Ermanno Lavorini allo zoo |
Tra i fattacci di cronaca
nera del 1969 spicca sicuramente il rapimento di Ermanno Lavorini,
che all'epoca non aveva compiuto 13 anni. Il ragazzo sparì il 31
gennaio a Viareggio. Fu ritrovato non lontano da lì, a Marina di
Vecchiano, da un cane, sepolto nella sabbia, il 9 marzo successivo.
L'importanza, anche storica, della vicenda è legata al fatto che per
la prima volta si parlò pubblicamente di pedofilia. La stampa, anche
quella illuminata (Mino Monicelli su “L'Espresso”, per esempio),
accreditò l'ipotesi e collegò il delitto al giro degli incontri tra
omosessuali che si svolgevano nella zona del ritrovamento. Le
campagne di stampa fecero due vittime che nel viareggino godevano di
un certo prestigio: un accusato morì suicida in carcere, dopo aver
subito un tentativo di linciaggio, un altro morì di crepacuore. Le
successivi indagini e i processi portarono a conclusioni del tutto
diverse, con qualche risvolto inquietante.
Qui sotto troverete da
“l'Unità” del 1 febbraio la prima cronaca del rapimento,
pubblicata senza firma e una rievocazione complessiva molto più
recente, del 2007, tratta dal periodico “Polizia e Democrazia”,
fondato da Franco Fedeli e legato al sindacalismo progressista nella
PS. (S.L.L.)
VIAREGGIO, 31 gennaio
Rapimento a Viareggio.
Vittima ne è un ragazzo, Ermanno Lavorini di 13 anni, figlio di un
ricco commerciante di tessuti. Il prezzo del riscatto preteso dai
rapitori si aggirerebbe intorno ai 15 milioni. L’atto brigantesco
sarebbe stato compiuto fra le 16 e le 18 di oggi, ora, quest’ultima,
in cui gli autori del rapimento si sono fatti vivi con la sorella del
ragazzo, per dirle di non preoccuparsi, di approntare la somma del
riscatto e di non avvertire la polizia.
Pubblica sicurezza e
carabinieri mantengono sul drammatico episodio uno stretto riserbo.
Il commissario di PS a mezzanotte continuava a insistere sulla
versione che Ermanno Lavorini non si trovava e rifiutava di
confermare la esistenza di uria denuncia di rapimento. Purtuttavia
alla medesima ora nel commissariato e nella tenenza dei carabinieri
erano presenti solo i piantoni e qualche uomo del pronto intervento,
mentre tutti gli altri, a cominciare dai funzionari e dagli
ufficiali, erano impegnati nelle ricerche del ragazzo.
Ermanno Lavorini —
secondo la denuncia presentata dal padre, Armando, alla polizia — è
uscito di casa nel primo pomeriggio: indossava un paio di pantaloni
marrone, un maglione bianco e un impermeabile dello stesso colore. Se
ne è andato in bicicletta, per una passeggiata. Uscendo aveva
promesso al padre che sarebbe tornato dopo un’ora; verso le 17
Ermanno non era però ancora rientrato, ed il padre s’è messo alla
sua ricerca.
Alle ore 18
l'agghiacciante notizia: alla sorella del ragazzo, Marinella di 21
anni, che era nel negozio del padre in piazza Cavour a Viareggio, è
giunta una telefonata. Una voce d’uomo, piuttosto fioca la ha
detto: «Stasera il ragazzo rimane a cena da noi. Dica a suo padre di
preparare 15 milioni. E non avvertire la Polizia».
Intuibile la reazione
della giovane, che ha messo in al lamie la famiglia. E il padre non
ha esitato a denunciare il rapimento al commissariato di P.S., che ha
avviato immediate indagini che, come dicevamo. a tarda notte non
avevano portato ad alcun risultato.
Caso Lavorini. Gli investigatori nel luogo del ritrovamento |
Cronaca di un delitto.
I ragazzi terribili di Viareggio (Ettore Gerardi)
Nella città versiliana viene ucciso un tredicenne,
Ermanno
Lavorini.
