Dalla serie Parola di
luogo, pubblicata dal
“manifesto” nell'estate del 1989, riprendo la voce
FINESTRA,
curata
da
Alfonso Maurizio Iacono, un filosofo agrigentino che insegna
all'Università di Pisa, che ha tra le direzioni di ricerca – ormai
da molti anni – il tema della visione e dell'illusione nel pensiero
dell'Occidente. Iacono, che ha un approccio epistemologico ed
interdisciplinare ai problemi filosofici, già nel 1987 aveva
pubblicato L'evento
e l'osservatore e
dopo l'89 tornerà più volte sul tema della “finestra”. (S.L.L.)
René Magritte, La condizione umana |
Che
differenza c’è fra lo strano e il meraviglioso? E che rapporto
hanno entrambi con la finestra? Nella Casa
deserta, Hoffmann ci dice che «nella vita i fenomeni
reali sono spesso più meravigliosi di tutto ciò che la fantasia più
sbrigliata cerca d'inventare» (cito dalla traduzione di Ervino
Pocar, in Hoffmann, L’uomo della sabbia, Bur, Milano 1983.
Lo scritto fa parte dei Notturni). Apparentemente, qui
Hoffmann sembra riprendere un tema antico, che la filosofia moderna
aveva ravvivato sulla scia degli sviluppi della conoscenza
scientifica. Il tema antico era già in Platone e in Aristotele, i
quali ci dicono che la filosofia deriva dalla meraviglia. Essa si
caratterizza, secondo Aristotele, per l’osservazione dei fenomeni
della natura. È la loro regolarità che suscita meraviglia e ci
impone delle domande sui moti degli astri e sul perché dell'universo
ordinato.
Il termine greco, che
indica meraviglia o ammirazione, deriva da «vedere». E la vista,
per Aristotele, è il senso più sofisticato, più adatto alla
conoscenza. La meraviglia comporta partecipazione conoscitiva al
fenomeno, ma con distacco, come è proprio del vedere che coglie
l’oggetto a distanza. Nel pensiero moderno, per esempio in
Fontenelle, è assai forte la distinzione tra «falso meraviglioso»
e «vero meraviglioso». Anche questa, in fondo, è una distinzione
antica, che si riscontra, per esempio, già negli storici greci e va
a incrociarsi con la separazione fra mito (storia falsa) e storia
(storia vera) (cfr. E. Gabba, True History and False History in
Classical Antiquity, in “The Journal of Roman Studies”,
1981). Per Fontenelle il «vero meraviglioso» è quello della natura
e dei suoi fenomeni, che si contrappone al «falso meraviglioso»
delle favole e delle credenze superstiziose.
La conoscenza «vera»,
cioè scientifica, della natura desta più meraviglia delle
conoscenze «false». Si può ammirare la regolarità dei fenomeni
naturali, una volta che i prodigi siano stati spiegati e piegati al
controllo conoscitivo della scienza. Attraverso la meraviglia, o
meglio, attraverso il «vero meraviglioso», la conoscenza
scientifica si impossessa anche del godimento estetico che producono
i fenomeni reali. Il meraviglioso dissolve così lo strano,
l’irregolare e il pauroso.
Ma in Hoffmann non è più
così. Lo strano e il meraviglioso acquistano un nuovo rapporto di
vicinanza e di ambiguità. E i mezzi artificiali con cui la vista
poteva amplificare il proprio potere per il godimento del «vero
meraviglioso» - le lenti, il cannocchiale, lo specchio - diventano,
o tornano a essere, gli strumenti del ritorno all’ambiguità fra lo
strano e il meraviglioso. In alcuni casi ciò avviene attraverso le
finestre, poiché quel «guardare attraverso», che queste
consentono, marca la zona d’ombra fra il possedere-a-distanza, che
la vista assicura, e l’illusorietà o precarietà di un simile
possesso. Tra le maglie del meraviglioso torna a insinuarsi lo
strano.
