nel 1933, osò riprovarci ma cadde nello sconforto perché «la prima volta che si affronta qualcosa si è più audaci, perché non si sa bene a cosa si sta andando incontro, mentre alla seconda occasione non ci si dovrebbe più lasciare indurre in tentazione».
Percorrendo la Strada reale, i viaggiatori ricordano le imprese di Dario e di Alessandro Magno dando voce, al tempo stesso, ai loro accompagnatori. Silvia Tenderini racconta, per esempio, della sua guida iraniana Siamak: la invita a togliere il velo “mentre il pulmino corre veloce sul moderno nastro d'asfalto. La polvere da millenni entra nel naso, negli occhi, nei capelli. Mi protegge la bocca col foulard che mi avvolge la testa. Respiro l'aria calda attraverso la stoffa. Coprirsi il capo è indispensabile per resistere al pulviscolo e al vento”.
E quando il pulmino arriva a Persepolis, il farmacista milanese che viaggia con l'archeologa, dice di esserci già stato nel 1971 per le celebrazioni dei 2500 anni dell’impero persiano: l’ultimo scià, Muhammad Reza Palhavi, fece allestire un lussuoso accampamento con tende a righe bianche e azzurre come piacevano a Dario il Grande. Furono invitati ospiti da tutto il mondo e, come all’epoca degli achemenidi, «accorrevano persone da ogni dove: domestiche dalle Filippine, idraulici dalla Grecia, elettricisti dalla Norvegia, parrucchieri dalla Francia, meccanici dall’Italia e militari dagli Stati Uniti».
Se lo scià voleva dimostrare di essere l’erede dell’antico impero, l’attuale governo deve fare i conti con le necessità di una popolazione che ha superato i settanta milioni: ad aprile è stata inaugurata la diga di Sivand, indispensabile per rendere fertile un’ampia area ma pretesto per un’accesa contestazione della diaspora negli Usa e degli studenti a Teheran. “La diga è situata a circa 20 chilometri da Pasargade. Prima di aprire la diga il Centro iraniano per le ricerche archeologiche ha incaricato varie missioni di condurre approfondite campagne di scavo e atteso che noi studiosi, dopo avere documentato i resti, dessimo il nostro consenso all’allagamento dell'area”, spiega Pier-francesco Callieri, professore di Archeologia e storia dell’arte iranica all’Università di Bologna. Co-direttore della missione italo-iraniana, osserva: «Ne è uscito un quadro interessante ma nessun sito di enorme valore. Non vi saranno ripercussioni sui siti importanti, nemmeno in termini di umidità perché distano cinque chilometri e di mezzo c’è una gola molto stretta. La Strada reale passava sì da Pasargade a Persepolis ma, secondo quanto scoperto recentemente da una missione franco-iraniana, non le appartengono i tratti scavati nella roccia: sono parte di un sistema di canalizzazioni di una regione un tempo fertile e comunque non verranno sommersi».

Tuttolibri La Stampa, 11 agosto 2007

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