Cantieri del Terzo Valico |
Il blocco dei cantieri
delle grandi opere spacca il governo. Ma intanto l’assenza dei
cantieri delle piccole opere distrugge il Paese. Nella giornata di
ieri, mentre la scena politica era occupata dall’ennesima divisione
tra i due alleati di governo - stavolta il caso è la Tav, e il suo
intreccio con lo scontro sulla manovra -, nel mondo reale vento e
piogge facevano vittime e distruzioni. La coincidenza non è casuale,
e investe in pieno la linea politica che è sempre stata cara ai
Cinque Stelle ma anche al mondo ambientalista e a una parte della
sinistra: invece di spendere sulle grandi opere, pensiamo alle
piccole e diffuse. Invece che sui nuovi grandi progetti,
concentriamoci sull’enorme opera di manutenzione quotidiana dei
nostri territori. Il “rammendo”, l’ha chiamato Renzo Piano.
Necessario da sempre nell’Italia martoriata da incuria e condoni,
ma ancora di più adesso, quando eventi atmosferici una volta
eccezionali sono diventati ordinari. C’è davvero una
contrapposizione secca tra le due linee, grandi opere vs rammendo? E
perché non riusciamo a fare né l’una né l’altro?
L’alternativa tra
grandi e piccole opere può essere considerata un aut aut se si
guarda ai soldi: abbiamo risorse limitate, dobbiamo decidere dove
metterle. E c’è anche una differente macchina pubblica da mettere
in moto, tra l’organizzazione di grandi centrali di appalto e la
messa in piedi di un sistema capace di agire a tutti i livelli, per
mettere in sicurezza le strade, le scuole, gli ospedali, per
prevenire il dissesto idrogeologico e i terremoti, per il verde
pubblico, eccetera eccetera. Non solo: anche la direzione degli
investimenti in ricerca e tecnologia è diversa. Tutte cose vere. Ma
non basta bloccare le grandi opere per fare le piccole. E –
guardando con realismo alle risorse scarse – nulla toglie che le
prime possano aiutare le seconde: poteva essere il caso delle
Olimpiadi di Roma, con i costruttori chiamati a fare le
infrastrutture di servizio per la città.
Invece assistiamo al
paradosso del né-né: né l’alta velocità né i treni per i
pendolari; né facciamo il grande valico né tagliamo l’erba ai
margini delle piccole strade; né la Gronda né la manutenzione del
Ponte Morandi. Certo, non è tutta colpa degli ultimi arrivati –
anche se il M5S governa Roma e Torino da quasi due anni e la Lega è
partito di governo, nazionale e locale, da sempre. Ma qualcosa di
specifico i neogovernanti ce l’hanno: l’incapacità di scegliere;
sia per le divisioni tra loro che, nel caso dei Cinque Stelle, quasi
per statuto. Sono un partito nato sui beni pubblici – il referendum
del 2012 – ma anche sulla sindrome Nimby (Not In My Back Yard, non
nel mio cortile), sugli interessi particolari dei singoli territori:
legittimi e spesso giusti, ma che a un certo punto devono essere
valutati in funzione dell’interesse generale, che impone una
visione e delle scelte. Se non si è capaci, per competenza o cultura
o formazione, di compierle, sulla piccole come sulle grandi opere si
è condannati alla paralisi.
Articolo pubblicato sui
quotidiani locali del gruppo Gedi martedì 30 ottobre 2018
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