Nell’Uomo della
sabbia Hoffmann ci descrive Nataniele che scorge per la prima
volta Olimpia attraverso una finestra. Tutta la scena è
significativa al riguardo. L'inquietante Coppola entra nella stanza
di Nataniele e cerca di vendergli degli occhiali che chiama occhi. Al
rifiuto atterrito di Nataniele. Coppola fa sparire gli occhiali e
tira fuori dei cannocchiali. Il terrore di Nataniele di fronte a
Coppola dipende dal fatto che quest’ultimo assomigliava a
Coppelius, l’amico del padre, l’«uomo della sabbia» di cui
aveva saputo da piccolo, che rubava gli occhi ai bambini per portarli
sulla luna.
Ma, «scomparsi gli
occhiali, Nataniele ritrovò la sua calma e pensando a Clara capì
che tutto l’incantesimo era nato dalla sua mente e che Coppola era
certamente un onesto ottico e meccanico, non già il sosia maledetto
di Coppelius. Oltre a ciò i cannocchiali che Coppola aveva messo
sulla tavola non avevano niente di straordinario o di incantato come
gli occhiali; sicché per aggiustare le cose Nataniele pensò di
acquistare realmente un cannocchiale».
Apparentemente dunque
Nataniele riporta la situazione su un piano di razionalità e di
ragionevolezza. Coppola è un ottico e meccanico e un cannocchiale è
un cannocchiale. Tuttavia è attraverso questo strumento che
Nataniele entrerà nella storia di Olimpia, l’automa con sembianze
di donna. «Ne prese un piccolo, tascabile, molto elegante, -
continua a narrarci Hoffmann - e per provarlo guardò dalla finestra.
Non gli era mai capitato di avere un cannocchiale che avvicinasse gli
oggetti con tanta chiarezza e precisione.
Il cannocchiale, che
amplifica il potere della vista e dunque del possesso a distanza, che
ha permesso di scrutare il meraviglioso delle stelle, dei pianeti e
dei satelliti, che ha aiutato la chiarezza e la precisione
scientifica, qui diventa, al contrario, strumento di uno scambio
inquietante. Olimpia, l’automa, diventa per Nataniele, che guarda
dalla finestra un volto meraviglioso di donna. In Hoffmann, non è
più l’automa a mostrarsi come una meraviglia della natura
artificiale, che imita i movimenti e sembianze di una natura vivente.
Tutt’al contrario, per Natamele la meraviglia deriva da una tragica
confusione, cioè proprio dal fatto che egli non si accorge della
natura morta dell’automa e la scambia per una natura vivente. La
natura meccanica, che imita la natura vivente desta non meraviglia,
bensì orrore. Nataniele prova meraviglia alla vista di Olimpia solo
in quanto non si accorge della realtà.
Il cannocchiale, usato
attraverso una finestra, contribuisce a tale scambio e a tale
confusione. «Involontariamente guardò nella stanza di Spallanzani:
come al solito Olimpia era seduta davanti al tavolino sul quale
appoggiava le braccia e le mani giunte. Soltanto ora Nataniele ride
il viso meraviglioso di Olimpia. Solamente gli occhi gli parvero
stranamente fissi e morti. Ma aguzzando lo sguardo attraverso il
cannocchiale gli parve che quegli occhi si illuminassero di umidi
raggi di luna. Pareva che solo in quel momento vi si accendesse la
forza visiva; e gli sguardi fiammeggiavano sempre più vivi».
Quanto più Nataniele,
dunque, aguzza lo sguardo attraverso il cannonchiale, tanto più si
immerge nella confusione. Quel che per lui è meraviglioso, per il
lettore si mostra già come strano. Gli occhi di Olimpia sono
stranamente fissi e morti. Essi si vivificano, allo sguardo di
Nataniele, grazie alla luce dei raggi di quella luna, dove Coppelius
usava portare gli occhi che rubava ai bambini.
Quel che Nataniele vede
dalla finestra non sembra rientrare nelle distinzioni che Roger
Caillois e Tzvetan Todorov hanno voluto fare fra strano e
meraviglioso nella letteratura fantastica. In Hoffmann proprio la
continua tensione fra strano e meraviglioso sembra produrre l’effetto
narrativo.
