La prima menzione
del «Lumbulus cum panicio» in un menù dei canonici del 1148.
Con tutto il religioso
rispetto dovuto a una biblioteca che custodisce mille anni di
manoscritti, fino a ieri più segreti che nel Nome della Rosa,
può darsi che i milanesi imparino presto a battezzare più alla
buona un tale scrigno come l’«Archivio della cotoletta»:
appellativo magari profano, ma con una sua innegabile sacralità alla
luce della pergamena datata 1148 recante il menu offerto dall’allora
abate di Sant’Ambrogio ai canonici della basilica e ai benedettini
del monastero adiacente, l’attuale Università Cattolica, per
celebrare la festività di San Satiro con un bel pranzo di
addirittura nove portate – non poche per l’epoca – la terza
delle quali consistente appunto in un certo qual «Lumbulus cum
panicio» a cui non serve un latinista raffinato, in fondo, per
essere oggi riconoscibile nella cara vecchia (e ora sappiamo quanto)
lombatina impanata.
La pergamena della cotoletta |
La nuova sede
È solo una delle
curiosità che insieme con 55 volumi e 1.200 pergamene risalenti
indietro sino al IX secolo, più altri manoscritti più recenti,
costituiscono la «Biblioteca dell’Archivio capitolare della
basilica di Sant’Ambrogio»: tecnicamente il nome esatto è questo.
Un tesoro riservato finora alla consultazione di una ristrettissima
cerchia di storici e bibliofili, che peraltro erano tenuti a
conquistarsela con qualche affanno salendo i 65 gradini della Torre
Cartolaria in cima alla quale il patrimonio, così segregato, è
tuttavia sopravvissuto al tempo e ai bombardamenti. Da adesso però
comincia un’altra storia: l’Archivio ha una nuova sede, due
ascensori per accedervi, una sala consultazione «sobria ma
funzionale», uno spazio per future mostre e conferenze. Il tutto
protetto da un sistema di sicurezza all’avanguardia studiato dalla
Fondazione Hrubi (perché «con 8 mila furti all’anno – ricordano
i carabinieri – i libri antichi sono la cosa più rubata in
Italia») e realizzato sul retro della basilica grazie al restauro
curato dagli architetti Michela Spinola e Giovanni Antonelli Dudan.
Naturalmente la consultazione degli originali, stante la competenza
necessaria a maneggiarne la delicatezza, continuerà a essere
riservata agli studiosi. Ma il concetto è che si tratterà di una
biblioteca comunque «aperta» alla divulgazione, perché il suo
contenuto divenga «patrimonio della città».
«Dono culturale
alla città»
Ed è proprio come un
regalo a Milano che l’arcivescovo vicario Erminio De Scalzi, abate
della basilica, lo considera: un aspetto di quella «carità
intellettuale – spiega – non meno importante degli altri due tipi
di carità, materiale e spirituale, la cui urgenza è sotto gli occhi
di tutti ogni giorno di più». L’elenco di ciò che l’Archivio
ha conservato attraverso i secoli, custodito oggi da Marco Petoletti
e Miriam Tessera, è lungo. Se ne possono dare solo alcuni esempi,
eccoli a seguire.
Documenti di pregio
Il Messale miniato
dell’Incoronazione di Gian Galeazzo Visconti (1395), con i dettagli
dell’altare d’oro e i leopardi copiati dal vero in quella specie
di zoo che il duca aveva a Pavia. Il codice col Martirologio del
Venerabile Beda e le uniche quattro lettere autografe giunte fino a
noi da Santa Chiara d’Assisi. I preziosi antifonari noti ai malati
di musica come i Corali di Crescenzago. Una monumentale Opera Omnia
dello stesso Sant’Ambrogio redatta dal canonico Martino Corbo nel
1130, talmente importante da essere stata prestata al Concilio di
Basilea nel 1431 solo previa «solenne promessa – si legge sotto il
sigillo – di restituzione». Per fortuna, mantenuta.
“Corriere della Sera”,
4 dicembre 2013
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