Un gruppo di ragazzi è incriminato per quel delitto
che costò la vita anche a due innocenti
coinvolti ingiustamente nelle indagini
Viareggio. È venerdì 31
gennaio 1969. Un ragazzino di tredici anni, Ermanno Lavorini, esce di
casa e inforca la sua bicicletta. Alle 16 di quello stesso pomeriggio
Ermanno non è ancora rientrato; aveva assicurato la mamma che
sarebbe tornato presto per fare i compiti. Alle 17.40 il telefono nel
negozio della famiglia Lavorini (abbigliamento e confezioni) squilla;
risponde la sorella di Ermanno. Un urlo: al telefono s’è fatto
vivo il rapitore del fratellino. Vuole quindici milioni di riscatto.
Per tre lunghissimi mesi
non si sa più nulla nè dei rapitori, nè tanto meno di Ermanno. Da
Roma, il Viminale ha inviato alti funzionari di Polizia per far luce
su quello che è diventato un caso nazionale. Ma anche questi si
trovano impigliati in una ragnatela di voci, di mitomani, di maniaci,
di profittatori.
Lo scoglio su cui si
infrangono le indagini è la famosa telefonata del 31 gennaio, giorno
della scomparsa di Ermanno, con la quale i presunti rapitori
chiedevano il riscatto. Quella telefonata teneva inchiodati gli
investigatori sulla ipotesi di “rapimento a scopo di riscatto”.
Un delitto da adulti, da esperti professionisti. Ipotesi che era un
passaggio obbligato ma che non approdava ad alcun risultato.
Poi la scoperta del corpo
di Ermanno, sepolto sulla spiaggia di Marina di Vecchiano, che porta
solo ad una ovvia certezza: il ragazzo rapito era stato ucciso
probabilmente subito dopo il rapimento.
A quel punto le indagini,
senza più timore di nuocere alla piccola vittima, prendono una
diversa strada. E si riesce finalmente a trovare il bandolo della
matassa, giungendo fino all’autore materiale dell’omicidio, Marco
Baldisseri, ad Andrea Benedetti, testimone chiave, e ad un gruppo di
“ragazzi terribili”.
Già, i ragazzi
terribili; un gruppo (un “branco” si direbbe oggi) dai dodici ai
sedici anni, dediti al vizio, al gioco e al furto. Astuti,
intelligenti, bugiardi fino all’inverosimile, spregiudicati, legati
da una sorta di codice d’onore al quale si attengono con fermezza.
Rubano di tutto:
borsette, biciclette, scooter; si passano le ragazzette disponibili
che incontrano. Sono quasi sempre in strada, pronti ad afferrare
l’occasione propizia per arraffare qualcosa, dividersela. Giocano a
flipper, ma anche a poker. Qualcuno di loro frequenta la scuola (con
scarso profitto), altri si adattano a fare qualche lavoretto.
In questo squallido
scenario di ragazzi di vita si è consumato il delitto di Ermanno
Lavorini, conservato in segreto per tre mesi, nonostante
l’accanimento nelle indagini di Polizia e Carabinieri.
Di certo, come accennato,
c’è un solo fatto: l’autore (reo confesso) Marco Baldisseri e il
testimone Benedetti. E il resto? Chi ha fatto la telefonata per
chiedere il riscatto? A chi è venuta l’idea? Chi ha seppellito il
corpo di Ermanno?
Ad un certo punto si
scatenò una campagna di stampa, tendente a far apparire il delitto
Lavorini come “maturato nel torbido mondo degli omosessuali”
(come taluni giornali amavano scrivere). La Polizia iniziò un’azione
di controllo sugli omosessuali della zona convocando in caserma
quelli noti: era prassi schedare e tenere pronti gli elenchi degli
“invertiti”. “Ce ne sono di giovanissimi, di anziani. Circa una
cinquantina”, recita un libretto diffuso in quei mesi.
