Jakob
von Uexküll (1864 - 1944)
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Proseguendo
dalla Piazzetta lungo via Roma, tenendo poi la destra alla rotonda,
verso la strada provinciale che conduce a Marina Grande, in dieci
minuti scarsi si arriva ai due cimiteri, contigui ma distinti,
Cattolico e Acattolico. Il secondo sta più in basso, l'ingresso è
segnato da un bell'arco, tutto è quieto e ombreggiato. Le due tombe
sono vicine, ma la lapide di Jakob è in frantumi; sono in corso
lavori di restauro. La lapide di Gudrun, invece, è integra, con i
versi da L'esperienza
della morte
di Rilke, che nel periodo trascorso dal poeta a Capri era stato
ospite di Alice Faendrich, la zia di Gudrun, a Villa Discopoli:
«Nulla sappiamo di questo svanire che non accade a noi...».
Per
gli etologi, ma anche per i lettori curiosi di belle storie di
scienza, Jakob von Uexküll è lo studioso che ha descritto il
comportamento della zecca e il suo Umwelt,
il mondo percettivo nel quale l'organismo agisce e opera come un
soggetto. L'aracnide, racconta von Uexküll, può restare in attesa
sopra un arbusto per tempi anche lunghissimi, ignaro del passaggio
del tempo e di tutto quello che gli sta attorno, solo una singola e
specialissima fonte di stimolazione lo può scuotere, l'odore di
acido butirrico emesso dalla pelle di un mammifero. Quando lo
percepisce, la zecca si lascia cadere sul potenziale ospite, il cui
calore la induce poi ad infiggervi il suo rostro per suggerne il
sangue, fino a quando, satolla, si lascerà cadere sul terreno per
deporre le uova (nel caso improbabile che vi fosse caro il benessere
delle zecche, considerate con attenzione la pratica di raccogliere
sassi nel bosco, per poi farli cadere a terra odorosi del vostro
acido butirrico e un po' tiepidi del vostro calore).
L'Umwelt
secondo von Uexküll è costituito da stimoli significativi per la
sopravvivenza, marche percettive che sono le sole cose d'interesse
per l'organismo (J. von Uexküll,
Ambienti animali e ambienti umani,
Quodlibet, Macerata, 2013). Rifletto sull'Umwelt della zecca mentre
osservo la mia compagna scuotere i suoi capelli, seguo il movimento
della mano che toglie un po' di terriccio dalla lapide per poterne
leggerne l'iscrizione, e il suono della voce che m'interroga, in
tonalità si-bemolle. Quanta ricchezza, nel mio Umwelt,
e cosa ti perdi povero animaletto, confinato alla sola esperienza del
sentore di acido butirrico!
Il
barone estone Jakob von Uexküll (1864-1944) era un uomo abbiente,
così da poter condurre fino ai cinquant'anni una vita da studioso
senza doversi preoccupare di ottenere una cattedra universitaria.
Quando, poi, con la Rivoluzione d'Ottobre si trova a perdere l'intera
sua sostanza, il destino gli ha già fatto incontrare a Napoli,
durante un soggiorno alla Stazione Zoologica Anton Dohrn, una giovane
aristocratica tedesca, Gudrun von Schwerin, che diventerà sua moglie
e la sua compagna di vita intellettuale. Gudrun continuerà a
risiedere a Villa Discopoli a Capri per molti anni dopo la scomparsa
di Jakob, e sarà un personaggio di riferimento per la ricca comunità
di viaggiatori dello spirito - poeti, artisti, scrittori e studiosi -
che hanno scelto l'isola azzurra come patria elettiva.
È
su insistenza del medico di famiglia che i due hanno lasciato la
gelida Amburgo, dove von Uexküll aveva alla fine trovato una
cattedra, e gli allarmi notturni che, racconta Gudrun, non giovavano
alla salute del marito cardiopatico, per trasferirsi a Capri, nel
1940. In realtà c'è probabilmente più di questo. La ragione del
cambiamento di residenza è anche connessa ai motivi per cui il
teorico dell'Umwelt ancora oggi non è riconosciuto dai più come il
vero padre fondatore dell'etologia, e probabilmente va ascritta
all'atteggiamento di Konrad Lorenz, che dopo un periodo in cui elogiò
assai il lavoro di von Uexküll, accreditandolo come fondativo delle
sue stesse ricerche, assieme a quello di scienziati come lo zoologo
Oskar Heinroth e lo studioso del comportamento Douglas Spalding,
iniziò ad attaccarlo in maniera feroce, accusandolo di vitalismo
(l'idea che gli organismi siano irriducibili ai componenti elementari
che obbediscono alle leggi chimiche e fisiche, e che serva un
principio teleologico per spiegarne le proprietà). Von Uexküll ne
fu molto amareggiato, anche perché un atteggiamento di
sottovalutazione delle sue ricerche fu assunto da altri studiosi
dell'epoca legati a Lorenz, come il fisiologo Eric von Holst,
probabilmente preoccupati di essere tacciati dello stesso peccato. La
politica, forse, ebbe anch'essa un ruolo, considerate le simpatie di
Lorenz per il nazismo. Von Uexküll, invece, non aveva fatto mistero
della sua repulsione per il regime hitleriano, specialmente dopo
l'invasione della Polonia.
