8.4.13

Cesare Pavese, poeta ed etnologo (di Alberto Mario Cirese)

Dal sito di Alberto Mario Cirese, il grande antropologo scomparso nel 2011, riprendo una breve riflessione del 1953 su Cesare Pavese, tratta da “La Lapa. Argomenti di storia e letteratura popolare”, la rivista che negli anni Cinquanta Cirese animò dalle parti di Campobasso, coniugando passione etno-antropologica e passione politica. Il metodo del giovane Cirese mi pare inappuntabile. (S.L.L.)
Traendo spunto da un positivo accenno che Raffaele Pettazzoni ha fatto alla esperienza etnologica di questo “umanissimo poeta” nella prefazione al terzo volume di Miti e leggende, Ernesto De Martino, in vivace polemica contro il “morbo etnologico-irrazionalista”, si sofferma su Pavese “etnologo”: “Cesare Pavese, gran lettore di autori irrazionalisti nel campo della etnologia e della storia delle religioni, trasse alimento dalla loro equivoca problematica per la sua opera letteraria, e non solo tentò di dare una teorizzazione del mito che riproponeva al pubblico italiano i temi cari al Frobenius... ecc., ma volle anche accreditare questa tematica sul piano della scienza” (“Il Mondo” del 4 agosto 1953).
Positivamente giudica invece l'esperienza etnologica di Pavese Emilio Cecchi (Corriere della sera del 24 luglio): “La passione, andatagli sempre crescendo per gli studi di mitologia ed etnologia tutt'altro che estranei al suo ideale della creazione ‘d'un linguaggio che tanto si identificasse alle cose, da abbattere ogni barriera tra il comune lettore e la realtà simbolica e mitica più vertiginosa’: cotesta passione, probabilmente nata... sotto il segno di Jung e di Freud e cioè su una base fisiologica e psicopatica, s'era poi chiarita e naturalizzata, aveva trovato la sua tradizione, orientandosi verso i miti mediterranei, sotto il segno di Vico”.
V'è una certa divergenza di giudizi: a crearla contribuisce anche il diverso angolo visuale dei critici. Lo storico-etnologo, ad esempio, si pre-occupa dell'irrazionalismo che tende a dilagare valendosi anche della “malsania” del “primitivo” concepito non come fatto storico, ma come dimensione eterna della vita spirituale, e combatte decisamente la sua non mediata immissione nel mondo moderno, in pro di una immissione mediata dalla ragione storica, che unifica ma distingue. Il letterato valuta invece quell'esperienza culturale e morale in rapporto agli incrementi di fantasia e di stile che Pavese ne trasse per l'opera sua di letterato; e giudica che, dal torbido, lo scrittore si sia levato ad una limpida resa poetica.
Cesare Pavese etnologo e poeta: il problema di critica letteraria e storica che si delinea è uno dei modi, forse, nei quali può realizzarsi l'immissione “mediata dalla ragione storica” del mondo primitivo nel mondo moderno.

“La Lapa”, a. I, n.1, settembre 1953, p. 18
Ora in www.amcirese.it  (digitalizzazione a cura di Valentina Santonico)

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