Ma torniamo ai
protagonisti della vicenda. E’ chiaro che dopo l’uccisione del
piccolo Ermanno è sopravvenuto un disegno astuto, perfettamente
organizzato e realizzato. Opera anche questa dei ragazzi, oppure -
dopo il delitto - si è inserita l’esperienza di un adulto?
Baldisseri, intanto, dopo essersi accusato del delitto, rigetta il
secondo atto della tragedia (il seppellimento del corpo) su tale
Adolfo Meciani e poi, successivamente, su Dino Vanni. Anche Benedetti
chiama in causa Meciani.
Chi è Adolfo Meciani,
l’uomo accusato dai due ragazzi terribili di aver fatto la
telefonata alla famiglia Lavorini e di aver seppellito il corpo della
vittima? E perché si sarebbe lasciato invischiare in questa vicenda,
a quale scopo, con quale obiettivo? L’uomo è un quarantenne, alto,
elegante. Appartiene a quella schiera di viareggini che, d’inverno,
si godono i “frutti” dell’estate versiliana; è proprietario di
uno stabilimento balneare e di un negozio. Ha sposato una
venticinquenne, ha avuto una bambina. Ha fama di impenitente don
giovanni. Ma si dice che recentemente i suoi gusti sono... cambiati
e, per questo, si sarebbe deciso ad aiutare Baldisseri che lo avrebbe
ricattato per i loro passati rapporti.
Il Meciani viene
arrestato ma nel mese di maggio si uccide nel carcere. Nemmeno il
processo riuscirà a stabilire se il gesto di Meciani è il gesto di
un colpevole colto da rimorso o quello di un innocente che non ha più
la forza di combattere.
A Viareggio l’opinione
pubblica è convinta della sua innocenza anche se, nei giorni
precedenti, tutti lo consideravano colpevole e lo avrebbero
volentieri linciato per aver gettato una cattiva fama sulla città
versiliana, tanto da far soffrire il bilancio turistico della zona. E
non c’entrava neanche un altro personaggio coinvolto nelle
indagini, Giuseppe Zacconi (figlio del grande attore Ermete) anche
lui morto di crepacuore per essere stato citato innocente in questa
vicenda.
Il processo inizia nel
1975; Baldisseri e Della Latta vengono condannati, rispettivamente, a
19 e 15 anni; Vangioni è assolto per insufficienza di prove. In
appello Della Latta prende 11 anni, Baldisseri e Vangioni 9. La
sentenza è confermata in Cassazione nel 1977.
Pier Paolo Pasolini
scrisse un “diario del caso Lavorini” nel quale se la prende con
tutti i personaggi che hanno avuto voce in capitolo nel “montare”
la caccia alle streghe: ironizza sui giornalisti famelici, sui
Carabinieri burocrati, sui viareggini bacchettoni, ma accusa anche i
giovani della sinistra contestatrice per la loro assenza. Infatti
scrive: “Per es., gli studenti di nessun movimento sono intervenuti
in questo caso: l’hanno allontanato da loro, considerato impopolare
e indegno?”
E a proposito del
comportamento professionale dei giornalisti (e degli inquirenti)
Pasolini non si limita all’ironia, ma passa all’attacco: “Ma in
cosa differisce l’atteggiamento di Marco Baldisseri dai compagni
verso gli omosessuali dall’atteggiameno dei giornalisti di tutti i
giornali italiani e di tutti gli inquirenti? Non differisce
sostanzialmente in nulla. Nel lanciare le loro accuse Marco
Baldisseri e gli altri si sentono sostenuti dall’opinione pubblica,
sanno di far piacere all’opinione pubblica, sanno di obbedire a una
necessità di odio dell’opinione pubblica”. Opinione pubblica -
in tal senso - rappresentata ugualmente dai cronisti. Poi se la
prende ancor più con la corruzzione indotta dalla “cattiva
maestra” televisione, colpevole di rappresentare un modello di vita
falso e anestetizzato del sesso. “Niente di più volgare - scrive -
che offre lo specchio di una società dove essere diversi è peccato,
è orrore”.
“Polizia e denocrazia”,
Novembre-Dicembre/2007
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