5.11.18

Italia 1969: il ragazzo rapito a Viareggio. Il “caso Lavorini”

Ermanno Lavorini allo zoo

Tra i fattacci di cronaca nera del 1969 spicca sicuramente il rapimento di Ermanno Lavorini, che all'epoca non aveva compiuto 13 anni. Il ragazzo sparì il 31 gennaio a Viareggio. Fu ritrovato non lontano da lì, a Marina di Vecchiano, da un cane, sepolto nella sabbia, il 9 marzo successivo. L'importanza, anche storica, della vicenda è legata al fatto che per la prima volta si parlò pubblicamente di pedofilia. La stampa, anche quella illuminata (Mino Monicelli su “L'Espresso”, per esempio), accreditò l'ipotesi e collegò il delitto al giro degli incontri tra omosessuali che si svolgevano nella zona del ritrovamento. Le campagne di stampa fecero due vittime che nel viareggino godevano di un certo prestigio: un accusato morì suicida in carcere, dopo aver subito un tentativo di linciaggio, un altro morì di crepacuore. Le successivi indagini e i processi portarono a conclusioni del tutto diverse, con qualche risvolto inquietante.
Qui sotto troverete da “l'Unità” del 1 febbraio la prima cronaca del rapimento, pubblicata senza firma e una rievocazione complessiva molto più recente, del 2007, tratta dal periodico “Polizia e Democrazia”, fondato da Franco Fedeli e legato al sindacalismo progressista nella PS. (S.L.L.)


VIAREGGIO, 31 gennaio
Rapimento a Viareggio. Vittima ne è un ragazzo, Ermanno Lavorini di 13 anni, figlio di un ricco commerciante di tessuti. Il prezzo del riscatto preteso dai rapitori si aggirerebbe intorno ai 15 milioni. L’atto brigantesco sarebbe stato compiuto fra le 16 e le 18 di oggi, ora, quest’ultima, in cui gli autori del rapimento si sono fatti vivi con la sorella del ragazzo, per dirle di non preoccuparsi, di approntare la somma del riscatto e di non avvertire la polizia.
Pubblica sicurezza e carabinieri mantengono sul drammatico episodio uno stretto riserbo. Il commissario di PS a mezzanotte continuava a insistere sulla versione che Ermanno Lavorini non si trovava e rifiutava di confermare la esistenza di uria denuncia di rapimento. Purtuttavia alla medesima ora nel commissariato e nella tenenza dei carabinieri erano presenti solo i piantoni e qualche uomo del pronto intervento, mentre tutti gli altri, a cominciare dai funzionari e dagli ufficiali, erano impegnati nelle ricerche del ragazzo.
Ermanno Lavorini — secondo la denuncia presentata dal padre, Armando, alla polizia — è uscito di casa nel primo pomeriggio: indossava un paio di pantaloni marrone, un maglione bianco e un impermeabile dello stesso colore. Se ne è andato in bicicletta, per una passeggiata. Uscendo aveva promesso al padre che sarebbe tornato dopo un’ora; verso le 17 Ermanno non era però ancora rientrato, ed il padre s’è messo alla sua ricerca.
Alle ore 18 l'agghiacciante notizia: alla sorella del ragazzo, Marinella di 21 anni, che era nel negozio del padre in piazza Cavour a Viareggio, è giunta una telefonata. Una voce d’uomo, piuttosto fioca la ha detto: «Stasera il ragazzo rimane a cena da noi. Dica a suo padre di preparare 15 milioni. E non avvertire la Polizia».
Intuibile la reazione della giovane, che ha messo in al lamie la famiglia. E il padre non ha esitato a denunciare il rapimento al commissariato di P.S., che ha avviato immediate indagini che, come dicevamo. a tarda notte non avevano portato ad alcun risultato.

