2.4.13

Dalida, la voce delle stelle (di Kenneth Brown)


Dalida in un disegno di Renato Guttuso

Da un più ampio articolo su "alias" recupero un bel profilo biografico di Dalida, la cantante egiziana di origine italiana che dalla Francia diffuse i suoi successi in tutto il mondo, un vero mito negli anni della mia giovinezza. (S.L.L.)

Dalida
Nata Jolanda Gigliotti al Cairo da genitori italiani nel 1933, Dalida ha cessato di vivere nella sua casa parigina, a Montmartre, il 3 maggio 1987. All'età di 54 anni, ricca e famosa, senza un marito né figli, era stata per trent’anni una star della scena musicale popolare sia in Francia sia a livello intemazionale («la Callas des varietés»). Accanto al letto lasciò un biglietto: «Perdonatemi, la vita mi è insopportabile».
Nonostante, o a causa del suo immenso talento e la miriade di successi, la fine di Dalida è stata tragica. Fu una cantante popolare archetipica, generosa fino all'estremo, largamente sfruttata dal suo entourage, vittima dell'adulazione dei suoi fan e - forse la cosa più intollerabile - molto sfortunata in amore. Tre dei suoi partner si uccisero, e lei stessa aveva alle spalle due tentativi di suicidio falliti.
Nel 1893 suo nonno, Giuseppe Giglioni, era sbarcato al Cairo da Serrastrella, vicino Catanzaro, la zona più povera della Calabria. Come molti altri europei arrivò sulla scia del «boom» egiziano che seguì l'apertura del Canale di Suez e che, nel 1939, aveva portato in Egitto circa 100.000 immigrati italiani. Suo figlio Pietro, il padre di Dalida, studiò musica e divenne primo violino nell'orchestra del Teatro dell'Opera del Cairo. Costruito sul modello della Scala dall'architetto italiano Avoscani, il teatro era stato commissionato dal Khedivè Ismail per celebrare l'apertura di Suez con la prima esibizione dell'Aida di Verdi.
La madre di Dalida, Giuseppina, era pugliese. Sua madre aveva lavorato come governante per il primo ministro egiziano, Nahas Pacha. Quando si sposarono, i genitori di Dalida presero casa a Chubra, un sobborgo sorto lungo la linea tramviaria del Cairo inaugurata nel 1903.
Sin dalla sua prima infanzia Iolanda ebbe problemi con gli occhi, problemi che l'avrebbero tormentata tutta la vita. Studiava presso le Sorelle di Maria Ausiliatrice, in italiano ma con lezioni anche in francese, inglese e arabo. L'arabo egiziano era la lingua delle strade; l'italiano, la lingua di casa. Quando arrivò la guerra, suo padre, un fascista dichiarato, fu imprigionato dagli inglesi. Poi, dopo il rilascio, sopraggiunse la povertà e nel giro di due anni, appena quarantunenne, morì.
Alla fine degli anni Quaranta la bellezza di Iolanda era riconosciuta. Lavorava come mannequin da «Chez Donna», una boutique per europei al Cairo. Nel 1953 quando fu eletta Miss Egitto, uno dei giurati, un regista egiziano, la ribattezzò «Dalila». Ottenne anche il suo primo ruolo cinematografico in Sigara wa kass (Un bicchiere, una sigaretta).
Ma giunse il momento di pensare in grande. Due anni dopo l'incendio del Cairo e alcuni mesi dopo la rivoluzione che portò al potere i Liberi ufficiali e Nasser, Dalila, ex-Iolanda, sbarcò a Parigi per conquistarla. Qualcuno, scherzosamente, disse una volta che la prima aggressione sferrata da Nasser alla Francia non era stata la nazionalizzazione del Canale, ma Dalida! Brunetta, non molto alta (non raggiungeva il metto e settanta), un po' paffutella, parlava male francese e non aveva una bella voce. Ma aveva una enorme determinazione e riuscì a ottenere il miglior insegnante di canto di Parigi, Roland Berger, che nel corso dell'anno successivo le dette lezioni tutti i giorni.
 I primi lavori furono nel cabaret. Al Villa d'Este acquisì il nome che le avrebbe dato la fama, Dalida, e lì, si dice, schiaffeggiò il re Farouk in esilio che l'aveva palpeggiata. Poi, nel 1956, incontrò l'uomo che sarebbe stato decisivo per la sua carriera, Lucien Morisse, direttore della programmazione a Europa 1.
Morisse la sentì cantare con il suo accento italo-egiziano Stranger in Paradise. Nonostante la cattiva esecuzione, si innamorò di lei e decise di essere il suo Pigmalione. Era perfetta per farne una stella.
Un anno dopo Dalida sfondava con Bambino, una canzone napoletana il cui ritornello «guaglione», considerato troppo italiano, era stato sostituito con «bambino». In brevissimo tempo la canzone divenne un grande successo e presto conquistò la hit parade francese. Seguirono una serie di successi: Gondolier, Come prima, Le jour ou la pluie viendra...
