Giovanni Battiata Foggini . "Le Grand Prince", Ferdinando d' Medici (1683) |
Le preferenze di un
collezionista mecenate
Non sarà stato facile
avere per padre uno dei sovrani più bigotti della storia, e per
madre una cugina libertina di Luigi XIV, che finisce col rinchiudersi
in un convento a Montmartre per ricever più comodamente gli amanti;
sta di fatto che da Cosimo III e Marguerite-Louise d'Orléans nel
1663 nasce un principe che in termini di collezionismo e committenza
non teme confronti con nessuno: Ferdinando de' Medici. Fra le pareti
di Palazzo Pitti, un gusto per la pittura poteva germogliare solo
nutrendosi di sante e madonne lucide e smaltate, quelle di Carlo
Dolci, il pittore più devoto della Firenze del Seicento, prediletto
del padre. Meglio allora da giovane migrare in villa e a Pratolino
organizzare un'opera in musica all'anno, come fa Ferdinando dall'età
di diciassette. Più o meno gli stessi di quando si fa ritrarre da
Giovanni Battista Foggini, in un busto commissionato dalla
pachidermica cattolicissima nonna, Elisabetta Della Rovere (dal
Metropolitan) - e trionfano toni da ufficialità berniniana: svolazzo
del marmo nel panneggio, chioma a cascata sopra un pizzo ben
traforato, fiocco sotto il mento, sguardo da truce calcolatore. Molto
più al naturale è il principe se lo vediamo ritratto in mezzo ai
suoi musici, e la gentilezza viene da un pittore orientato verso
Venezia quale Antonio Domenico Gabbiani.
Quanto più amabile per
un giovane ansioso di libertà dovesse rivelarsi la laguna lo
scopriamo scartando le prime preferenze pittoriche di Ferdinando: un
fiammingo, Livio Mehus, e un tedesco, Johann Carl Loth: uno parte da
premesse cortonesche, vale a dire del grande nome neoveneto del
barocco, e piano piano, ricorrendo a Tiziano, arriva a un tenebrismo
che pratica improvvisi accecamenti di tocco; il secondo costruisce
volumi attraverso macchie, dimentico ormai di ogni possibile bella
linea. ‘Una setta di tenebrosi': così li definiva Lanziun secolo
dopo, ma non si creda che il principe parteggi esclusivamente per
costoro. Ci sono i più giovani, quelli con cui ci si intende meglio
e subito: Domenico Tempesti: uno che sa come arrivare, con la
delicatezza del pastello, ad addolcire la psicologia di chiunque; o
Bartolomeo Bimbi, che importa da Roma il genere della natura morta; o
lo scultore Balthasar Permoser, un virtuoso del marmo di cui in
mostra si presenta un'inedita Pallade.
Quando Ferdinando si
sposa, con la quindicenne Violante di Baviera, la mai amata
‘tedeschina' (1689), è la volta di rimodernare la residenza dei
granduchi: a Pitti gli progettano un ‘Gabinetto segreto' sopra
l'alcova di rappresentanza, e l'intaglio di fogliami giocosissimo
della grata in legno dorato è sopravvissuto ai tempi dei Lorena, dei
Bonaparte e dei Savoia. Di tutto il resto dei lavori a Pitti invece
resta poco e niente, ma il cantiere dei ‘Regii mezzanini'
comprendeva venti vani sopra il piano nobile, fra Ferdinando de'
Medici capitolo dialettico della storia del gusto cui saloni,
ricetti, gallerie, una sala per la collezione dei bozzetti, gli
appartamenti di Violante, affrescati daAlessandro Gherardini, un
pittore talmente libero che presto litiga col principe.
Antonio Domenico Gabbiani, Ritratto di Musici con il "Gran Prince" Ferdinando de' Medici (1683) |
Ma non si creda nemmeno
che il gusto di Ferdinando sia tutto per i suoi contemporanei. Il
principe sa bene che la storia è una foresta di dipinti da
collezionare e, colpo dopo colpo, arricchisce la pinacoteca di
palazzo con pale di grido. La razzia colpisce soprattutto le chiese
del granducato e il caso più eclatante e celebre riguarda la Madonna
del baldacchino di Raffaello, prelevata nottetempo dalla chiesa
di San Francesco a Pescia, dietro pagamento al preposto e agli eredi
del patronato della cappella, supervisore il Gabbiani. I pittori
ferdinandei erano dunque in prima linea durante le operazioni: ed è
questa la sala che rimarrà più impressa dell'entusiasmante mostra
agli Uffizi Il Gran Principe Ferdinando de' Medici (1663-1713)
Collezionista e mecenate, a cura di Riccardo Spinelli (catalogo
Giunti-Firenze Musei, apertafino al3novembre); quella in cui vedi
alcune opere incamerate da Ferdinando accanto alle copie di quei
pittori che stavano dietro ai colpacci. Perché è ora che gli Andrea
del Sarto, i Cigoli,i Parmigianino e i Lanfranco diventano materia
viva per i Gabbiani o i Cassana: ora che questi devono con le loro
mani copiarli, restaurarli, ingrandirli. Il momento museale, per
questa generazione, è quasi un'imprevista accademia. Altro
capolavoro collezionistico del principe è il ‘Gabinetto d'opere in
piccolo', una sala della villa di Poggio a Caiano dove erano
ospitate, a tappezzeria fino alla volta, solo opere della grandezza
di un braccio (circa 60 cm). Di quei centosettantaquattro dipinti, in
mostra si è intelligentemente tracciato uno schema, a volte riempito
dall'opera conservata, a volte lasciato con la silouhette dell'opera
mancante, secondo quanto riporta un grafico settecentesco del
gabinetto. Colpo di coda del gusto di Ferdinando è la commissione di
una volta ad affresco a Sebastiano Ricci per il pian terreno di Pitti
(1707): e l'edonismo che un Gabbiani mai avrebbe potuto raggiungere
trova un suo posto fra i cieli di palazzo. Il suo gusto approda,nel
primo decennio del secolo nuovo, a nomi che resteranno nell'olimpo
settecentesco italiano: Ricci, su tutti, ma anche Francesco
Trevisani, Giuseppe Maria Crespi e Alessandro Magnasco. E quella
sfumatura che in pittura declina la parola libertà verso orizzonti
licenziosi, azzurro-centrici, guasconi, è la stessa che porta
Ferdinando ad abbandonare la vita come la Venere di Ricci fa col suo
Adone, colpito da una sifilide contratta nell'amata Venezia.
Titoli di coda: ci ha
convinto tutto, ma soprattutto l'attenzione alle cornici, alla
riproduzione degli ambienti palatini, alla ricostruzione delle feste
con tanto di apparati effimeri. Non si può far mistero dei debiti
che chi studia bene questo periodo automaticamente contrae con due
inglesi: uno storico, Harold Acton, con il suo The Last Medicis
(1932, traduzione Einaudi: 1962), troppo spesso ingiustamente
considerato un raccoglitore di pettegolezzi - è invece uno che
ricostruisce gli intrecci politici senza dimenticare le psicologie -,
e uno storico dell'arte, Francis Haskell, cui si deve, in Patron
and Painters (1963, edizione Sansoni di tre anni dopo),
un'importante apertura su Ferdinando ‘collezionista e mecenate':
prima di lui non si afferrava quanto siano personalità come queste a
muovere il sole della storia del gusto.
Alias - il manifesto, 20
ottobre 2013
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