Caso Lavorini. Gli investigatori nel luogo del ritrovamento
Cronaca di un delitto. 
I ragazzi terribili di Viareggio (Ettore Gerardi)

Nella città versiliana viene ucciso un tredicenne, 
Ermanno Lavorini.
Un gruppo di ragazzi è incriminato per quel delitto
che costò la vita anche a due innocenti
coinvolti ingiustamente nelle indagini

Viareggio. È venerdì 31 gennaio 1969. Un ragazzino di tredici anni, Ermanno Lavorini, esce di casa e inforca la sua bicicletta. Alle 16 di quello stesso pomeriggio Ermanno non è ancora rientrato; aveva assicurato la mamma che sarebbe tornato presto per fare i compiti. Alle 17.40 il telefono nel negozio della famiglia Lavorini (abbigliamento e confezioni) squilla; risponde la sorella di Ermanno. Un urlo: al telefono s’è fatto vivo il rapitore del fratellino. Vuole quindici milioni di riscatto.
Per tre lunghissimi mesi non si sa più nulla nè dei rapitori, nè tanto meno di Ermanno. Da Roma, il Viminale ha inviato alti funzionari di Polizia per far luce su quello che è diventato un caso nazionale. Ma anche questi si trovano impigliati in una ragnatela di voci, di mitomani, di maniaci, di profittatori.
Lo scoglio su cui si infrangono le indagini è la famosa telefonata del 31 gennaio, giorno della scomparsa di Ermanno, con la quale i presunti rapitori chiedevano il riscatto. Quella telefonata teneva inchiodati gli investigatori sulla ipotesi di “rapimento a scopo di riscatto”. Un delitto da adulti, da esperti professionisti. Ipotesi che era un passaggio obbligato ma che non approdava ad alcun risultato.
Poi la scoperta del corpo di Ermanno, sepolto sulla spiaggia di Marina di Vecchiano, che porta solo ad una ovvia certezza: il ragazzo rapito era stato ucciso probabilmente subito dopo il rapimento.
A quel punto le indagini, senza più timore di nuocere alla piccola vittima, prendono una diversa strada. E si riesce finalmente a trovare il bandolo della matassa, giungendo fino all’autore materiale dell’omicidio, Marco Baldisseri, ad Andrea Benedetti, testimone chiave, e ad un gruppo di “ragazzi terribili”.
Già, i ragazzi terribili; un gruppo (un “branco” si direbbe oggi) dai dodici ai sedici anni, dediti al vizio, al gioco e al furto. Astuti, intelligenti, bugiardi fino all’inverosimile, spregiudicati, legati da una sorta di codice d’onore al quale si attengono con fermezza.
Rubano di tutto: borsette, biciclette, scooter; si passano le ragazzette disponibili che incontrano. Sono quasi sempre in strada, pronti ad afferrare l’occasione propizia per arraffare qualcosa, dividersela. Giocano a flipper, ma anche a poker. Qualcuno di loro frequenta la scuola (con scarso profitto), altri si adattano a fare qualche lavoretto.
In questo squallido scenario di ragazzi di vita si è consumato il delitto di Ermanno Lavorini, conservato in segreto per tre mesi, nonostante l’accanimento nelle indagini di Polizia e Carabinieri.
Di certo, come accennato, c’è un solo fatto: l’autore (reo confesso) Marco Baldisseri e il testimone Benedetti. E il resto? Chi ha fatto la telefonata per chiedere il riscatto? A chi è venuta l’idea? Chi ha seppellito il corpo di Ermanno?
Ad un certo punto si scatenò una campagna di stampa, tendente a far apparire il delitto Lavorini come “maturato nel torbido mondo degli omosessuali” (come taluni giornali amavano scrivere). La Polizia iniziò un’azione di controllo sugli omosessuali della zona convocando in caserma quelli noti: era prassi schedare e tenere pronti gli elenchi degli “invertiti”. “Ce ne sono di giovanissimi, di anziani. Circa una cinquantina”, recita un libretto diffuso in quei mesi.