Dieci anni più tardi, nel 1965, Dalida era in cima a tutti i sondaggi di popolarità, e vendeva più dischi di chiunque altro. Era la cantante più pagata in Francia, e una icona di stile. Con Les gitanes, la Figlia del Mediterraneo conquistò il pubblico italiano e tenne spettacoli affollatissimi al Cairo, a Beirut, a Atene e persino a Teheran.
Nel 1967 fu colpita dalla tragedia. Il suo amante, un giovane cantante italiano, Luigi Tenco, si uccise dopo l'eliminazione al Festival di San Remo. Un mese dopo Dalida tentò di togliersi la vita e sopravvisse solo grazie al tempestivo intervento dei medici.
Iniziò un nuovo periodo della sua vita: psicoanalisi, lo studio della filosofia alla Sorbona, ricerche spirituali, yoga. In ottobre era di nuovo all'Olympia. Era cambiata, ma cantava ancora «l'amour, l'amour, l'amour»). Seguirono un nuovo amore, un pellegrinaggio da uno Swami in India, concerti in Giappone, America latina, Usa, psicoterapia junghiana a Parigi.
Nel 1970, dopo 15 anni di successo quasi inesausto, si calcola che Dalida avesse registrato 300 canzoni in francese, 150 in italiano, 120 in tedesco, spagnolo, giapponese, arabo. Aveva venduto circa 20 niilioni di dischi, e vinto numerosi Oscar musicali. Il suo successo continuava con infinite nuove esibizioni e un repertorio sempre nuovo. Nel 1972, la sua registrazione Pour ne pas vivre seule parlava della solitudine degli anziani, delle star, dei gay, e Il venait d'avoir dix-huit ans divenne una canzone culto.
La sua accettazione della omosessualità, maschile e femminile, le dette un enorme seguito tra i gay. Nel 1979, in Depuis qu'il vient chez nous accettava esplicitamente l'omosessualità in un momento in cui il suo partner, Richard Chanfray, il conte di Saint-Germain, era apertamente bisessuale. Il suo gruppo di amici intimi - «i dieci della mia tribù», li chiamava lei - comprendeva molte «queens». Dalida veniva chiamata «une fille à pede» (una ragazza per i gay). Dal 1973 in poi, una delle grandi drag queen di Parigi, Lulu, si esibì in interpretazioni di Dalida presso il locale di cabaret Chez Mi-chou.
Sembra che Marlene Dietrich, un'altra icona gay, avesse una forte simpatia per Dalida.
Si diceva poco gentilmente che Dalida fosse una sorta di doppio caricaturale, una replica kitch, di Marlene; che Dalida, pur avendo il corpo di una donna, avesse una personalità maschile. Ma che corpo adorabile! La natura era stata tRasformata. Dal 1964 la brunetta era diventata bionda; la ragazza paffuta era diventata un figurino. Il suo courtier fetiche, Loris Azzaro, diceva che vestirla era facile perché aveva una figura perfetta, un bellissimo seno, una taglia da mannequin.
Senza dubbio Dalida aveva carisma. La sua voce, il suo calore, la disinvoltura e l'eleganza dei suoi gesti e dei suoi movimenti, la sua sensualità, la sua misteriosità ferita, appartenevano solo a lei. Si racconta abbia detto «dopo tutto il pubblico è mio marito, le canzoni sono i miei figli, e ogni volta che salgo sul palcoscenico è come se partorissi. A volte il parto avviene senza dolore, altre volte è doloroso».
Dalida aveva un'altra dimensione. Nata italiana in Egitto, divenne cittadina francese e alla fine si interessò alla politica. Nel 1981 contribuì alla campagna elettorale di Francois Mitterand, che conosceva da tempo - le malelingue dicono che lo conoscesse intimamente. In ogni caso, si spese molto per quella campagna elettorale in diverse occasioni. Quando l'attaccarono violentemente sulla stampa come «l'amica del presidente», fu per lei un grande dolore.
L'ultimo atto di Dalida comprende un ritomo al Cairo per tre mesi, nel 1986. Accettò un invito da Youssef Chahine per recitare come protagonista nel suo film II sesto giorno.
Il film era una sorta di testamento. Dalida interpretava il ruolo di Saddiqa, un simbolo tragico della donna mediterranea, sottomessa e tuttavia moderna, prigioniera di un dilemma intollerabile. Per quella parte dovette ristudiare l'arabo, e ci riuscì benissimo, però dal punto di vista commerciale il film fu un fallimento, almeno in Francia.
Finì il 3 maggio 1987. Nella magnifica villa di Montmartre che occupava sin dal 1961, Dalida sfuggì all'intollerabile con una overdose.
Dieci anni dopo, un busto di Dalida, alias Iolanda Gigliotti, creato dallo scultore Aslan veniva inaugurato a Place Dalida, cento metri sotto la strada in cui la cantante viveva...

"alias - il manifesto", 11 agosto 2007 - Traduzione Marina Impallomeni

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