Lorenz
aveva ragione però a supporre che von Uexküll fosse convinto
dell'esistenza di un'armonia prestabilita tra gli animali e i loro
ambienti. L'iscrizione sulla sua lapide è di incerta origine, a
quanto mi dice Carlo Brentari, tra i maggiori esperti del pensiero di
von Uexküll: «Potrebbe essere di Uexküll per via di quell'accenno
alla natura che segue il suo piano; ma potrebbe essere stato anche
uno dei figli a scriverla, [visto] che conoscevano bene la sua
visione della natura». Carlo l'ha gentilmente tradotta per me dalla
fotografia che ne abbiamo fatto:
Beato
colui che ha visto maturare il frutto della vita
egli
cammina in pace in quella sera
che
un benevolo destino gli ha concesso.
Sotto
il quieto intrico dei rami,
nello
scambio di voci tra gli uccelli,
egli
ha trovato l'unità di quel divario,
di
quel continuo dare e prendere che la natura,
seguendo
un suo piano,
avendo
seminato nella sua esistenza con mano decisa.
La
zecca di von Uexküll e l'idea del piano della natura conducono a due
tematiche che sono al cuore della scienza moderna. La prima,
ovviamente, è che non ha alcun senso considerare con condiscendenza,
come ho fatto io nelle righe sopra, l'apparente pochezza del mondo
esperienziale della zecca (riecheggiando l'idea di Heidegger che
l'animale sarebbe «povero di mondo»): il nostro mondo fenomenico è
parimenti circoscritto, in modi che non ci è dato di conoscere
direttamente, ma che certo sono palesi ad altre creature (cosa
potrebbe pensare un'ape della nostra penosa impossibilità ad
accedere all'abbagliante fulgore dei colori ultravioletti dei petali
di fiori?). La seconda, più interessante, ha a che fare per
l'appunto con l'armonia tra organismi e ambienti. Oggi, con Darwin,
noi non crediamo che di armonia prestabilita si tratti, bensì del
risultato dei processi dell'adattamento biologico. Di qui, però, il
passo è breve a ritenere che i nostri sistemi percettivi ci dicano
in modo veritiero, seppure non in forma completa, come il mondo sia.
A voler essere darwiniani fino in fondo, però, non c'è ragione per
crederlo. Per sopravvivere e riprodursi non c'è bisogno di sapere
come il mondo sia davvero, basta che le regole che guidano i
comportamenti funzioni bene.
La
vasta raccolta di stimoli scatenanti e superstimoli accumulata negli
anni dagli etologi costituisce la prova incontrovertibile che gli
animali non percepiscono le cose quali esse sono. Le mamme dei
piccoli gabbiani non sono matite dalla punta fatta a strisce bianche
e rosse, tuttavia, come ha mostrato l'etologo Niko Timbergen, sono le
matite dalla punta fatta a strisce bianche e rosse che scatenano al
meglio la beccata dei piccoli di gabbiano. C'è chi ha condotto
l'interpretazione di queste osservazioni alle sue estreme
conseguenze.
Lo
scienziato cognitivo Donald Hoffman, ad esempio, sostiene che le
nostre percezioni sono come interfacce specie-specifiche a uso
dell'utente che dirigono il comportamento per la sopravvivenza e la
riproduzione, non per la ricerca della verità
(www.quantamagazine.org/the-evolutionary-argument-against-reality-20161421/).
Impiegando algoritmi genetici, Hoffman ha mostrato che creature
dedite alla ricerca della mera fitness biologica se la cavano molto
meglio di quelle impegnate nella ricerca della verità.
Certo,
pare improbabile che rappresentazioni più accurate della realtà non
debbano essere adattive. L'analogia di Hoffman coglie però nel segno
se si pensa a quello che un'interfaccia nasconde all'utente: non
abbiamo bisogno di sapere come i nostri neuroni riconoscano un
serpente per reagire velocemente alla vista del serpente. Come quando
operiamo sul desktop del nostro computer, ci basta dirigere il mouse
sull'icona, i cui segni distintivi, il colore e la forma, gli
equivalenti delle marche percettive di von Uexküll, non sono le
proprietà del file. Il nostro Umwelt,
insomma, sarebbe come l'interfaccia grafica dell'utente dei computer.
Mentre
stiamo passeggiando nel giardino di Villa San Michele, ad Anacapri,
dove, racconta Gudrun, Alex Munthel invitò Jakob a risiedere nella
foresteria durante i mesi estivi per fuggire alla calca dei turisti,
ci sorprende il pensiero che le fragranze che odoriamo, forse memorie
alchemiche di Garofilum
silvestre
caprese, o il blu acceso del dorso della lucertola azzurra, Podarcis
sicula coerulea
(E. Cerio, La
lucertola blu,
Capri, Edizioni La Conchiglia, 2009), che abita il faraglione di
Fuori, lo Scopolo, potrebbero essere una sola trionfante, ma non
vana, allucinazione.
«Domenica
- Il Sole 24 Ore», 26 agosto 2018
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