Consiglio
vivamente La nave per Kobe di Dacia Maraini, da cui è tratto
il brano che segue, una lettura possibilmente arricchita dai Ricordi
d'arte e di prigionia di Topazia Alliata,
di Toni Maraini che di Dacia è sorella. Quel che se ne apprende è
un'epopea familiare avvincente in cui trovano posto e singolari
consonanze la Sicilia e l'Oriente. (S.L.L.)
31 Ottobre 1938.
C'imbarchiamo a Brindisi sul “Conte Verde", scrive mia
madre nel suo diario: La nonna Yoi ha portato a Dacia un
cappottino grigio modello quasi maschile che le sta un amore.
Si sente ancora la
cadenza palermitana nelle parole di mia madre. La giovane siciliana a
cui avrebbero voluto far sposare un conte è fuggita con un
ragazzaccio fiorentino senza arte né parte, biondo, robusto, con un
ciuffo ribelle che gli scivola sulla fronte, innamorato della madre,
in lite col padre.
La partenza è triste e
siamo tutti stanchissimi. Dacia non ha dormito abbastanza ed è
difficile e nervosa.
Il mio bellissimo padre,
Fosco, appena laureato, senza un soldo, ricco solo di una borsa di
studio non cospicua ma esaltante, si affacciava dal ponte della nave
scrutando il mare spumoso come se aspettasse di vedervi spuntare un
pesce drago dalle orecchie giganti. La giovane Topazia gli appoggiava
teneramente il mento su una spalla come per aiutarlo a scacciare la
nostalgia per l’Italia, per Firenze, per la madre tanto amata, per
la casa di Torre di Sopra. Chissà se ripensava a come aveva rotto
col padre che gli offriva un lavoro e una tessera del Fascio,
stracciata in mille pezzi, lì per lì sotto i suoi occhi.
Non soffriamo il mare,
scrive mia madre e certamente era sincera. Ma lo trovo ugualmente
curioso perché io ho sempre patito il mal di mare. Possibile che a
poco più di un anno la nausea non si facesse ancora sentire? O
dipendeva dal fatto che il mare era battuto dal vento solo in
superficie e la grossa pancia di ferro scorreva su quelle onde con
quieta determinazione, senza eccessivi scossoni?
Primi di novembre.
1-2. Fa ancora freschino ma ogni ora meno. Non soffriamo il mare.
Porto Said – di sera — pioviggina. Fosco non vuole scendere a
terra per paura di infezioni. Io non voglio stancare D., così non
scendiamo.
Siamo già a una
settimana di navigazione. Il mare è calmo. Ci stiamo dirigendo verso
il sud. Mi rimane la curiosità di Porto Said che i miei non hanno
voluto visitare. Posso solo attingere ad alcune fotografie d’epoca,
che mostrano ricsciò tirati da uomini scalzi, donne dalle gonne
lunghe e l’ombrellino in mano che sembrano uscite da un racconto di
Gechov; una grande sala dell’hotel Victoria, oggi distrutto, in cui
si vedono dei suonatori in frac su una pedana, due o tre tavolini
coperti da tovaglie ricamate e un paio di palme dalle lunghe foglie
che protendono le molli frange verso quattro finestre di vetro
dipinto.
Più tardi, in una sala
come quella, avrei conosciuto, per via cinematografica, una Ingrid
Bergman dalle luci soffuse riflesse negli occhi morbidi, dai riccioli
castani che guizzano attorno al collo. Qual è l’incantesimo che ti
allaccia ad una attrice dal sorriso flou e la voce cristallina? In
lei vedevo mia madre giovane: le gambe snelle, il taglio del tailleur
stretto in vita, le scarpe dal tacco ortopedico. La vedevo camminare
veloce, con un cappello di feltro color castagna che le nascondeva in
parte la fronte e mi pareva di scorgere una intera generazione di
donne dal piede segreto e l’occhio scintillante. Dove vai? avrei
voluto chiederle... Dove vai così in fretta? il futuro è appena
cominciato, non correre!
Accanto a lei un Humphrey
Bogart con l’impermeabile appoggiato sulle spalle e la sigaretta
complice fra le dita. Ma lui era diverso da mio padre, che si muoveva
con meno grazia, era più sportivo, più schivo, più ragazzo. La
bellezza dei due divi era meravigliosamente legata a quel tempo che
conteneva la giovinezza e la bellezza dei miei genitori. Sono lì, in
un quadro mobile, a raffigurare la gioia di esistere. Si sarebbe mai
ripetuta una simile gioia?
La strada per Kobe, Bur 2015 (Prima edizione Rizzoli 2001)
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