Ma torniamo ai protagonisti della vicenda. E’ chiaro che dopo l’uccisione del piccolo Ermanno è sopravvenuto un disegno astuto, perfettamente organizzato e realizzato. Opera anche questa dei ragazzi, oppure - dopo il delitto - si è inserita l’esperienza di un adulto? Baldisseri, intanto, dopo essersi accusato del delitto, rigetta il secondo atto della tragedia (il seppellimento del corpo) su tale Adolfo Meciani e poi, successivamente, su Dino Vanni. Anche Benedetti chiama in causa Meciani.
Chi è Adolfo Meciani, l’uomo accusato dai due ragazzi terribili di aver fatto la telefonata alla famiglia Lavorini e di aver seppellito il corpo della vittima? E perché si sarebbe lasciato invischiare in questa vicenda, a quale scopo, con quale obiettivo? L’uomo è un quarantenne, alto, elegante. Appartiene a quella schiera di viareggini che, d’inverno, si godono i “frutti” dell’estate versiliana; è proprietario di uno stabilimento balneare e di un negozio. Ha sposato una venticinquenne, ha avuto una bambina. Ha fama di impenitente don giovanni. Ma si dice che recentemente i suoi gusti sono... cambiati e, per questo, si sarebbe deciso ad aiutare Baldisseri che lo avrebbe ricattato per i loro passati rapporti.
Il Meciani viene arrestato ma nel mese di maggio si uccide nel carcere. Nemmeno il processo riuscirà a stabilire se il gesto di Meciani è il gesto di un colpevole colto da rimorso o quello di un innocente che non ha più la forza di combattere.
A Viareggio l’opinione pubblica è convinta della sua innocenza anche se, nei giorni precedenti, tutti lo consideravano colpevole e lo avrebbero volentieri linciato per aver gettato una cattiva fama sulla città versiliana, tanto da far soffrire il bilancio turistico della zona. E non c’entrava neanche un altro personaggio coinvolto nelle indagini, Giuseppe Zacconi (figlio del grande attore Ermete) anche lui morto di crepacuore per essere stato citato innocente in questa vicenda.
Il processo inizia nel 1975; Baldisseri e Della Latta vengono condannati, rispettivamente, a 19 e 15 anni; Vangioni è assolto per insufficienza di prove. In appello Della Latta prende 11 anni, Baldisseri e Vangioni 9. La sentenza è confermata in Cassazione nel 1977.
Pier Paolo Pasolini scrisse un “diario del caso Lavorini” nel quale se la prende con tutti i personaggi che hanno avuto voce in capitolo nel “montare” la caccia alle streghe: ironizza sui giornalisti famelici, sui Carabinieri burocrati, sui viareggini bacchettoni, ma accusa anche i giovani della sinistra contestatrice per la loro assenza. Infatti scrive: “Per es., gli studenti di nessun movimento sono intervenuti in questo caso: l’hanno allontanato da loro, considerato impopolare e indegno?”
E a proposito del comportamento professionale dei giornalisti (e degli inquirenti) Pasolini non si limita all’ironia, ma passa all’attacco: “Ma in cosa differisce l’atteggiamento di Marco Baldisseri dai compagni verso gli omosessuali dall’atteggiameno dei giornalisti di tutti i giornali italiani e di tutti gli inquirenti? Non differisce sostanzialmente in nulla. Nel lanciare le loro accuse Marco Baldisseri e gli altri si sentono sostenuti dall’opinione pubblica, sanno di far piacere all’opinione pubblica, sanno di obbedire a una necessità di odio dell’opinione pubblica”. Opinione pubblica - in tal senso - rappresentata ugualmente dai cronisti. Poi se la prende ancor più con la corruzzione indotta dalla “cattiva maestra” televisione, colpevole di rappresentare un modello di vita falso e anestetizzato del sesso. “Niente di più volgare - scrive - che offre lo specchio di una società dove essere diversi è peccato, è orrore”.

“Polizia e denocrazia”, Novembre-Dicembre/2007

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