Per la serie di interviste L'estate del primo amore “La Stampa”, nel luglio 2011, ne pubblicò una di Maria Giulia Minetti a Mariangela Melato. Ne riprendo qui un ampio stralcio. (S.L.L.)
Bella, bellissima anche ora che è «on the wrong side of the sixties», sul lato sbagliato dei sessant'anni, come dicono le americane, che considerano i decenni della vita ammissibili fino a metà e inconfessabili via via che scendono verso il decennio successivo (ma per lei, che è nata il 18 settembre del 1941, è in vista la risalita). «Bella? Ma no, ero strana. Adesso poi...» e scuote la testa. Invece Mariangela Melato è un miracolo, con quei suoi occhi obliqui, gli zigomi alti e stretti e l'allure da ragazza. Un miracolo la donna e un miracolo l'attrice, diva al cinema e a teatro, meravigliosa nella commedia e nella tragedia, con una recitazione che è limpida naturalezza anche costretta nelle regole deformanti della dizione ronconiana, sfida terribile per ogni interprete.
Sarà perché alle regole, alla disciplina, lei è disposta dalla nascita, dal sangue teutonico che le scorre in corpo: «Mio padre era di origini tedesche, duro e sensibile insieme. Io gli assomigliavo. Mia madre, milanese allegra, estroversa, mi rimproverava. ''I tudesch in andaa via - diceva -, ma la raza l'e' restada''. I tedeschi erano andati via, ma la razza è rimasta».
Con un carattere del genere, magari il suo primo amore é stato il teatro. Gli uomini sono venuti dopo, è così?
«No: per tutti gli anni dell'adolescenza, il teatro non mi ha mai neppure sfiorato la mente, né il primo amore fu un ragazzo. La prima passione fu invece l'arte visiva. Sono nata in una famiglia dove l'arte in genere non era coltivata. Mio padre faceva il vigile urbano, mia madre la sarta. Si andava poco anche al cinema. Ricordo qualche domenica pomeriggio al Fossati, che adesso è diventato il Piccolo Teatro Studio. Come avrei potuto immaginarmi che da grande ci sarei tornata per recitare! ».
Mi stava parlando della sua passione per l'arte visiva...
«Sono cresciuta nel quartiere di Brera: era quasi inevitabile imbattersi nella pittura, nella scultura. Meno certo era che me ne innamorassi furiosamente. Ma fu un colpo al cuore: andai alla Pinacoteca con un gruppo di amici e restai sbalordita. Un mondo meraviglioso! Pensai: ''Questa è la mia porta del paradiso''. Poi, subito dopo, ho scoperto la fotografia».
A Brera?
«All'epoca c'era il bar Jamaica - c'è ancora, ma i tempi sono cambiati - e lì capitavano tutti gli artisti della città. Era pieno di fotografi, tra gli altri. Veniva Ugo Mulas, mi ricordo. Veniva Mario Dondero, matto come un cavallo. Diventammo amici. Lui non aveva orari, non capiva le convenzioni. Una volta, stavo ancora coi miei, suonò il campanello alle quattro di notte: ''Dai Mariangela, vieni giù, andiamo a fare un giro''».
Ma il primo amore, quello in carne e ossa, quando arriva?
«Il primo amore è stato proprio un fotografo. No, non Dondero (ride). Uno della mia età, appena un po' più grande. Io avevo cominciato a lavorare in Rinascente, facevo le vetrine. Sempre arte visiva, se ci pensa. Nel frattempo avevo allargato i miei orizzonti, la danza, la musica, la letteratura. Per farla breve, a un certo punto ho pensato: forse è il teatro che unisce tutto. E mi sono presentata all'esame per essere ammessa alla Scuola dei Filodrammatici. Avevo 18 anni, mi ha accompagnato il mio primo amore».
Era contento della sua scelta?
«Non è stato contento dopo, quando ho fatto l'attrice. Perché è stata una storia lunga, è durata tanto. Ma poi io mi sono messa a girare, sa, le tournée, le scritture in altre città. A Milano ci stavo sempre meno. A lui non piaceva... Non che mi abbia mai detto: o me o il tuo lavoro, ma le cose non funzionavano più bene».
Lei ha mollato lui o viceversa?
«Abbiamo mollato tutti e due. Io fremevo per andarmene, per badare a me stessa, per essere senza fissa dimora, lui sta tuttora a Milano. Gli uomini sono più antichi delle donne, la moglie gli piace a casa, tanto meglio se non è indipendente, tanto meglio se le serve un sostegno. Io sono il contrario. E dunque, amori ne ho avuti, ma non mi sono mai sposata. Di più, non ho mai convissuto. Come dice splendidamente Rita Levi Montalcini: io ho sempre avuto bisogno di una moglie, non di un marito. E, come vede, sono finita zitella!».
E' stato un grande amore il suo primo amore?
«Sì, è stato un grande amore, ma non "il" grande amore. Il primo amore è forse quello che ti fa più soffrire perché sei più delicata, più fragile, ma non per questo è il più importante. Nella vita, se hai fortuna, c'è tempo per altri amori, altrettanto e diversamente intensi… Non credo che possa succedere più di tre volte… A tanti non succede neppure una volta».
Nel primo amore, però, c'è la scoperta del sesso. «Non è detto… Nel primo amore conta di più il coinvolgimento sentimentale. Il sesso lo capisci meglio dopo. Ha bisogno di conoscenze tecniche e di consapevolezza. Non credo che uno giunga al primo amore consapevole di quello che c'è dentro il sesso. Della vera profondità del sesso. Bisogna arrivare a trent'anni per saperla misurare».
"La Stampa", 23 luglio 2011
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