Il 18 aprile del 1948. Stavo allora a Racalmuto e lavoravo in un ufficio denominato Ucsea: sigla che non so più decifrare, ma lavoro che ricordo come una specie di incubo tanto era greve e odioso. L'ammasso obbligatorio del grano, dell'orzo, dell'olio: coi contadini che non volevano saperne, i carabinieri che andavano a perquisire le loro case, i giudici che duramente li condannavano quando dalle perquisizioni veniva fuori che non avevano denunciato tutto il prodotto. Era comunque, quell'ufficio, un buon osservatorio per una previsione dei risultati elettorali. Voglio dire: il trionfo della Democrazia Cristiana non fu una sorpresa. Venivano molte donne in ufficio: e tutte con noi impiegati (il capo ufficio era democristiano) si informavano se il voto davvero era segreto. Erano mogli di comunisti, di socialisti. Ma nemmeno i loro mariti erano tanto saldi nell'intenzione di votare «blocco del popolo». Gli oratori comunisti che erano venuti - e specialmente uno che per tanti anni era stato nell'Unione Sovietica - avevano illustrato le delizie dei kolchoz; e figuriamoci l'effetto che faceva, il sentire che si trattava di una specie di ammasso perpetuo dei prodotti agricoli, a della gente che rischiava la galera, e qualche volta ci andava, per sottrarre anche un solo quintale di frumento all'ammasso. C'erano poi le processioni, i miracoli, le lettere dai parenti dell’America. Alla vigilia delle elezioni ci fu addirittura una pioggia di telegrammi. Non poteva andare che come andò. E sarebbe da dire: che come va.
Da Nero su nero, Einaudi, 1979
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