Da un articolo di Piero Gobetti sui comunisti torinesi, del 1922, qui recupero una pagina dedicata al giovane Gramsci che ne conferma lo straordinario acume, la capacità di comprendere uomini e contesti.
Estate 1919. Gramsci (in piedi a destra) con alcuni compagni alla Camera del Lavoro di Torino |
Allo scoppio della guerra europea il socialismo torinese appariva piatto e grossolano, come nelle molte altre città provinciali. Invece di una politica idealistica, capace di esercitare una qualche influenza educatrice sulle masse, invece di organizzare le idee, alla peggio, intorno all'astratta ma pur sempre generosa bandiera dell'internazionalismo, i più professavano, prendendolo a prestito dai giolittiani, un gretto neutralismo, arido, senza motivi spirituali, utilitarista, più o meno giustificabile in una mentalità di governo, ma ripugnante in un partito di masse. La mancanza di idealità corrispondeva alla mancanza di un nucleo di dirigenti colti e operosi.
In mezzo a quest'inerzia di pensiero fu notato un giovane solitario, Antonio Gramsci, il quale già mentre compiva i suoi studi letterari all'Università, si era iscritto al Partito Socialista, forse più per ragioni umanitarie, maturate nella sua pessimistica solitudine di sardo emigrato, che per una netta concezione rivoluzionaria. Il Gramsci non tardò, tuttavia, a formarsi una cultura politica e, nonostante la sua riluttanza e timidezza, Serrati, con notevole perspicacia, lo volle collaboratore e corrispondente politico dell’Avanti! da Torino.
Più tardi, nella pagina del giornale dedicata alla vita torinese, il Gramsci si affermò come formidabile polemista di argomenti sociali e letterari; ebbe uno stile suo, feroce, incalzante, serenamente distruttore, di una dialettica rudezza cui il giornale socialista non era uso. Molti tra i suoi scritterelli Sotto la Mole, e alcune recensioni teatrali dello stesso tempo meriterebbero di essere raccolti e ne verrebbe un libro originale che nella letteratura moderna italiana, così povera di opere polemiche di stile, definirebbe una nuova personalità di scrittore. Ma Gramsci ha dimenticato questi scritti antichi e sorriderebbe sentendoli ricordare.
La sua nuova attività di teorico della rivoluzione comincia con la sua opera nel “Grido del Popolo”. Il modesto giornaletto di propaganda di partito diventò per lui una rivista di cultura e di pensiero. Vi pubblicò le prime traduzioni degli scritti rivoluzionari russi. Si propose l'esegesi politica dell'azione dei bolscevichi. A capo di quest'opera, benché direttore apparente fosse altri, si sente il cervello di Gramsci. La figura di Lenin gli appariva come una volontà eroica di liberazione : i metodi ideali che formavano il mito bolscevico, nascostamente fervidi nella psicologia popolare, dovevano costituire non il modello di una rivoluzione italiana, ma l'incitamento a una libera iniziativa operante dal basso.
Le esigenze antiburocratiche della rivoluzione italiana erano già state avvertite dal Gramsci sin dal 1917 quando il suo pensiero autonomista si concretò in un numero unico, La città futura, pubblicato come modello e annuncio di un futuro giornale di cultura politica operaia.
In Storia del comunismo torinese scritta da un liberale in "La Rivoluzione Liberale", aprile 1922
Dallo stesso articolo è tratto il post su Umberto Terracini visto da Piero Gobetti
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