Sommersa da feroci
commenti sui social network per il goffo video girato nella filiale
di Intesa SanPaolo di Castiglione delle Stiviere, la povera
direttrice potrà forse trarre conforto dal sapere che migliaia di
altri lavoratori di tutti i livelli – impiegati, dirigenti, agenti
di vendita, informatori del farmaco, store manager, eccetera eccetera
– sono coinvolti ogni giorno in attività simili.
Da anni ormai, non c’è
evento aziendale che non contempli il famigerato team building,
un’attività che originariamente doveva creare squadra, appunto,
spirito di gruppo, ma ora spazia dall’engagement alla
competitività, dalla “formazione esperienziale” al “problem
solving” alla creatività.
Tutte le formule sono
buone. Da un rapido giro tra le agenzie specializzate
nell’organizzazione di eventi, sgorgano tipologie tra le più
varie. Se le sessioni di fotografia e video, così come la caccia al
tesoro e il karaoke, sono ormai un classico quasi banale, non mancano
le esperienze di re-orienteering (sperduti nel bosco, trovare
la strada per tornare alla base), il flash mob con canzone
famosa riscritta su contenuti aziendali (definizione tecnica: “Lip
Dub”); infilarsi in un dragone cinese col quale percorrere un
tragitto pericoloso; tirare di scherma senza aver mai preso in mano
una spada; costruire imbarcazioni con pezzi di cartone e plastica e
remare fino a una boa, rischiando il naufragio dopo pochi metri;
pedalare su cyclette per generare energia sufficiente a illuminare
una scritta o gonfiare con la pompa un pallone enorme con il logo
dell’azienda, oppure formare lo stesso logo indossando tutti
magliette dello stesso colore e mettendosi in posizione, mentre un
operatore fotografa la performance stando in cima a una gru.
E ancora. Preparare un
finto telegiornale con conduttore e inviati che fanno finti servizi
in diretta dalla sala accanto; guidare su circuiti automobilistici o
correre in un percorso da rally tra dune e buche piene di fango;
correre dietro a un pollo vestiti con abiti medioevali; trovarsi
catapultati nel Rinascimento, e mettersi alla ricerca di un
“manoscritto perduto”; fare indagini per trovare l’autore di un
crimine o per ritrovare un collega rapito; partecipare a quizzoni
ricalcati sui format televisivi, per non parlare della felpata
“Operazione Gatto” organizzata per una forza vendita del settore
petfood.
Modelle per un giorno
Nei settori del fashion –
moda, accessori, cosmetica – o dei prodotti per la casa, dove il
personale è al novantanove per cento femminile, le dipendenti sono
spesso invitate a diventare “modelle per un giorno”, attraverso
sfilate o servizi fotografici che le trasformano in
ragazze-copertina, testimonial dirette dei prodotti che vendono.
Non si contano, poi, le
popolazioni aziendali che si sono cimentate con strumenti musicali,
tamburi, formazione di cori. Un mondo variegato, insomma, dove il
costo di una progetto di team building può variare mediamente dai 5
mila ai 20-25 mila euro, a seconda della complessità e dei materiali
richiesti.
Il testimonial
A volte, le aziende non
hanno tempo, o spazio o soldi sufficienti per infilare nell’evento
pure il team building. In quei casi, possono ricorrere al
“testimonial esperienziale”: anziché mettere in gioco
direttamente le persone, si fa intervenire qualcuno che funziona come
esemplare vivente dei valori o dei messaggi di comunicazione che
l’azienda intende trasmettere.
Anche qui, il campo è
vastissimo. Praticamente tutti coloro che hanno superato oceani,
montagne, deserti, o che hanno battuto record nelle più varie
discipline, hanno un’attività parallela di partecipazione alle
convention, con cachet che di solito non superano i 5 mila euro.
I più noti del panorama
recente: Alex Bellini, specializzato in attraversamenti di oceani in
barca a remi e di deserti a piedi; Max Calderan, anche lui deserti;
Simone Moro, conquistatore di vette himalayane; Umberto Pelizzari,
campione mondiale di immersione in apnea, tanto per fare alcuni
esempi.
Il testimonial
esperienziale è quello che racconta le sfide che ha affrontato, i
limiti a cui si è spinto, e ciò che ha imparato: che ci vuole
coraggio ma anche paura, che ognuno di noi ha risorse inesplorate, e
quindi ce la potete fare anche voi (non a scalare una montagna, ma a
far crescere il fatturato aziendale della percentuale indicata poco
prima dal direttore vendite).
La categoria di esperti
attualmente più gettonata è quella degli chef. Cuochi-filosofi, che
uniscono alle performance di show-cooking una parlantina
sciolta, il cosiddetto storytelling, adattabile ai temi della
convention. L’obiettivo è dimostrare come l’execution
(della ricetta) vada di pari passo con la creatività: si seguono
delle regole, ma al tempo stesso si inventano nuove procedure.
Se poi il tuo lavoro è
preparare un contratto di assicurazione, vendere dentifrici o
illustrare il funzionamento di un farmaco, inventa pure la ricetta,
ma solo la sera, quando torni a casa e il massimo che riesci a fare è
sbucciare una banana e stappare una birra, prima di metterti sul
divano a vedere in tv lo stesso chef del team building, che guadagna
milioni di euro cucinando le uova.
Più convention per
tutti
Il team building è solo
uno degli ingredienti del più vasto universo delle convention
aziendali, che spesso comprendono l’ingaggio di personaggi dello
spettacolo, del giornalismo (soprattutto televisivo) e del cabaret
per la conduzione degli interventi o per chiudere col sorriso
impegnative sessioni di strategia aziendale.
Quasi tutti sono
disponibili a condurre convention, con richieste economiche che la
crisi ha un po’ compresso, rispetto a qualche anno fa. Per cachet
inferiori ai 10 mila euro oggi si possono avere sul palco per esempio
Serena Dandini, Nicola Porro, Sebastiano Barisoni, Fabio Caressa o
Dario Vergassola. Ci vogliono invece oltre 20 mila euro per
ingaggiare Enrico Mentana, Bruno Vespa, Ilaria D’Amico, Enrico
Bertolino, Antonella Clerici, Giovanni Floris o Neri Marcoré.
Dopo il tramonto del
programma Zelig, che forniva personaggi a getto continuo –
il paesaggio dei comici si è ristretto e spiccano alcuni nomi molto
costosi. Personaggi come Luciana Littizzetto o Maurizio Crozza hanno
cachet che superano i 50 mila euro.
Ma il compenso top degli
ultimi anni è stato quello di Checco Zalone, baciato dal successo
cinematografico e ingaggiato tempo fa da una compagnia telefonica per
ben 200 mila euro per un’oretta di spettacolo dopo cena. Grasse
risate, soprattutto per lui.
Pagina 99, 20 ottobre
2017
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