D'altra parte Hoffmann
stesso, ne La casa deserta, ci dice del rapporto fra lo strano
e il meraviglioso. Nel dialogo iniziale fra amici, che precede il
racconto, Teodoro osserva che si chiamano strane tutte le
manifestazioni della conoscenza e del desiderio che non si possono
giustificare con argomenti razionali, mentre è meraviglioso ciò che
appare impossibile, incomprensibile, «ciò che sembra superare le
forze della natura o, aggiungo io, pare contrasti col suo solito
andamento. Ne dedurrai che a proposito della mia pretesa facoltà
profetica hai scambiato poc’anzi lo strano col meraviglioso. Certo
è però che l’apparentemente strano scaturisce dal meraviglioso e
che talvolta non vediamo il tronco meraviglioso dal quale rampollano
i ramoscelli strani con foglie e fiori». E, aggiunge Teodoro,
l'avventura che racconterà sarà una mescolanza di strano e di
meraviglioso.
Secondo Roger Caillois, è
il fiabesco che appartiene al meraviglioso, come un universo
parallelo al reale, che non lo sconvolge, né lo distrugge. Il
fantastico, invece, è l’irrompere di qualcosa che provoca una
rottura nella coerenza dell’universo. Esso appartiene allo strano e
al pauroso. Ma, in Hoffmann, lo strano sembra irrompere direttamente
nel meraviglioso e il meraviglioso nello strano. I livelli della
realtà narrativa sono molteplici. Vi sono universi paralleli che si
toccano e confliggono in alcuni punti. Spesso, almeno due storie si
incontrano nel racconto.
Ne La casa deserta
sarà ancora attraverso una finestra che lo strano e il meraviglioso
si incroceranno. Questa volta però la scena è rovesciata. Teodoro,
guardando la casa deserta, scorge dapprima una mano e un braccio che
sporgono da una finestra in alto. Nataniele guardava attraverso la
finestra dall’interno della sua stanza; Teodoro guarda attraverso
la finestra dall’esterno della casa. Ed egli, la prima volta, usa
un binocolo.
Le finestre rappresentano
quella distanza del possedere che è caratteristica della conoscenza
visiva. Una distanza che è segnata dalla separazione fra l’oggetto
osservato e il soggetto osservatore. Le finestre rappresentano
l’ambiguità di questo tipo di possesso: la separazione offre anche
l’illusione di un possesso della verità, che invece risulta poi
diversa da quel che appare.
Ne La casa deserta
vi sono due tipi di animali, che Hoffmann fa evocare a due dei suoi
personaggi: i pipistrelli e le talpe. E il racconto termina con il
saluto di Francesco, che apostrofa Teodoro con questa battuta: «Buona
notte, pipistrello di Spallanzani». I pipistrelli e le talpe non
hanno nella vista lo strumento del conoscere. Ed è proprio per
questo che gli uomini dotati della facoltà di vedere il meraviglioso
sono paragonati ai pipistrelli. Questi, pur senza vista, hanno un
sesto senso, dice Francesco, che è superiore a tutti gli altri sensi
messi insieme. Chi ha la vista e guarda dalla finestra, con binocolo
o cannocchiale, può essere ingannato proprio da quella tranquilla
sicurezza che dà il conoscere a distanza della vista.
La distanza, e la
separazione segnalata dalla finestra, del soggetto osservatore
dall’oggetto osservato non sempre assicura quel tipo di conoscenza
fredda, come è freddo l’occhio, che ci dice che quel che si vede
appartiene all’oggetto e alle sue qualità. La finestra rappresenta
l’illusione del non coinvolgimento del soggetto osservatore di
fronte a ciò che osserva, ma che non tocca con mano. È l’inganno
di una conoscenza che pretende di conoscere senza azione. Hoffmann
vuole disvelare quella illusione e quest’inganno, ed è perciò che
strano e meraviglioso coinvolgono l’osservatore a cui non basta
certo una finestra per proteggersi dal coinvolgimento in questo
gioco. Al contrario, è proprio il vedere a distanza, nella
separazione che la finestra crea tra l’osservatore e la cosa
osservata, che esplodono tutte le ambiguità del reale, dello strano
e del meraviglioso, tra ciò che la mente costruisce e ciò che la
realtà impone.
In pittura, saranno le
finestre di René Magritte a mettere in discussione quel confine tra
soggetto e oggetto che Leon Battista Alberti aveva segnato, definendo
la rappresentazione pittorica una finestra sulla realtà.
il manifesto, 23 agosto 1989
il manifesto, 23 agosto 1989
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